Les Murray: La poesia rinnova la vita delle cose

La poesia «è il mio lavoro, il mio campo e, credo, la mia vocazione: il canale primario da cui attingo (o ricevo) ogni senso delle cose ultime». E ancora: «la poesia rende vere le cose, rinnovandone la vita e la percezione che abbiamo di esse». Già da queste battute si comprende come non bisogna lasciarsi sfuggire il volume che le contiene: Lettere dalla Beozia, una raccolta di saggi di Les Murray, australiano, uno dei più grandi poeti viventi, autore del romanzo in versi Freddy Nettuno (Giano, 2004) e di numerose raccolte, dalle quali Adelphi ha tratto l’antologia Un arcobaleno perfettamente normale.
Per Murray la Beozia e Atene rappresentano due categorie dello spirito che si scontrano per poi contaminarsi: la prima, rurale e tradizionalista, richiama la terra, la sua sacralità, la cultura «vernacolare»; la seconda, raffinata e moderna, si distingue per l’èlite intellettuale e per la cultura intesa come potere. Se Omero subordina la natura non umana all’eroismo, cantando valori aristocratici e guerreschi; il beota Esiodo canta la vita dell’uomo sottoposto alla signoria del ciclo delle stagioni e degli dei, i cui valori sono la pace, la continuità e la comunità. Prendendo i panni di Esiodo, Murray riflette sull’Australia postcoloniale, fornendo suggestioni di valore universale.
I saggi offrono descrizioni straordinarie dell’Australia selvaggia, ma anche ampie riflessioni sulla cultura occidentale; confessioni biografiche e affondi sul significato della poesia; incisivi interventi sulla condizione politica del suo Paese e intense pagine di significato teologico («Non possiamo costruire una visione della vita soddisfacente su fondamenta agnostiche o atee, perché non possiamo convincere i nostri sogni a crederci»). Queste pagine vivono del pulsante riflesso di una poesia vitale. Esse, tra l’altro, aiutano a intuire che cosa significhi vivere l’impegno culturale e civile come momento interno della vocazione poetica.

Les MURRAY, Lettere dalla Beozia. Scritti sull’Australia e la poesia, Azzate, Giano, 2005.

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  1. andrea monda ha detto:

    Ovviamente mi ha colpito, folgorato, questa frase di Murray: “Non possiamo costruire una visione della vita soddisfacente su fondamenta agnostiche o atee, perché non possiamo convincere i nostri sogni a crederci».
    Bella e ambigua. Bella perchè ambigua? Non so.. non so ancora nulla rispetto a questa frase, ma so che “lavorerà” molto, dentro di me, e che già lo sta facendo da quando l’ho letta… Da una parte è terribile questo
    “solispsismo”: io che dialogo con i miei sogni e cerco di convincerli, dall’altra c’è però l’apertura della fede, dell’affidarsi a qualcosa Altro da te. Inoltre fa paura perchè puzza molto di verità.. ciao! Andrea

  2. Tiziano Fratus ha detto:

    Les Murray è un grande poeta. Sopratuttto è un poeta che non teme di affondare il colpo. Non teme di costruire poesie lievi, come il tocco di un pennello ad olio. E non teme l’aggressivo colore industriale. Sa costruire poesie attorno alla figura di un uomo che si mette a piangere nel bel mezzo della strada di un paese ed è un uomo che sa attraversare con energia l’intero Novecento nelle vesti di un sopravvisuto alla peste. Con lui saltano gli schemi della poesia alta e della poesia bassa, con Murray si sperimenta la totale potenzialità della parola. E’ un poeta che non si accontenta, che fa l’unica cosa che un poeta o un artista ha come obbligo per sé stesso: cercare ogni volta nuove strade, nuove formule, nuove chiavi di penetrazione della materia.

  3. alberto giulini ha detto:

    Non conosco abbastanza Murray, ma con l’intuito che immagino criticamente di possedere, mi piacerebbe che questo poeta australiano vincesse il Premio Nobel 2010. In ogni caso mi va istintivamente di tifare per lui.

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