Morrissey: Ringleaders of the Tormentors

Ogni nuovo disco di Morrissey, sia chiaro, è ben altro che una semplice uscita discografica. Come è chiaro che per lui la musica non è mai contata troppo: pace fatta con la stampa dopo le accuse (infondate?) di sostegno dell’estrema destra nazionale da quel di Finsbury Park quando si presentò avvolto nell’Union Jack per essere cacciato tra fischi e insulti, ogni sua dichiarazione, ogni intervista supera per forza comunicativa la sua produzione artistica.
Ringleader of the Tormentors è stato scritto e registrato a Roma, città che sembra aver avuto una certa influenza su di lui considerando gli ultimi scatti fotografici che lo ritraggono nella posa di un San Sebastiano martire con tanto di frecce e ferite sanguinolente. Agli ultimi concerti, inoltre, Morrissey ha preferito presentarsi in abiti clericali piuttosto che la bandiera, e sembrerebbe che God e Jesus siano diventati quasi gli unici interlocutori dei suoi ultimi testi.

Dopo anni dallo scioglimento degli Smiths che, ormai è evidente, nel cuore degli inglesi e non solo, occupano uno spazio simile a quello dei Beatles (dubito che siano in tanti ancora a non esserne d’accordo), il loro ex-leader ritorna dopo svariati dischi solisti di alterne reazioni, cambi repentini di collaboratori e non so quanti processi alle spalle a difendersi da alcuni di questi, con un lavoro che rinvigorisce il seguito dell’artista annoverando giovani, che ignorano il suo glorioso passato, tra gli eterni fan che invece quel passato, lo ricordano, spesso a malincuore, benissimo.
Morrissey, forse a sua insaputa, si ritrova ad essere quel personaggio influente che aveva per un po’ smesso di rappresentare. Le sue canzoni tornano alla radio, il suo nome nei cartelloni dei festival internazionali più importanti e le copertine dei mensili specializzati sembrano chiedersi chi aveva preso il suo posto fino a questo momento…

Negli anni bui che seguirono il suo esordio solista, Viva Hate, dove chiedeva persino una soluzione finale per liberarsi della Thatcher (poi però si disse dispiaciuto per il modo con cui fu allontanata da Downey St.), Morrissey giocò a fare il rockabilly, ad osannare i naziskin, ad esaltare una nazione, la sua, che lo costrinse all’esilio, poi un disco perfetto (Vauxhall and I), per scomparire di nuovo e ritornare a distanza di anni e varie compilation inutili con un altro capolavoro You Are the Quarry del 2004, che riscosse un enorme successo di cui l’ultimo Ringleader of the Tormentors è la perfetta prosecuzione.

In tutto questo, possiamo affermare con una certa sicurezza che, comunque, non è Morrissey a cambiare, ma siamo noi. Sebbene le differenze tra i dischi siano in parte evidenti, possiamo davvero dire che il Morrissey di ora sia un uomo diverso da quello di cinque, dieci, quindici o venti anni fa? Forse ora si dimentica i fiori in camerino, ma certo non smette di agitare il microfono sul palco come solo lui e pochi suoi eredi sanno fare. Forse è proprio qui che risiede la sua formula, quella di trarre dal passare del tempo la forza per rimanere, in definitiva, quello che è ed essere continuamente una ripetuta celebrazione di se stesso. Ed è, credo, questa la chiave con cui avvicinarsi a questo nuovo disco. Se Morrissey davvero è il capo dei tormentatori, ciò di cui si serve per tormentarci non è altro che la sua immagine ripetuta infinite volte. Il disco, tra l’altro, presenta brani di tutto rispetto, tra i quali perché non citare quello d’apertura “I Will See You in Far Off Places” e “Dear God Please Help Me” nel quale spicca il nome di Morricone alla produzione o il singolo “You Have Killed Me”. Già da questi ultimi due brani emerge una celebrazione del tutto inedita ed inaspettata dell’Italia dove, si dice, cercherebbe casa, e della sua cultura a cui il cantante fa spesso riferimento, quasi fosse un traguardo a cui Morrissey, da sempre additato come ultraprotezionista, è arrivato all’apice della sua vita artistica. Pasolini, Visconti, Magnani diventano quindi alcuni dei personaggi da accodare ai vari Wilde, Keats e Yeats del passato, nel tentativo di dire chi è Morrissey, lontano dall’ambiguo cantante vegetariano degli anni ’80 eppure sempre lì, con quella sua voce cantilenante intento a cantare sempre la stessa canzone senza annoiarci mai. Il disco va avanti con una manciata di possibili singoli di successo dai titoli mai scontati dove a volte si declama la fine di un’era (“I’ll Never Be Anybody’s Hero Now”) ed altre la devozione verso un qualcuno che, come al solito, si può solo ammirare da lontano (“To Me You Are a Work of Art”). In Ringleader convivono molte emozioni tra loro opposte a disegnare un mondo, quello di Morrissey, complesso eppure sempre uguale, come il nostro, ed è questo ad eleggerlo ad uno dei pochi cantori rimasti a dire la vita per quella che è; e se il disco si apre con un’affermazione lapidaria “Nobody knows what human life is” sembrerebbe che la risposta venga offerta poco più avanti con “Life Is a Pigsty”, lì apposta a ricordarci che, di fatto, non è cambiato nulla – I’m the same underneath, but this you, you surely knew -, e che possiamo tirare un sospiro di sollievo: una volta miserabili lo si è per sempre.

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  1. aroundme ha detto:

    Mah, nonostante le belle parole, e gli ancor più bei ricordi che mi legano a Morrissey e agli Smiths, non mi hai convinto.
    Sicuramente non era questo il tuo intento, ma da tempo ritengo che certi musicisti si dovrebbero lentamente ritirare, e lasciare “fama e sucesso”
    a giovani di belle speranze.
    “You Are the Quarry” non è male, in effetti, “Ringleader of the Tormentors” non l’ho ancora assimilato, ma nel rattempo BATTO LE MIE MANI E DICO YEAH.

    A presto.

  2. Elena B. ha detto:

    Eppure Morrissey rimane un grande… non smettono mai di colpirmi i suoi testi per l’intensità e la verità emozionale…caratteristiche prevalentemente ignote ai sudditi di Sua Maestà, troppo compresi nella formale euforia del >…in più, ora si mette pure a parlare di God and Jesus…che abbia la nonna italiana??

  3. Elena B. ha detto:

    ..la formale euforia del >….corrego il refuso…e colgo l’occasione per fare i complimenti all’autore di questo interessantissimo pezzo.

  4. Marco P. ha detto:

    Grazie per i complimenti. I testi di Morrissey rimangono sempre al di sopra… In risposta ad Aroundme: io credo che chi lo desideri debba andare avanti, sempre. Sono convinto ci sia posto per tutti ed in partciolare, sarebbero molti ad arrabbiarsi se Springsteen Dylan o Depeche Mode appendessero le ‘chitarre’ al chiodo. Avremmo dovuto dire a Cash di ritararsi anzitempo? E Robert Smith dovrebbe smettere di truccarsi? Bè, questo forse…

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