Io odio la letteratura

Dieci anni fa veniva a mancare un personaggio pressoché unico nella scena culturale italiana: Sergio Quinzio.

Sergio Quinzio

Sergio Quinzio

Saggista, teologo, biblista, critico ma perenne autodidatta, formidabile lettore senza lauree né accademie. Pochi “scrittori di cose religiose” hanno ottenuto altrettanto spazio e rilevanza sulla scena culturale “laica”. La sua influenza su scrittori italiani alle prese con interrogativi esistenziali è stata davvero grande, da Ceronetti a Testori, De Luca, Permunian, Mozzi, ecc. Eppure, proprio in una lettera a Ceronetti, Quinzio se ne esce con questa osservazione di sprezzo calcolato, scontata e urticante:

«Naturalmente io odio la letteratura con tutte le forze: è il pendio lungo il quale scende il sacro fino a disperdersi nel nulla. La parola ha un potere subliminale, catartico, in qualche misura salvifico, solo finché e perché è scritta con la potenza, l’urgenza e la spontaneità che possono nascere soltanto dalla certezza che la vita deve diventare “pace della giustizia e gloria della tenerezza” (Bar 5,4). Via via che questa certezza entra in ombra, la parola discende da religione a poesia, a letteratura, a convenzionale strumento di comunicazione. In qualche fase di questo processo la parola può acquistare una certa speciale forma di rigorosa esattezza. Ma il processo è ovunque e fatalmente discendente, perché ogni acquisto è fatto al prezzo di una più grande rinuncia. La parola è la storia, non il cielo immobile».
(Sergio Quinzio, L’esilio e la gloria, pp. 20-21)

E allora, come la mettiamo?

Leggi i 7 commenti a questo articolo
  1. andrea branco ha detto:

    E come la mettiamo? Per me, non è così. Naturalmente io amo la letteratura con tutte le forze. La letteratura è un volo di Icaro. Ma un Icaro che sa per certa la sua fine, eppure ci prova. Un Icaro che sa di essere umano e non vuole salvare, non pretende di salvare, e se salva con le sue ali è inconsapevolmente. Beh, ecco. ciao.

  2. demetrio ha detto:

    beh però è certo che non scriviamo usando una parola ‘depotenziata’ rispetto a quella di dio. credo che Quinzio odiasse la letteratura perché non era parola di verità, ma dimostrava, in maniera ancora più drammatica, il fallimento della parola di dio… ecco.

    d.

  3. paolo pegoraro ha detto:

    Trattandosi di un epistolario bisognerebbe conoscere il contesto (ma pare che Adelphi stia per editare parte del carteggio Quinzio-Ceronetti), comunque a me vengono due idee:

    1) qui “letteratura” ha un senso dispregiativo, come in Verlaine, e indica tutto ciò che non affronta l’estrema sfida della parola, ovvero quanto viene scritto senza «la potenza, l’urgenza e la spontaneità che possono nascere soltanto dalla certezza che la vita deve diventare “pace della giustizia e gloria della tenerezza”». Quinzio ce l’ha con chi scrive per scrivere. La vera letteratura non nasce affatto da un depotenziato senso del sacro (H. Bloom) ma, al contrario, è quella scintilla che scocca in chi SA che il mondo DEVE diventare gloria della tenerezza, ma continuamente constata che questo NON è ancora avvenuto. La parola forte nasce, insomma, dall’urgenza di una domanda di salvezza, consapevole o meno, ma indubbiamente intensa.

    2) personalmente considero la Bibbia letteratura: è un libro, ha le pagine, racconta storie, ci sono personaggi, c’è un inizio e una fine. Ma che la Bibbia sia un libro non cambia il significato della Bibbia, semmai cambia il significato della letteratura.

    Ed ecco come concilio il fatto che Quinzio fosse un gran lettore di romanzi e che abbia influito su tanti scrittori.
    Bye!
    paolo

  4. dreavilheadtz ha detto:

    “la parola discende da religione a poesia, a letteratura, a convenzionale strumento di comunicazione”

    C’è qualcuno che metterebbe al primo posto ‘Poesia’ e non saprei dove ‘religione’. L’uomo è portatore del Sacro e in qualche modo di Poesia. La letteratura potrebbe essere ‘odiata’ nella sua accezione di parola formalizzata, una parola depotenziata che da informale e autentica diventa formale, parallelamente potrebbe darsi che il Sacro diventi, depotenziandosi, ‘religione’ ovvero un sacro formalizzato. In ultimo lo strumento di comunicazione ovvero la razionalità strumentale e non Pura (come Sacra e Poetica). Questa potrebbe essere una chiave.
    Saluti, Iv

  5. irazoqui ha detto:

    la letteratura trattiene il compiersi definitivo del male, e quindi ,anche, del regno di dio. svolge, in questo senso, la stessa funzione anticristica della politica.
    non dimentichiamo che quella di sergio quinzio è un’esistenza spesa (e giustificata) tutta nell’orizzonte di cieli nuovi e terre nuove.

    irazoqui

  6. Regian ha detto:

    Raga sto post è più vecchio di me

  7. Regian ha detto:

    Seriamente , commentare su un post del 2006

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