Viaggio attraverso l’Eneide

Come preannunciato da Rosa Elisa Giangoia sul primo numero di BombaMag vi proponiamo una lettura-passeggiata all’interno del testo di Virgilio, con l’intento “di allargarne le sfaccettature di lettura dall’ambito storico-mitologico a quello più profondamente umano”.

Speriamo che sia l’occasione per tanti per risfogliare o scoprire un’opera di straordinaria modernità, che ci racconta la storia di un uomo sostenuto dalla sua speranza e da una tenace forza di volontà, così ci è sembrato leggendolo e così ve lo proponiamo.

Mercurio incita Enea a lasciare Cartagine

Mercurio incita Enea a lasciare Cartagine

Arma virumque cano” inizia l’Eneide, cioè “canto le armi e l’uomo”. Fin dal principio è evidente che l’oggetto del poema non sarà semplicemente un eroe ma un’intera collettività, in relazione alla quale il singolo può anche distinguersi ma rimanendo ad essa legato. Ciò che conta – e che l’autore ricorda nel suo proemio – è il percorso compiuto dall’eroe. Un percorso che assume senso non in relazione al singolo ma alla collettività, al punto che Enea dà sì il titolo all’opera ma non vi è esplicitamente nominato prima del verso 92.

Un altro termine rilevante che ricorre nei primi due versi è “fato”, Virgilio mette in evidenza che non la volontà ma il destino spinge Enea e questa considerazione non è motivo di sconforto ma dà autorevolezza alle sue vicende, poiché egli sopporta tutto con un alto fine, che viene immediatamente chiarito, fondare nel Lazio la città da cui sarebbe discesa Roma.
Lo sforzo di indagare le ragioni della sventura, che perseguita Enea e impedisce a lui e ai profughi di Troia di raggiungere la “terra promessa”, ci conduce al centro della vicenda. Come spesso nei miti antichi la colpa è della suscettibilità femminile: è Giunone che impedisce a Enea di compiere il suo destino, in parte ancora offesa per l’affronto ricevuto dal troiano Paride, che l’aveva ritenuta inferiore per bellezza a Venere – nella celebre gara che aveva poi causato il rapimento di Elena e la guerra di Troia – in parte poiché i fati hanno predetto la distruzione della su beniamina Cartagine ad opera dei discendenti dei Troiani. Il riferimento a Cartagine e alla sua guerra con Roma consente al poeta di fare indirettamente riferimento, attraverso un fatto noto e celebrato della sua storia, alla gloria dei Romani, alla loro forza e di ribadire che il loro impero non è semplicemente il risulatato del loro valore ma è esplicitamente voluto dal fato.

In un solo verso, ancor prima di iniziare il suo racconto, Virgilio riassume questi concetti, compendiando perfettamente i travagli che verranno raccontati e commisurandoli ai beni che da questi verranno. Egli riesce a inquadrare in un solo esametro tutta la narrazione successiva: “Tantae molis erat Romanam condere gentem” (En., I, 33), ovvero “un tale peso doveva costare fondare la stirpe romana”. Dopo questa solenne dichiarazione, da cui il lettore capisce che dovrà essere orientata la sua lettura, ha inizio il racconto.

Vediamo Giunone colma d’ira e per nulla intenzionata a desistere dal suo odio. Sa che ormai è rimasta la sola a perseguitare i Troiani, perchè la sua alleata durante la guerra Minerva ha cambiato idea, dopo che il greco Aiace Oileo ha strappato al suo altare Cassandra supplice durante la presa della città.
Decide comunque che non lascerà arrivare i Troiani ed Enea incolumi in Italia, si reca dal re dei venti, Eolo, e chiede il suo aiuto. In cambio promette che gli darà in sposa la bellissima ninfa Deiopea.
Colpiscono in questi versi le crude immagini con cui viene descritto l’affondamento della flotta greca ad opera di Minerva, adirata con Aiace. C’è un contrasto stridente tra la punizione che Minerva infligge giustamente all’empio che ha oltraggiato il suo tempio, e il fatto che Giunone voglia colpire allo stesso modo un uomo che poco prima è stato definito “insignem pietate”, cioè illustre per la sua pietà religiosa.
Giunone si propone subito come un personaggio tale da turbare, per ragioni puramente personali, l’ordine consueto, sia esso quello dei venti o l’ordine morale che prevede la punizione per l’empio, non certo per chi è pio. Il fatto che le sue azioni trovino ragione nella sua sola ambizione e che questa la conduca a cercare di opporsi al destino che vuole Cartagine distrutta dal sangue troiano ne fa la perfetta antagonista di Enea che, abbiamo visto, piega la sua volontà alla forza del fato, anche a costo della propria sofferenza, e concepisce il proprio operato in relazione agli uomini con cui compie il suo viaggio.

La prima sensazione che si attribuisce a Enea non appena compare nel poema è singolarmente la paura: avverte che una tempesta incombe e un fremito lo attraversa (En., I, 92). Congiunge le mani in un moto di disperazione, rimpiangendo di non essere morto in guerra. È un eroe diverso da quelli omerici, deve costantemente rinvenire in sé la forza per far fronte agli eventi e non cadere preda dello sconforto.

Finalmente Nettuno, accortosi dello sconvolgimento che ha preso i flutti, vi pone rimedio e sette navi scampate alle onde trovano rifugio sulla costa libica.
Rilevante è la similitudine che Virgilio usa per descrivere l’immediato ritorno all’ordine dei flutti sotto l’autorità del dio del mare: pari a quanto la folla in tumulto si placa, spinta dall’autorevole figura di un anziano e stimato cittadino. In genere sono le immagini tratte dal mondo naturale che spiegano l’agire umano, qui invece è al contrario, la tempesta, che spesso i poeti usano come metafora delle discordie civili, viene illustrata con la similitudine dei conflitti politici, che tanta parte avevano avuto nella storia romana ai tempi di Virgilio e che sicuramente il poeta non ricorda per caso all’inizio del suo poema.

Riparatisi al sicuro i Troiani, Enea provvede a procurare cibo ai compagni con una caccia che ha del miracoloso, non solo perché egli caccia sette cervi pari al numero delle navi che hanno raggiunto la costa, ma soprattutto per la straordinarietà del fatto di trovare cervi su una spiaggia africana. Avendo provveduto ai loro bisogni materiali, da capo, consapevole dei suoi doveri e della priorità con cui svolgerli, li rincuora con un breve discorso: conformemente a quello che da subito ci è stato presentato come il suo tratto caratterizzante, la pietà religiosa, rafforza nei suoi compagni la fiducia nella divinità e in un futuro che non può deluderli poiché è sotto l’auspicio del dio. Fa ciò ricordando le passate sventure, mentre il Lazio viene presentato come la terra nella quale la quiete potrà sostituire l’affanno presente.
Dal poeta apprendiamo però il contrasto tra le parole di Enea e le preoccupazioni che lo affliggono nel profondo del suo animo: “talia voce refert curisque ingentibus aeger / spem voltu simulat, premit altum corde dolorem” (En., I, 208-9), “dice tali parole e turbato da pesanti preoccupazioni finge speranza nel volto, reprime nel cuore un profondo dolore”. L’eroe ci appare caratterizzato da una profonda umanità, anche se esteriormente rimane sempre compreso nel suo ruolo di guida.

Calata la notte sui troiani la scena si sposta in cielo tra gli dei. Venere, preoccupata dalle continue sventure del figlio Enea, chiede spiegazioni e ragione al padre Giove del continuo tormento cui è sottoposto, sbottando nell’ironica domanda se sia questo il premio che la sua pietà vale a Enea. Il padre degli dei risponde da genitore benevolo e affettuoso, dissipando ogni dubbio della figlia, illustra la gloria che ai discendenti di Enea è riservata. Per bocca di Giove trova compiuta espressione – e autorevolezza – il senso della guerra romana, egli proclama infatti dinnanzi a Venere che il popolo di Enea con la guerra porterà usi e fonderà mura, il che vale a dire esporterà la civiltà.
Giove garantisce che i successori dei Troiani avranno la loro rivalsa sulle città greche e anzi che guideranno un impero grande quanto il mondo, sotto lo scettro di un Giulio discendente diretto di Iulo.
Ancor più importante Giove promette la pace, la chiusura del tempio di Giano, che voleva dire la fine delle guerre in ogni parte dell’impero, e Remo e Quirino (nome con cui Romolo veniva venerato dopo la sua assunzione tra gli dei) pronti a dare le stesse leggi, ovvero i due fratelli, al cui conflitto, durante le guerre civili, si imputava l’odiosa propensione dei romani a volgere le armi gli uni contro gli altri, pronti a ricongiungere in perfetta armonia i loro sforzi.
Il discorso del dio è suggellato dall’invio sulla terra di Mercurio che ha il compito di far sì che la regina Didone che regna da Cartagine sulla costa africana, ignara del pericolo che quei profughi rappresentano per la sua città, li accolga benevolmente.

Giunta nel frattempo l’alba, Enea, dopo avere nascosto al sicuro le navi, prende con sé Acate per esplorare il territorio ancora ignoto. In una selva gli si fa incontro la madre, sotto le spoglie di una dea dei boschi, gli spiega chi domina quella terra. Venere indugia sulla storia della sua regina: Didone legata da un immenso amore al marito Sicheo è fuggita dalla città fenicia di Sidone, dopo aver appreso la morte di questi per mano del fratello Pigmalione. È interessante per quello che avverrà in seguito che Enea senta parlare per la prima volta di Didone proprio dalla dea dell’amore.
Venere rinsalda la fiducia del figlio negli dei e nel loro favore per lui, poi scompare e proprio un lampo di bellezza, che rifulge sulla sua persona mentre sta per andare via, rivela al figlio l’identità della madre.

Enea e Acate proseguono e, mentre avanzano indisturbati perché Venere ha provveduto a celarli dietro una nube che li protegge dallo sguardo altrui, ammirano il proliferare di opere compiute dai Cartaginesi che, da poco giunti dall’oriente, stanno edificando la loro città. Non senza una punta d’invidia il condottiero troiano esclama: “O fortunati, quorum iam moenia surgunt”, “fortunati voi, le cui mura sorgono già” (En., I, 437).
Enea è ancora titubante e timoroso, ha bisogno di una conferma che gli venga dagli eventi e questa non si fa attendere. Nel bosco rigoglioso dove Didone ha edificato un tempio a Giunone, mentre attende la regina, osservando la maestosa costruzione, Enea si accorge che il tempio è effigiato con scene ispirate dal conflitto troiano e capisce che la loro fama, proprio nel tempio della sua persecutrice più tenace, potrà portargli salvezza. Quasi viene realizzato ciò che Giove ha preannunciato alla figlia e cioè che verrà il giorno in cui anche Giunone deporrà il suo astio.
Le scene del conflitto anticipano il contenuto e l’atmosfera del secondo libro, in cui Enea ripercorrerà il triste momento della caduta di Ilio. Lo sguardo dei due Troiani si perde vagando dall’immagine delle schiere greche incalzate da quelle troiane a quella di Troilo, figlio di Priamo, ucciso da Achille, da quella di Priamo supplice che chiede la restituzione del corpo di Ettore a quella di Pentesilea fiera alla guida delle sue Amazzoni.

Proprio mentre sono immersi in questa contemplazione entra nel tempio Didone. La regina al suo primo apparire è descritta mentre svolge gli uffici legati alla sua carica, immersa in un’atmosfera sacrale. La giustizia guida ogni sua azione e tutte le decisioni che, come capo di un popolo agli inizi della sua vicenda storica, deve prendere. Questo aspetto accomuna Didone ed Enea avviandoci a un confronto che si chiarirà meglio nel proseguo.
Mentre Enea e Acate continuano a rimanere nascosti, si accostano alla regina per chiedere soccorso i rappresentanti delle navi troiane che si erano distaccate dalle altre sette nella tempesta. Enea è rincuorato dal loro arrivo, ora sa che solo una delle navi è affondata e che gli altri compagni sono vivi e sono arrivati alla sua stessa riva, tuttavia per prudenza, non sapendo ancora quale sarà la risposta della regina, decide di rimanere celato.
A prendere la parola è Ilioneo, il più autorevole dell’ambasceria che si è presentata a Didone. Egli ripercorre le sventure, le speranze, l’ultima sciagura che li ha colti e l’angoscia nel non sapere il destino degli altri sovrani e quello del capo della spedizione, Enea. Chiede alla regina ospitalità e soccorso per poter ripartire e riunirsi a Enea oppure, se questi non è sopravvissuto, a Aceste, l’eroe troiano che aveva fondato un regno in Sicilia e della cui ospitalità avevano già goduto.
I termini di distruzione, ricostruzione e salvezza si alternano nel discorso di Ilioneo, quasi a sottolineare l’altalenare nell’animo dei naufraghi di speranza e disperazione. Egli punta sulla sacralità dell’ospitalità per ottenere l’aiuto di Didone.

Come Enea aveva previsto la salvezza viene ai Teucri dalla fama delle loro sventure: Didone, che le conosce bene e che ha provato sulla sua pelle cosa significhi cercare una nuova patria attraverso le onde, promette loro ogni aiuto. Anzi si offre di inviare uomini lungo le coste che verifichino se ci sono altri sopravvissuti.
L’eroe ormai sicuro della protezione della regina decide finalmente di manifestarsi. Didone invita i naufraghi a recarsi nella reggia perchè qui possa avere luogo un banchetto con cui sancire la nuova amicizia, mentre Enea ordina che sia fatto venire il figlio Ascanio che rechi alla regina doni degni tratti da ciò che del tesoro troiano è sopravvissuto alla distruzione di Troia e al naufragio.

Nel frattempo preoccupata di garantire l’incolumità del figlio Venere architetta un piano, affinché Giunone non spinga la regina a venir meno alla parola data: sostituisce ad Ascanio Cupido perché accenda di un nuovo amore il cuore della regina.
Durante il banchetto Didone chiede a Enea di raccontare le sventure del suo popolo, la sua richiesta chiude il primo libro, mentre la lunga narrazione di Enea occuperà i due libri seguenti.

Leggi i 11 commenti a questo articolo
  1. saverio simonelli ha detto:

    Grazie per riportare alla nostra attenzione il poema e il poeta più grande della nostra storia. Attendo con ansia il seguito. Complimenti

  2. Paolo Pegoraro ha detto:

    Che bello, mi son sempre ripromesso di leggerla e poi… chissà che almeno a puntate ce la faccia, ergo: grazie! Che mi dite della recente versione di Sermonti?

  3. maria ha detto:

    Non l’ho ancora letta, l’ho solo sfogliata in libreria ma credo che alla fine della lettura si potrebbe fare un po’ di “storia della lettura” dell’Eneide e parlare, quindi, anche dell’opera di Sermonti.

  4. elisa ha detto:

    mi piace leggere in questo modo questo grande poema che conosco appena,è appassionante! Avrei una richiesta,mi rivolgo a questo sito perchè mi pare il più attinente: sono pittrice di affreschi,ho bisogno di trovare immagini di dipinti che rappresentino scene dell’eneide. Potete inviarmi informazioni o titoli di testi che ne riportino’ Devo affrontare un lavoro impegnativo che illustri storie dall’eneide,ho bisogno di ispirazione emolti spunti. Grazie fin d’ora a chi vorrà rispondermi,complimenti per ciò che fate

  5. chiara ha detto:

    bello!!!!

  6. giusy ha detto:

    complimenti!!!davvero interessante!

  7. diletta ha detto:

    grazie mi è servito molto per fare la scheda di lettura del poema!!! Grazie davvero!!!

  8. mmm ha detto:

    certo che vidivertite cn poco è…che barba…..

  9. luana ha detto:

    grazie mille….!!!MI e servuto moltissimo..

  10. chiara ha detto:

    un bel sito anche se a me serve l’eneide poema di sventure e di gloria p.s oggi è il mio compleanno

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