Casa

Mi trovavo in Romania per un convegno internazionale e, durante un giorno di riposo, due professori della locale Università stavano guidando tre di noi in un giro turistico per Sibiu e Sighisoara. Eravamo: una collega australiana, un collega spagnolo e un italiano, il sottoscritto. Una bella gita, davvero. Passeggiando con la collega australiana parlavo, e non mi ricordo bene perchè, delle radici, così siamo passati a parlare delle nostre radici.

Lei mi diceva di essere australiana, ma che le sue radici erano turche e greche, ben rivelate queste ultime dal suo cognome. Vedevo che il suo discorso teneva in grande considerazione queste radici, come qualcosa di veramente importante per lei. Parlando di Australia mi diceva che il suo Paese è un insieme variegato di culture e ascendenze. Il suo modo di ragionare, però, le sue categorie mentali, erano del tutto “occidentali”, direi meglio decisamente di area “anglofona”. Allora le chiesi: “senti, ma tu ti senti australiana?”, “che cosa significa essere australiani?”. E ancora: che cosa significa per te “casa” (cioè home non house)? Che cos’è “casa”? La risposta non è venuta in maniera diretta. Abbaimo continuato a parlare a lungo…

La risposta è venuta da me nel momento in cui lei mi ha chiesto cosa sia “casa” per me. Sono nato a Messina, dove ho vissuto i miei primi 21 anni. L’altra metà della mia vita l’ho trascorsa tra Genova, Padova, Napoli e Roma, per non citare altre città dove ho trascorso almeno più di un mese di fila (Torino, Reggio Calabria, L’Aquila, Londra, Parigi, San Francisco, Cincinnati) o periodi di qualche settimana (Bologna, Carrara, New York, Dublino…). Tutte queste città mi sono passate davanti agli occhi e come uno scanner le ho “lette” riconoscendomi magari più a casa in un luogo dove ho vissuto qualche settimana piuttosto che in un luogo dove ho vissuto alcuni anni.

E poi so che qui dove sono adesso non è la mia stabile dimora. Per la mia scelta di vita, potrei cambiare, e non dipenderebbe sostanzialmente dalla mia volontà. D’altra parte nelle città precedentemente citate, in genere, ho sempre avuto le chiavi di casa, il frigorifero a disposizione, e gente che, quando torni a casa, ti dice “ciao!” anche se ti conosce appena.

Che cos’è dunque casa per me? Ho l’impressione che questa “idea” per me si sia purgata di tutto ciò che non è essenziale, di tutti i suoi connotati più evidenti e ovvi, più “normali”. No, non dirò che per me il mondo intero è una casa. Non è vero e non può esserlo in senso proprio e stretto, anche se in quella affermazione c’è qualcosa di vero per me. Devo “ammettere” che sono aperto alla possibilità che qualunque posto del mondo (o quasi, adesso sto esagerando, me ne rendo conto) possa per me diventare “casa”. Così, almeno, è stato fino a questo momento.

Ma la domanda resta là. Dunque, che cos’è in definitiva per me “casa”? Quando mi sento a casa? Una cosa per me è chiara: la casa non si sceglie. Ci si ritrova a casa. Ci si ri-trova. Ti rendi conto che quando sei là ti senti a tuo “agio”, ci stai comodo, come dentro un vestito che ti sta bene e ti “dona”, ti regala un’immagine di te tale che tu non ci pensi più, e ti “rilassi”, ti ri-lasci nell’ambiente.

Ungaretti ha detto bene, quando, ricordando il fiume Isonzo, scrive: Mi sono riconosciuto / una docile fibra / dell’universo. E’ una sensazione che molti di noi hanno provato nel divano di casa, dopo una giornata frenetica, riscaldati da pigiama e pantofole. Ed è vera.

Allora quando questo accade? Quando mi sento “docile fibra”? La mia risposta è che per me “casa” è l’intreccio armonico di queste fibre, cioè, fuori di metafora, casa sono le relazioni significative nelle (non “dalle”) quali mi sento accolto. Io sono a casa se e quando sono con persone e tra cose che mi rendono un luogo “casa”. E in questo c’è qualcosa che potrei definire “indispensabilità”. La casa è indispensabile. Per chiunque.

C’è sempre un “quid”, qualcosa che sfugge alla comprensione immediata e che mi fa sentire di essere a casa, evidentemente. Non basta essere tra persone veramente care e circondato da oggetti con i quali c’è una forma di sintonia (perchè anche con la materia si stabilisce sintonia o anche distonia, non solamente con le persone!). C’è bisogno che tutto il tessuto di relazioni si componga in una forma armonica. Io posso infatti trovarmi tra persone che amo e che mi amano, ma vivere queste belle relazioni in una prigione: questo non risponde al criterio di “casa”, si capisce.

Deve esserci una dimensione d’ambiente che mette in relazione le relazioni. Un’altra cosa mi colpisce nella mia vita: che spesso i miei amici diventano amici tra loro. E’ una cosa che mi colpisce e mi da immensa gioia, quando accade. Forse sarà il mio modo di costruire case…

In ogni caso, è evidente a questo punto che sto parlando di qualcosa che non tocca il passato, ma non fa parte esclusivamente del passato. Per me casa non sono le radici remote. Casa e radici sono due concetti ben distinti e separati. Per me casa non è un concetto che appartiene al passato, non è il luogo di un “ritorno”, al quale semplicemente si ritorna.

Le relazioni si costruiscono, si intessono e il lavoro di tessitura è continuo, in divenire, sempre “in progress”, una mediazione continua tra passato e futuro. E, come più volte si è detto a BombaCarta, “il passato viene dal futuro” perchè è il desiderio che orienta la memoria.

Casa dunque è un concetto dinamico e progressivo, mobile, plastico, non un concetto meramente legato a ciò che ci precede. La casa ci anticipa, è davanti a noi, ci precede perfino. E’ terra promessa più che ricordo nostalgico. A casa ci si va, non solamente ci si torna. La casa la si cerca e la si trova. La casa è sempre in costruzione, in movimento, in fase di trasloco, pur rimanendo sempre casa. A volte è persino un ponte. Casa è un concetto fluido che non mette in discussione le radici ma, al contrario, le fa fruttificare fino a generare rami che si muovono in alto nello spazio, spesso carichi di frutti.

La casa è un seme.

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  1. Angela C ha detto:

    Per sentirmi a casa io ho bisogno di riflettermi in tutto ciò con cui interagisco, in cui scorrazzo, tocco, incontro, ho bisogno di scoprirvi in parte un mio riflesso o un’assonanza che mi desti il senso di una famigliarità. Se manca io non sono a casa e, traslando il concetto nell’ambito dei rapporti umani, non potrò mai essere casa per alcuno!

    Ma una casa diventa veramente la “mia” casa, a cui voluttuosamente mi concedo, quando, insieme a me, iniziano ad abitarla pezzi di tempo. Lentamente si rivela un valido contenitore dell'”accaduto”, quasi un memoriale di persone, di certo il diario di un quotidiano: familiarità è anche l’ambito in cui il presente si annoda costantemente e pazientemente al passato.

    Ma ciò può voler dire che, per essere casa o trovare casa “per o in” qualcuno, è necessario che il tempo scorra tra me e l’altro, dandoci le opportunità di scorgere e selezionare ciò che ci unisce, e che arriverà ad intrecciarsi a tal punto da immortalare l’attimo di un respiro unisono, che dà inizio a un cantiere in costruzione.
    Molte volte nella semplice generosità dell’ascolto è il primo mattone…

  2. Paolo Pegoraro ha detto:

    Casa fluida… casa che ci avvolge… casa mai identica a se stessa… ambiente con cui si entra in osmosi… ciò mi ricorda profondamente la Casa Che Muta ne «La storia infinita» di Michael Ende, con la sua indimenticabile anima, la Donna Aiuola.

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