Su “Sunset Limited” di C. McCarthy

Questo articolo è il commento a Sunset Limited scritto da Laura Angeletti, 15 anni, della  1^ C, una delle classi in cui ho dato da leggere il romanzo di C. McCarthy.

L’opera letta in classe, Sunset Limited di McCarthy, ha la struttura di una sceneggiatura teatrale, dal momento che è composta esclusivamente da dialoghi inframmezzati da didascalie che descrivono in poche righe movimenti o espressioni dei personaggi. I dialoghi possono essere efficacemente paragonati a mosse di un incontro di boxe senza esclusione di colpi, domande stringenti poste con ferrea insistenza alle quali conseguono deduzioni tanto banali quanto dolorose per l’interlocutore.

I personaggi sono due: un Nero e un Bianco (non vengono definiti sotto altri punti di vista) e si trovano nel piccolo appartamento del Nero, dialogano nella cucina, dalle due parti di un tavolo sul quale sono poggiati una Bibbia e un giornale; solo questi pochi elementi sarebbero sufficienti per delineare le contrapposizioni tra i due (Nero e Bianco; parole valide per l’eternità e parole che invecchiano dopo un giorno).

Il lettore si trova catapultato nel bel mezzo dell’azione (inizio “in medias res”)infatti i due si trovano già a lottare nella posizione d’attacco sul ring(fuor di metafora stanno dialogando) ma leggendo viene a sapere che il loro è stato un incontro fortuito dettato dalla disperazione del Bianco e dall’altruismo del Nero, dal momento che il Bianco stava per farsi schiacciare da un treno (il Sunset, appunto) e il Nero prendendolo in braccio l’aveva sottratto alla morte.

Nel corso dell’incontro sul ring emergono aspetti inquietanti ma emblematici delle vite e delle personalità di entrambi: il Bianco sente di vivere una vita in decadenza, non è mai andato a trovare il padre in punto di morte per non assistere allo sfacelo di una persona cara, e assiste al declino verso cui si dirige inesorabile il mondo occidentale in cui aveva riposto tante speranze. Sembra che tutto nella sua vita lo abbia condotto allo spettacolo frustrante del decadimento delle cose che amava, non ne può più e desidera solo di uscire da questa penosa situazione. Il Bianco (chiamato dal Nero “Professore”e che esercita davvero questa professione) ha un anima piena di sensibilità dal momento che non voleva infliggere ad altri lo spettacolo di sofferenza che lo induceva a fuggire, quindi architetta il proprio suicidio in modo da non essere notato da nessuno, in particolar modo dai bambini. Dalle sue parole emerge chiaro e ineluttabile un senso di totale assenza di fiducia nei confronti del mondo intero: le sue parole asciutte e sempre controllate denotano un distacco impressionante dalla realtà del mondo che lo circonda: sa già che fine farà, quel mondo, ma vuole farla prima lui quella fine, in definitiva si potrebbe dire che ha paura del futuro che lo aspetta e si sente solo, dopo essersi così isolato dalla realtà che lo circonda.

Il passato del Nero è altrettanto doloroso ma per altri versi: è stato a lungo in carcere dove nel corso di una rissa tra detenuti ha picchiato un uomo fino a menomarlo, ora nel suo piccolo appartamento offre rifugio ad alcolizzati e tossicodipendenti, che ricambiano la sua ospitalità rubandogli i pochi oggetti che possiede.

Il Bianco è animato da un profondo senso di sconforto e di sfiducia, il Nero invece guarda speranzoso al domani nel suo continuo impegno per migliorare quel poco di realtà su cui è in potere di agire, la forza che comporta tale differenza di atteggiamento corrisponde con il fulcro del libro: la Fede in Dio.

Il Nero ha una Fede profonda che gli dà ogni giorno la forza per andare avanti e per agire per il bene  degli altri, ha trovato questa Fede in uno dei momenti più bui della sua vita,quando nell’infermeria del carcere in cui si trovava dopo la rissa ha riflettuto seriamente su quanto aveva commesso: nel momento di massimo sconforto una voce è accorsa in suo aiuto, l’ha aiutato a riemergere dal buio e ora è per questa voce che ogni giorno si impegna tanto per aiutare persone in difficoltà.

Il Bianco è ovviamente ateo il suo freddo razionalismo non prevede nulla al di fuori di quello che è dimostrabile e oggettivo… lo stato di corruzione in cui versa il mondo che ama non gli sembra certo la prova dell’esistenza di un Dio buono e misericordioso. Il Nero si impegna al massimo per farlo ricredere, per fargli capire che qualcosa oltre lo sfacelo c’è e che basta riconoscerlo per dare significato alla propria vita, ma il Bianco ha sempre una risposta pronta che giustifichi il suo atteggiamento disfattista e anche nei momenti in cui sembra “prenderle” dal Nero si rifugia nei suoi silenzi carichi di dubbi pur di non spostarsi dalla posizione che ha assunto.

L’incontro va avanti così, tra i disperati tentativi del Nero che vorrebbe trasmettergli il proprio entusiasmo e il proprio attaccamento alla vita, che cerca in ogni modo di farlo desistere dai suoi progetti suicidi e le fredde risposte del Bianco, l’uno prevale alternativamente sull’altro e lo scontro è intervallato dai ricorrenti tentativi del bianco di lasciare la casa del Nero, tentativi che si rivelano fallimentari dal momento che il Nero lo convince sempre a rimanere … Fino a quando il Bianco si risolve ad andarsene definitivamente, rivolge misurate parole di ringraziamento e arriva determinato fino alla porta che apre, attraverso la quale fugge. Il Nero lo segue fino allo stipite, poi lo chiama, sapendo che il Bianco si trova sulle scale e può sentirlo, ripete il suo nome tra le lacrime e singhiozzando gli assicura che la mattina dopo egli si troverà di nuovo alla stazione ad aspettarlo, che si rivedranno …Inginocchiato dai singhiozzi, si rivolge a Dio e gli chiede perché gli ha mandato quell’uomo se sapeva che non lo avrebbe convinto; il libro sembra concluso, poi scorrendo con lo sguardo si notano parole apparentemente senza senso che il Nero sembra rivolgere a sé stesso “Va bene? Va bene?” ma che probabilmente sono domande dovute alle parole di un altro interlocutore, quello cui si stava rivolgendo disperatamente pochi secondi prima, Dio.

È un libro davvero particolare sotto vari punti di vista: è pieno di frasi brevi e lapidarie che al primo impatto potrebbero apparire banali o non degne di interesse particolare ma che, lette meglio, rivelano tutta la forza del loro significato, frasi che lasciano senza parole l’interlocutore come un destro ben assestato o che al contrario trasmettono un forte senso di speranza,il tutto dietro parole semplici e quotidiane. Per caratterizzare i personaggi l’autore ha scelto due “tipi umani” facilmente stereotipati, il professore bianco e l’ex detenuto nero, ma subito emerge la carica innovativa del testo: il nero nonostante tutto quello che ha vissuto ha un incrollabile forza e decisione ad andare avanti ma non da solo, bensì aiutando le persone che lo circondano; al contrario il bianco pur nella sua esistenza tranquilla (vissuto in una famiglia probabilmente benestante, ha avuto la possibilità di studiare e di diventare professore, al momento narrato esercita una professione onesta che gli assicura una sopravvivenza priva di preoccupazione) desidera solo di farla finita in mancanza di una motivazione valida che gli faccia sopportare la decadenza cui assiste ogni giorno. Altro tratto caratteristico è la durezza dei contenuti e il modo in cui sono espressi, non ci sono mezze parole o eufemismi, la realtà, specialmente dalla bocca del nero è resa in tutta la sua crudezza. Allo stesso modo, però, il Nero con la sua schiettezza e il suo entusiasmo fa di tutto per esaltare la bellezza della vita agli occhi dell’interlocutore, apparentemente senza successo.

Nel libro uno dei temi più evidenti è quello della disperazione dovuta all’impotenza: quella del Bianco che non può fare nulla per impedire lo sgretolamento delle cose che ama e quello del Nero che non può fare nulla di fronte alla testardaggine del Bianco; è proprio questa consapevolezza unita alla vanificazione di tutti gli sforzi che rende il finale sospeso così lacerante e doloroso, per il Nero, ma soprattutto per il lettore, che dopo aver assistito all’incontro di boxe sperando nel successo non di uno dei due pugili ma della bellezza della vita di fronte alla disperazione dell’oblio rimane senza sapere cosa succederà e potendo solo immaginare il finale che desiderava dalla prima pagina.

Ma soprattutto penso che a rendere questo libro così particolare sia la sua forza intrinseca che avvince il lettore facendogli desiderare di non interrompere la lettura anche se tecnicamente l’argomento era un fatto che rientrava tranquillamente nel quotidiano, ovvero il dialogo tra uomini che si erano appena conosciuti.

Leggi i 9 commenti a questo articolo
  1. Anonimo ha detto:

    “sceneggiatura” non “scenografia”!

  2. matteo ha detto:

    Professore, sono Matteo ex 3A ricorda? nn sapevo del sito nè dell’associazione..nn ne ha parlato a lezione bravo.
    comunque mi fa piacere di averla trovata qui: ho saputo del libro ke ha pubblicato! mi dispiace di nn esser potuto venire alla presentazione ma avevo un esame a giorni.
    Nn si arrabbierà se qualche volta vengo a farle un saluto vero?Arrivederci

  3. Carlo ha detto:

    Bella recensione di un grande libro!

  4. manuela ha detto:

    Bella davvero la recensione di Andrea, è come leggere una pagina in più dei libri di C. McCarthy, ci prende alle prime righe e ci lascia alle ultime senza mollarci, e ci trasmette quel fuoco e quella bontà tipica di alcuni personaggi di C. McCarthy.
    Dopo aver letto la recensione, subito, mi sono collegata a un altro libro dello stesso autore: La strada.

    In uno scenario desolante, dove il pianeta è ridotto a un ammasso di cenere, a un cumulo di macerie di quelle che furono pazzi e palazzi, in questo cataclisma un padre e un bambino viaggiano attraverso le rovine verso l’ Oceano.

    Nonostante la paura dell’ignoto destino, il bambino si preoccupa per un altro bambino che ha incontrato per strada ed è rimasto solo.
    Nelle ultime pagine il dialogo fra padre e figlio svela il senso del fuoco che portano dentro di sé:

    …te lo ricordi quel bambino, papà?
    Sì, me lo ricordo.
    Secondo te sta bene, quel bambino?
    Ma certo. Secondo me sta bene.
    Secondo te si era perso?
    No. Non credo che si fosse perso.
    Ho paura che si fosse perso.
    Secondo me sta bene.
    Ma chi lo troverà se si è perso? Chi lo troverà quel bambino?
    Lo troverà la bontà. È sempre stato così. E lo sarà ancora.

    Andrea Monda, un professore dal cuore grande se i ragazzi lo cercano, un critico letterario che ci fa sentire e vedere in dissolvenza la sua bontà e la sua fede.

  5. Andrea Monda ha detto:

    Grazie Manuela, per le toccanti parole nei miei riguardi e soprattutto per la splendida citazione de La strada. Voglio precisare che il testo che è stato pubblicato non è mio ma di una mia alunna, Laura Angeletti della classe 1^ classico. Probabilmente pubblicherò presto un mio lungo articolo su Sunset Limited, ma ci vuole ancora qualche settimana…please wait.. Grazie ancora!
    Andrea

  6. manuela ha detto:

    Grazie a Te Andrea, sei un critico letterario che mi illumina la via.

    Grazie di tutto cuore, sono in attesa di leggere il tuo articolo.

    Sei la bussola per il mio viaggio nella scrittura, proprio come i tuoi allievi.

  7. Alunna ha detto:

    Professoreeeeeeeeeeeeeeeeeee anche qua!

  8. Manuela ha detto:

    Non c’è che dire a Bombacarta i professori sono pezzi da 90.
    Andrea è sempre attento puntuale e preciso a riconoscere i meriti alle persone.
    Ma lui si sa valuta e scrive con l’anima.

  9. Riccardo ha detto:

    Che brava la mia ragazza!!! Mi ha fatto quasi venire voglia di leggerlo questo libro…

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