Tondelli, temporale di grazia

TondelliLa letteratura è un fatto umano e non è mai qualcosa di neutro nei confronti della vita: questa è una lezione che lo scrittore emiliano Pier Vittorio Tondelli – nato nel 1955 e prematuramente ucciso dall’aids a soli 36 anni – ha dato con lealtà e coerenza fino ad avvertire i propri scritti, come leggiamo nel suo ultimo romanzo, Camere separate, con gelosia e vergogna: «Sente insomma quel libro, o altri che ha scritto, come il suo corpo spogliato. Non una emanazione di sé, una proiezione, un transfert, ma proprio, realmente, il suo corpo». Mi sono occupato della sua opera per anni, a partire dal 1995, colpito dal profondo desiderio si salvezza che esplode in quelle pagine, assumendo ora accenti dionisiaci ora forme legate profondamente a simboli religiosi e a una vita di fede compiuta. Ho voluto studiare Tondelli nella sua biblioteca privata di Correggio, nella quale sono stato accolto dai suoi familiari. Nel totale rispetto dei ricordi dei suoi cari e della vita personale dello scrittore, ho potuto aggirarmi tra i suoi libri, i suoi appunti, le sottolineature… alla ricerca del suo volto più profondo.

Dopo mesi di lavoro, mi restava ancora oscuro il Tondelli che fa il bilancio della sua vita, il Tondelli degli ultimi giorni. Esaminando uno per uno i volumi della sua libreria, nell’estate del 1996, però è letteralmente saltato fuori un volume bianco Longanesi. Si trattava della Traduzione della prima lettera ai Corinti di Giovanni Testori, pubblicata nel giugno del ’91, sei mesi prima della morte di Tondelli. Il testo appariva annotato a matita con grafia incerta. E questi appunti risultavano fino a quel momento ignoti. Difficile esprimere l’emozione di quel ritrovamento. Nino Nasi, il suo librario «storico» di Reggio Emilia, successivamente mi confermò che quel volume era tra quelli ordinati dallo scrittore mentre si trovava in ospedale, e come riprova mi fece vedere la lista che aveva conservato. Insomma: si trattava di un acquisto voluto, mirato.

Quanto a noi, / il pensiero di Cristo / lo possediamo sì, / ma solo lì / nella sua carne / inchiodata alla Croce: fine del secondo capitolo della Traduzione. È tra questi versi che Tondelli lascia uno dei suoi primi segni di lettura. Gli appunti appaiono datati. Nella notte tra il 7 e l’8 settembre Tondelli annota con scrittura sincopata in una pagina bianca alla fine del volume: «tutta questa ricerca del passato, questo ossessivo andare all’indietro e ricordare particolari apparentemente insignificanti, questa felicità anche del ricordo, se è servita a alleviare il senso di colpa e di nuovo a capire le ragioni della vita ora, improvvisamente, […] non basta più, ora è un intoppo, una stupidaggine. È vero. Io ho sempre pensato che la scrittura avrebbe potuto, magari in anni e col lavoro, “salvare” la storia miserrima [] (la mia) in un canto epico [l’espressione «canto epico» è sottolineata]… (un epos). E forse ci sarei riuscito []. Ma non sarà così. La letteratura non salva, mai tantomeno l’innocente. L’unica cosa che salva è la fede [ma qui Tondelli ha un ripensamento e tra l’articolo e il sostantivo inserisce in maiuscolo la parola] Amore e la ricaduta della Grazia che [è] come il temporale».

Queste parole appaiono di forza dirompente. L’appunto tondelliano ricorda (anzi, quasi sembra citare a memoria) le parole di Jean Cocteau a Jacques Maritain: «La letteratura è impossibile, bisogna uscirne, ed è inutile cercare di tirarsene fuori con la letteratura perché solo l’amore e la Fede ci consentono di uscire da noi stessi». Tondelli, proiettando la propria esperienza di scrittore nell’orizzonte di senso che trova nella traduzione testoriana di San Paolo, vede che l’epos stesso è impotente, cioè non inutile, ma debole, servo della vita e non assoluto.

La notte seguente, tra l’8 e il 9 settembre, Tondelli ancor più lucidamente annota: «h. 4, 15 quello che il destino mi ha poi riservato non è stato tanto, come avrei creduto, un percorso o, forse una evoluzione verso l’assoluto della scrittura e della finzione più alta [l’espressione «della finzione più alta» è cancellata e sostituita con] letteratura, quanto un ritorno rovente al mondo del mio primo libro al punto da dividere, coerentemente alla mia natura di scrittore, di quelli che hanno in sostanza solo dei personaggi, la stessa purtroppo vera e ora sì reale, vissuta, sorte tanatologica». Il primo libro di Tondelli, Altri libertini, si compone di sei storie di giovani narrate in presa diretta in un linguaggio immediato ed emotivo. Il libro trasuda di tensioni centrifughe e deraglianti. L’opera per breve tempo venne ritirata dalle librerie perché ritenuta «luridamente blasfema». Tondelli, alla fine della propria vita, ancora riconoscendosi nelle pagine del suo primo libro di giovani «belli e dannati», compie un «ritorno rovente» a quel mondo, condividendo in maniera «purtroppo vera e ora sì reale, vissuta» la stessa sorte estrema dei suoi personaggi.

Qualche giorno dopo, il 14 settembre, giorno del suo compleanno e festa liturgica dell’Esaltazione della Santa Croce, Tondelli scrive in uno spazio bianco alla fine del terzo capitolo della Traduzione testoriana: «Oggi 14 settembre 91 giorno del mio 36° compleanno ho provato l’umiliazione della croce e della madre dell’innocente. La vergogna. Voglio stare chiuso in questa stanza e non uscirne… È una giornata di festa e di Gloria per la Chiesa, la gloria del patto di redenzione. Ma io sono sopraffatto nei miei errori». Tondelli aveva appena letto Paolo che, con la voce di Testori, diceva: Ma voi / di Cristo solo / siete / è Cristo / è di Lui, / Dio. Il senso tragico e ustionante degli appunti non deve condurre a una lettura moralistica, che non renderebbe ragione al senso di queste parole da leggere con estremo rispetto. L’espressione «madre dell’innocente» ricorda lo «strazio del silenzio della madre ai piedi della croce» e di cui leggiamo in Camere separate. Lì Leo, il protagonista, fa memoria di quando da adolescente viveva la processione del Cristo morto, portando sulle sue spalle il peso di una «statua issata su un trono di legno massiccio». Leo/Pier Vittorio adesso invece sente non di «portare addosso» la statua del Cristo morto, ma di «aderire» a quel Cristo lì: un eco di quel di Cristo solo / siete appena letto, forse.

Alla fine del quarto capitolo in una pagina bianca del libro troviamo una conferma: «Così arriverò alla Messa in Dies Natalis, quella a cui dentro o fuori la basilica dei Santi Quirino e Michele parteciperà il mio corpo scarnificato. Da una parte mi piacerebbe la sontuosità, che il feretro venisse portato a mano fin davanti alla scalinata e adagiato in terra e tutto il Credo della Messa di S. Cecilia di Gounod, con i tromboni, i timpani, i piatti… o all’opposto il Miserere degli improperi dell’Asioli che mi sono sempre piaciuti». Tondelli immagina il proprio funerale nei termini della processione correggese del Venerdì Santo, della passione di Cristo. Esso è definito messa del «Dies Natalis», espressione che è tradizionalmente usata dalla Chiesa per indicare il giorno della morte e della «nascita al cielo». Tondelli aveva appena letto la domanda: Il vostro cuore / che cosa chiede? E ancora: Per mezzo del Vangelo / v’ha Cristo generato.

Dalla lettura degli appunti si ricava la figura di un autore che fino alla fine ha vissuto un rapporto dialettico con la scrittura, in una relazione vitale, intensa. Comprendiamo come essa avesse assunto per Tondelli un valore tendenzialmente «salvifico»: essa, cioè, veniva investita della possibilità di sublimare epicamente la storia personale, garantendo una sorta di «divinizzazione», cioè la fama e l’elevazione delle vicende umane in un «olimpo». Ma la lettura di San Paolo sembra far comprendere a Tondelli che il canto epico non serve a salvare, semmai a interrogarsi e, forse, a capire. A vincere contro il forte «assoluto» della «finzione più alta» resta la «vergogna della carne», cioè la percezione della fragilità e della contingenza, ma soprattutto l’Amore, la fede, la Grazia e il parto della redenzione: una manciata di parole, che sono un seme di vita.

Nel maggio del ’90 Tondelli aveva scritto che «Alle tre del mattino, come insegnano Bergman e Cohen, si tirano i conti con la propria vita, ma non burocraticamente, bensì attraverso intuizioni poetiche e sofferte immagini interiori». San Paolo ha accompagnato Tondelli in questa revisione notturna di vita e di scrittura. Pochi mesi dopo egli avrebbe scritto: «La Preghiera continua, le suore che alle 3 dicono le lodi, c’è qualcuno che prega per te…». E nella Traduzione testoriana della lettera paolina resta il segno chiaro a matita accanto ai versi: in Adamo si muore, / tutti / in Cristo si risorgeMorte / il tuo trionfo, / allora, / che sarà?Lui, / primula e viola / di chi s’è addormentato…

[pubblicato in Paulus, II (2009) n. 16, 66-69].

Lontano dentro se stessi. L’attesa di salvezza in Pier Vittorio Tondelli, Milano, Jaca Book, 2002.

«Laboratorio Under 25». Tondelli e la nuova narrativa italiana, Reggio Emilia, Diabasis, 2000.

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