Navigare

Come faccio a sapere dove mi trovo? Una volta per saperlo dovevo guardarmi intorno, vedere un paesaggio collocato su un orizzonte oltre il quale non mi era possibile vedere. Per muovermi verso una meta dovevo prima orizzontarmi. Capire dove sono significava confrontarmi dunque con un orizzonte, che è insieme un ampliamento dello sguardo, ma anche un limite invalicabile se non con il movimento: più vai avanti e più l’orizzonte si disvela… Quindi per sapere dove ci si trovava era necessario guardarsi attorno.

Con l’introduzione dei navigatori satellitari, il senso dell’orientamento sta cambiando: per vedere dove si è si guarda se stessi “ridotti” a un puntino su una mappa. Guardando il puntino posso dire: “io sono qui”. Tutto il resto, tutto ciò che ho attorno cambia e si muove sulla mappa in funzione dei miei spostamenti. Se io mi sposto tutto si sposta nella mappa del navigatore. E l’orizzonte non è più un limite. Anzi: sulla mappa non esiste più.

Ma ecco: tutte le volte che mi muovo (a piedi, in macchina, in moto,…), se uso il navigatore, il mio procedere diventa automaticamente una navigazione. Che cosa dunque distingue la navigazione da altre esperienze di movimento quali il cammino, il viaggio,…? Sono la stessa cosa oppure no? No, non lo sono.

La navigazione per sé si dice innanzitutto di una nave, come dice la stessa parola, e la nave non ha ruote o gambe: pattina sulle acque e ha un’inerzia non indifferente. La nave va “governata” su una “rotta”, tende verso una meta da raggiungere trascurando quasi completamente ciò che c’è in mezzo o per via. Anche perché spesso, a meno che non si navighi per “diporto”, in mezzo non c’è nulla o quasi. Chi viaggia in macchina deve fare i conti con la strada, il traffico, il paesaggio attorno è parte diretta dei suoi riferiementi immediati, e così anche la gente che attraversa la strada: può dunque fermarsi o cambiare direzione molto rapidamente. Chi governa una nave invece si confronta più radicalmente con l’orizzonte cercando di superarlo in vista della meta anche perché, per cambiare rotta, ha bisogno di tempo. E per questo dunque è più attento agli strumenti di navigazione, al radar, ad esempio, o alle mappe, che al panorama che gli sta intorno. Può persino procedere se non vede nulla a causa della nebbia.

Un uomo “navigato” dunque, metaforicamente, non è un uomo che semplicemente ha visto tante cose o ha fatto collezione di esperienze, ma è un uomo che ha imparato a “orizzontarsi”, cioè a riconoscere un orizzonte, e a confrontarsi su dove vuole andare nella vita.

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  1. Luisa ha detto:

    E’ una cosa sottile quella che cerchi di dire, è più misteriosa la navigazione, non puoi fermarti a gustare quello che incontri intorno a te perchè potresti perdere tempo, o la rotta!

    Tutto è in funzione del tuo obiettivo! C’è un “tiraggio” forte verso la meta, il resto è un sentirsi perso in mezzo al mare!

    Il resto è un NON sapere chi si è!

    L’attesa diventa il confronto con se stessi in una nuova dimensione, quella della solitudine, e ciò che naviga dentro più misterioso ancora del viaggio che si è intrapreso!

    I punti fermi sono in balia delle onde del vento, del cielo carico di pioggia, la natura diventa l’amica per condividere i silenzi interiori e scorgere una presenza al di là del visibile!

    La navigazione verso una meta fa capire all’uomo o alla donna chi è e cosa vuole veramente!

    Grazie

    Luisa

  2. Antonio Spadaro ha detto:

    Beh, forse è da precisare: diciamo che la navigazione è un modo di pro-cedere che è abbastanza sbilanciato sulla rotta. Non è che ciò che incontra sia irilevante (può incontrare anche un iceberg!) ma è visto in trasparenza, in funzione dell’orizzonte da ampliare con il pro-cedere, appunto, e dunque della meta che resta al di là dello sguardo, mentre nel momento si vede ciò che è al di qua.
    Nella navigazione dunque la realtà ha sempre una dimensione di trasparenza, è ordinata a qualcosa che le sfugge di mano e di occhio. E dunque è più “tesa” del normale viaggio.

    Antonio

  3. Paolo Pegoraro ha detto:

    Da navigatore “di terra“ piuttosto che “di mare” ricordo un’incredibile esperienza su una barca al largo di Venezia, di notte. Buio sopra e buio sotto, sospesi in un ondeggiare morbido nel silenzio, mentre le stelle del cielo si riflettevano nel mare; o viceversa, pareva quasi, senza più distinzione. E d’improvviso la nave si era trasformata in navicella, e si procedeva nello spazio siderale a colpi di remi.

  4. Luca Benedetti ha detto:

    Pensavo. Se navigare indica una rotta, se questa sottintende una meta, si presume anche che il soggetto di questa navigazione (e qui esco dalla metafora del movimento) abbia le idee chiare, sai dove vai e (forse) sai già chi sei!

    Che poi (e rientro nella metafora) navigare si usa anche per internet dove ci si sballotta serenamente da un sito all’altro, senza rotta tutto sommato.

  5. Andrea Monda ha detto:

    Oggi leggo, quasi per caso, questa poesia che parla proprio di navigare..

    Non riesco a star da nessuna parte.
    La mia patria è dove non mi trovo […]
    Ah, magari ci fosse una nave per portarmi
    ove si appagano tutti i desideri. (F.Pessoa)

  6. Damiano Garofalo ha detto:

    Interessante la sottile (ma non troppo) differenza tra il treno dei desideri di p.conte e la nave dei desideri di f.pessoa.

    Il treno va sui binari e quindi è un mezzo di trasporto che ha già una direzione prestabilita. La nave, invece, è un mezzo di trasporto “anarchico”, che non si può davvero controllare nella sua totalità e che va dove lo porta il mare e il vento, nonostante ci sia un timoniere più o meno preparato.
    Il treno davanti a sé vede il binario, la nave vede l’orizzonte.

    Ha quindi più senso parlare di treno dei desideri o di nave dei desideri?

  7. Damiano Garofalo ha detto:

    Il treno, inoltre, ha i vagoni. E’ quindi un mezzo di trasporto “concatenato”, proprio come i desideri che sono concatenati, attaccati gli uni agli altri (come appunto i vagoni di un treno).
    Sul treno salgono e scendono i passeggeri ad ogni stazione, cosa che non succede sulla nave.

    Ciò che invece viene trasportato dalla nave è “nascosto” nella stiva e potrà essere scoperto soltanto in quel del porto.

    Il treno (o il tram che si chiama desiderio di Kazan) è quindi una macchina desiderante, impersonale, dove i desideri dei passeggeri si alternano e comunicano, si incatenano e viaggiano individualmente, ma collettivamente, seguendo dei binari prestabiliti.

    La nave, invece, è una macchina che tende verso il desiderio, verso la scoperta di ciò che c’è, appunto, sotto coperta, in navigazione costante verso l’orizzonte…

    Il treno dei desideri quindi contiene desideri?
    E la nave dei desideri naviga verso il desiderio?

  8. Paolo Pegoraro ha detto:

    Giacomo Leopardi usa proprio l’immagine della nave per indicare il desiderio *raggiunto* in quella che, secondo me, è la più bella delle sue Operette morali e una delle maggiori vette della sua arte: il «Dialogo di Cristoforo Colombo e di Pietro Gutierrez». Lo portai a un’Officina anni fa, magari sul navigare ci starebbe pure bene :-)

    Per i curiosi, eccola qua:
    http://it.wikisource.org/wiki/Operette_morali/Dialogo_di_Cristoforo_Colombo_e_di_Pietro_Gutierrez

  9. Max Granieri ha detto:

    Se dovessi accompagnare con una colonna sonora quanto letto, ascolterei soprattutto “C’è solo la strada” di Giorgio Gaber:

    “… Una nave, con una rotta precisa che ci porta dritti verso una casa, una casa con noi due soli. Una gran tenerezza e una porta che si chiude.

    Nelle case non c’è niente di buono
    appena una porta si chiude dietro a un uomo
    succede qualcosa di strano, non c’è niente da fare
    è fatale, quell’uomo comincia ad ammuffire”.

    Lo proporrò al prossimo laboratorio di BombaMusica a Cosenza, venerdì 29 gennaio ’10.

  10. Dilan ha detto:

    Non sono un uomo navigato e non seguo una rotta precisa, vado semplicemente…
    Non sono preoccupato per questo mio procedere verso il nulla, attendo la mia anima e se arriverà mi indicherà la via.
    Non sono sicurò sia un luogo perchè probabilmente resterò fermo ad osservarmi e mi basta.
    Il viaggio più lungo e verso noi stessi e verso gli altri…
    Non servono navigatori o bussole, serve solo l’anima.

  11. Costantino Simonelli ha detto:

    Secondo me la metafora del navigare, quantunque stimolante dal punto di vista letterario ed anche teleologico, viene portata avanti con certe forzature, almeno a me, evidenti. Fino a “naufragare” sul sgnificato del termine “navigato”. Che per me suona come uomo rotto a tutte le esperienze. E pertanto, non necessariamente persona rassicurante.Io ad un navigato preferisco un perennemente navigante.
    Mi spiego meglio: è una forzatura romantica pensare che un marinaio che ne ha viste di cotte e di crude sulla sua pelle, che ha affrontato procelle in predicato di rischio di sua vita, e spesso in compagnia coatta o in assoluta solitudine, abbia tratto esperienza più dallo sguardo aperto all’orizzonte che dalla ricorrenza della rude e bestemmievole vita quotidiana sulla sua nave.Dalla e De Gregori in “Ma come fanno i marinai” secondo me descrivono bene l’indole dei navigati,nient’ affatto disposti,una volta sulla terra, a misurarsi con femminee – pensano loro – disquisizioni sull’orizzonte abbinato al senso della vita.
    A meno ché non si voglia ricorrere al mito superbo e letterariamente demagogico di Ulisse, lui si, navigante e navigato, a quella sua ossessione nello sfidare l’ignoto, convivente però, sempre, da buon marinaio, col suo alter ego di furbo per definizione che l’Iliade ci ha tramandato.
    E anche lì, tanto per passare dal sacro al profano,il buon Lucio Dalla con la canzone “itaca”
    un po’ ha colto nel segno, quando ha contrapposto, e finalmente, alla frenesia di gloria del condottiero, le urgenze e lo status immutabile del semplice marinaio.

  12. Marco Pescetelli ha detto:

    Mi dispiace non avere partecipato. MOLTISSIMO.
    Era il mio tema preferito…la mia anima da skipper di cabinati a vela mi avrebbe spinto a raggiungervi, ma sono finito nelle secche di un capitolo di dottorato da finire di scrivere…
    Chissà se ci sarà il bis…
    A presto!
    Marco

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