L’impresa musicale di Dario

“Ginocchia sbucciate, palloni bucati e ragazzi di provincia. Il mare d’inverno e le cotte d’agosto. Pugili e fiorellini stracciati”. È l’oggetto sociale della Brunori Sas, impresa musicale guidata dal capo mastro Dario Brunori, laureato in ingegneria e votato alla musica cantautorale, quella nuova che s’affaccia sui palcoscenici di piazze, club e teatri, evitando con cura spettacoli televisi dal talento “mordi e fuggi”. E dire che Dario ha familiarità col mezzo televisivo: collabora con Rai Trade ed altre angezie per la realizzazione di sigle per telefilm.

Avevo letto di lui sulle riviste musicali e pagine web più blasonate della nazione: XL Repubblica, Mucchio, Ondarock, Rockerilla e tanti altri. Poi arriva il consiglio d’una parente che quasi mi obbliga ad ascoltare il suo disco “Vol. 1”, specie perché persona conosciuta direttamente. Galeotta fu una vacanza al mare a Guardia Piemontese, un paese della provincia di Cosenza. Era l’estate del ‘92. Non ricordavo di averlo conosciuto (Dario è di Guardia) ma certo non lo scorderò ora che ho apprezzato il suo album, meritevole del premio Ciampi per il miglior disco d’esordio del 2009.

Il paragone con Rino Gaetano prima o poi gli andrà stretto, nonostante i necessari riferimenti nel disco “Vol. 1” a maestri come Gaetano e De Gregori (nella costruzione sarcastica dei testi ricorda  Enzo Jannacci). Il ragazzo si farà grazie a un modo assai originale di urlare le pubbliche virtù e i vizi privati degli italiani e di cantare la straordinarietà di un microcosmo altrimenti normale, in cui tutti riusciamo a identificarci.

Parlando con lui in un’intervista telefonica, ho subito intuito l’ironia e l’intelligenza di un ragazzo di Calabria che scherza pure su un tema difficile come la fede in Dio, professando in maniera schietta la laicità del pensiero e della sua scrittura.

La canzone “Paolo” sembra l’inno del maschio tipico italiano che prega Dio per avere una donna al suo servizio. Pure Padre Pio viene invocato per ricevere la grazia desiderata. È così?

Il brano vive di piccoli scorci dei nostri luoghi e del nostro tempo. Come l’intero album “Vol.1”, si muove in varie direzioni. Esiste un vero Paolo, una persona da me conosciuta,  semplice e pura, che con molta ingenuità mi parlava di questa sua preghiera continua a Dio per trovare moglie. Da lì è nata l’idea di scrivere la canzone e di dare alla storia una lettura diversa. In fondo credo che ci sia un Paolo in ognuno di noi, almeno per me.

Nel book fotografico del tuo disco e nel video del primo singolo “Come stai” appaiono due simboli: uno è padre Pio; l’altro il mitico pallone rosso “Super Santos” che ha segnato generazioni d’incompiuti calciatori. Così hai riassunto 50 anni di storia culturale meridionale che invoca il santo di Pietrelcina mentre dà calci a un pallone.

In realtà non c’è nulla di premeditato nei brani. Sono frutto di un momento particolare della mia vita e hanno avuto come denominatore comune una stesura molto rapida. Non ho meditato tanto su quello che volevo scrivere e poi comunicare. “Vol.1” è un album fotografico di stimoli che provenivano dal mondo. I brani sono la somma degli anni che sto vivendo adesso con quelli della mia giovinezza. Infatti, ho cercato di mettere in evidenza gli elementi in comune tra le esperienze giovanili e le mie esperienze da trentenne. Sicuramente l’aspetto della religione ha un suo peso, più che altro della religiosità, della tradizione popolare che mescola il sacro con il profano (lì dove le cose spesso si confondono). In un’altra canzone (Come Stai, ndr.) canto del calcio, la sola religione del mondo, a significare che spesso la fede religiosa e la fede calcistica, ma anche di altre passioni che noi del Sud viviamo, hanno una sorta di comune bizzarria.

L’album “Vol. 1” nasce da un evento tragico: la scomparsa di tuo padre. Non manca, dunque, una  lettura amara della vita, nonostante il sarcasmo che distingue la tua scrittura.

Non c’è un tracciato drammatico nel disco, ma il fatto diventa doloroso nella misura in cui uno shock del genere cambia tutto. Per me sono cambiate molte cose sul piano esistenziale. La morte è uno schiaffo che ricevi e che ti sveglia dal sonno. Dopo uno shock così forte, guardi alla vita lucidamente e con occhi diversi. Fai una gerarchia delle cose che contano di più nella vita. Per cui l’ironia è inevitabile, necessaria, per evitare di chiudersi in pensieri da cui non si riuscirebbe altrimenti ad uscire. Sono convinto che l’ironia sia la chiave giusta per leggere, interpretare e far passare meglio certe verità ed esperienze.

In “Guardia ‘82” canti “Scavavo nella sabbia a cercare tesori e vedevo la vita soltanto a colori”. L’esperienza della morte ti ha fatto scoprire sfumature in grigio della vita che prima non consideravi?

Il brano  “Guardia ‘82” in qualche modo racchiude una serie di elementi che sono presenti nel disco. Nasce dalla nostalgica visione di alcune fotografie dei miei anni ’80, di alcune istantanee sulla spiaggia di Guardia Piemontese. Nel booklet del disco, quasi tutte le immagini sono tratte dall’album fotografico di famiglia, ad indicare che la famiglia rimane e sarà una priorità assoluta per me. Un punto di riferimento fondamentale.

In “Nanà” dici una cosa che mi diverte ogni volta che t’ascolto: “Mentre la gente si faceva le canne, io frequentavo le chiese”. Bazzichi ancora le sagrestie e le cattive compagnie?

Credo che i miei amici si “fanno” frequentando le chiese! Questa è una bella domanda.  La canzone riporta la verità: fino ai quindici anni d’età sono stato un assiduo frequentatore di chiese. Sono abbastanza preparato… e sapendo di questa intervista, ho ripreso i miei vecchi quaderni e guardato qualche appunto, per una eventuale interrogazione.

Come se fossimo ad una lezione di Catechismo…

Infatti, meglio prepararsi.  Oggi non frequento più le chiese e non sono un credente. A riguardo potremmo fare lunghissime discussioni. Non ho una visione solo materiale della vita, ma ho percorso strade diverse  dal punto di vista spirituale. Non sono più un frequentatore di chiese, però mi piace ancora parlare con i preti e l’intervista lo dimostra.

Quanta Calabria canterai nel prossimo disco?

Mah! Questa è una domanda a cui non sono in grado di dare una risposta. Sto scrivendo alcune cose nuove, ma non sono nelle condizioni di scrivere con la stessa forza con cui ho concepito “Vol. 1”. Prima di rimettermi al lavoro, vorrei essere in una situazione diversa, è necessario distaccarsi da tutto quello che sta accadendo alla mia attività artistica. Ora non ci sto capendo quasi nulla. Quando arriverà l’ispirazione, credo che canterò ancora tanta Calabria, perché comunque vivo in questa regione e mi piace descrivere situazioni che conosco.

Ho ascoltato il tuo inedito “Con lo spray” non ancora pubblicato.

Cosa ne dici quando quando canto “… e i preti fanno peggio”?

Uhm…

D’accordo, vuol dire che il prossimo album lo inizierò recitando l’Atto di Dolore!

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  1. lucio ha detto:

    Bravo….spiritosa, dolce. E’ bella la tua canzone.

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