Consonanze

“Ci sono libri […] che ci regalano vita, tempo, gioia. Dopo averli letti, siamo, in qualche misura, diversi, non siamo più noi e, nello stesso tempo, siamo, più profondamente e coscientemente, noi stessi. Sono i libri che parlano alla nostra anima, alla nostra mente, alla nostra immaginazione e arricchiscono anima, mente e immaginazione. La vita si allunga, quando li leggiamo”. Così scrive Angelo Mundula a p. 325 dei suoi Dialoghi (Edizioni Feeria, Panzano in Chianti (FI) 2011), un libro che presenta una visione della letteratura di forte consonanza con la nostra, come dimostra anche il fatto che Carmelo Mezzasalma nell’Introduzione (Letteratura per una buona vita) citi più volte Antonio Spadaro.
E’ un volume in cui l’autore raccoglie i suoi articoli apparsi nel corso degli ultimi 15 anni su “L’Osservatore Romano”, operazione quanto mai opportuna, perché i suoi interventi, le sue note e le sue recensioni, raggruppati per affinità tematiche, si illuminano a vicenda e si completano l’un l’altro in un discorso che alla fine assume una sua omogeneità concettuale. Come dice Federico Favali nella Nota del curatore, alla base e al centro del lavoro critico di Angelo Mundula c’è “un amore sconfinato per l’Uomo, per l’Uomo inteso nel senso più alto, per un Uomo che sa esprimere al massimo le sue potenzialità, per un Uomo che sappia essere, anche se in piccola parte, specchio del riflesso della Luce del suo Creatore.” Questo porta Mundula a considerare la letteratura come un veicolo “verso una buona vita”, “una vita a misura dell’anima”. Di qui nascono le sue scelte per quei testi di letteratura che sanno farsi progetto esistenziale in quella pienezza di umanità che trova nella fede cristiana il suo completamento. Questa prospettiva di fondo induce l’autore ad indagare Dietro il mistero della parola, approfondendo innanzitutto il significato dell’autobiografia, come “fitta, incessante interrogazione di se stessi, che si cala nella vita passata come una pioggia benefica, la rinfresca, le dà vigore”, soffermandosi sui temi della memoria e del ricordo, per poi indagare sul valore dei classici, sul significato dei simboli, come elementi d’unione “tra fisico e metafisico”, sulle infinite relazioni che legano libri

ed autori apparentemente anche molto lontani (modo questo di accostarsi ai testi che noi sperimentiamo costantemente nei laboratori di lettura), sui temi dell’esilio e del naufragio, sulla lingua stessa che si usa a livello comunicativo e letterario.
Ma le pagine di Angelo Mundula diventano anche occasione di inviti ad ulteriori letture, presentandoci una grande varietà di scrittori e di opere, sempre in modo convincente ed accattivante. Egli apre al lettore degli orizzonti nuovi, nell’ottica di infrangere la banalizzazione del canone ripetitivo e scontato soprattutto degli autori del Novecento, proponendo con forza altri nomi, nella consapevolezza che “la ricerca degli autori e la scoperta dei testi è il lavoro fondamentale dello storico della letteratura” ed anche offrendo nuove interpretazioni di autori consolidati dalla tradizione (Leopardi) e dando rilievo ad autori stranieri da noi ancora poco conosciuti ( Ronald Stuart Thomas, Alexsandr Kušner, José Martì). Questo libro è davvero Un caleidoscopio di immagini e di volti, in cui si susseguono Carlo Betocchi, Enrico Morovich, Ezio Raimondi, Nicola Lisi, Angelo e Stefano Iacomuzzi e tanti altri, accomunati da una concezione della letteratura capace di dare agli uomini una sempre maggiore consapevolezza del loro essere tali.
Attento anche il discorso critico di Mundula sulla realtà letteraria della Sardegna, che ha una sua ben precisa fisionomia autonoma. E poi le pagine, interessantissime, di grande approfondimento artistico ed umano, sui pittori attraverso testi scritti da loro stessi, da Dürer, a Leonardo da Vinci, a Cézanne, a Renoir a Burri, tutte occasioni per capire meglio l’arte, in rapporto ai luoghi e ai tempi in cui i diversi autori sono vissuti.
Nella VI sezione Le ragioni del cuore, i vari testi di Mundula ci inducono a riflettere sul perenne interrogarsi dell’uomo sulla verità, sulla preghiera e sullo stare in silenzio davanti a Dio, sulla pietà, sulla povertà, sul dolore e sul significato e l’importanza delle Scarne parole ispirate dallo Spirito, lasciateci da Francesco d’Assisi. La sezione successiva Per un’etica del quotidiano presenta un susseguirsi di testi che riflettono su aspetti della nostra vita odierna, su comportamenti dell’uomo d’oggi che stanno tramontando e rischiano di perdersi, sugli stati d’animo che ci caratterizzano, sugli stereotipi e i pregiudizi che si diffondono sempre più, per terminare con acute e profonde riflessioni sul silenzio, condizione privilegiata in cui “nascono parole vere”, in quanto “Il silenzio crea intorno a noi una specie di alone per le parole ed è certamente l’humus in cui più fecondano”.
Oltre agli aspetti già evidenziati che ci fanno sentire Angelo Mundula molto vicino, vorrei aggiungere quel suo abile e proficuo accostare opere di arti diverse, come anche noi abbiamo tante volte sperimentato nelle nostre Officine, quel rivedere e rinnovare il canone, soprattutto del Novecento, che è una delle grandi lezioni di Spadaro, l’ampliare l’orizzonte geografico della letteratura, per ricercare gli autori che veramente rispondono ai nostri parametri, ma soprattutto vorrei mettere in evidenza, oltre ai legami d’amicizia che anche per lui la letteratura riesce a creare, lo stupore che Angelo Mundula sa sempre provare di fronte alla vita, proponendo la lettura di queste sue pagine.

Il mistero della vita che nasce

Non c’è niente che mi stupisca di più di ciò che nasce quasi dal nulla, come un albero che metta gemme e foglie e fiori da un tronco rinsecchito. O quel ramo che cresce dalla ferita di un innesto, dal punto nero dell’albero. Quando mi accade di assistervi, provo un’immensa gioia. La stessa che provai un giorno quando, con le mie mani, piantai nella terra di una piccola campagna, alcuni secchi tronchi – così almeno mi apparivano – con ben poca speranza, francamente, che potessero diventare alberi, tantomeno che potessero dare frutti. E poi, invece, diventarono alberi, diedero frutti. Ma, allora, non riuscivo quasi a crederci. Né mi confortava il fatto che la natura è piena di questo ricorrente miracolo della creazione.
Ma, in natura, gli alberi stanno lì, dentro la terra, come nel grembo amoroso di una madre e da quello, quand’è stagione, felicemente rinascono. Nel mio caso, dalla terra erano stati sradicati, non erano nient’altro che bastoni. Come avrebbero potuto trasformarsi in alberi vivi, vegetanti, fruttiferi? In base a quale spinta vitale, a quale straordinario processo della creazione? Pure, un giorno, già prima che venisse la primavera, guardando attentamente quei tronchi, vidi, con gioia e stupore, che vi spuntavano timidamente le prime gemme; che, dunque, quei tronchi non erano già più tronchi, ma alberi; che, perciò, il miracolo si era puntualmente ripetuto.
[…]
Il fatto grandioso, l’evento mirabile, l’avvenimento davvero straordinario della vita è la vita. Da questo punto in poi tutto ciò che può succedere – e che, di fatto, normalmente succede – è importante, ma non miracoloso. Chiederci perché veniamo al mondo _ e poi anche perché vengano al mondo animali e piante – mi pare assai più importante che domandarci perché un giorno o l’altro dovremo, tutti, morire. Anche perché è ragionevolmente assai più facile rispondere alla seconda domanda che alla prima. Si può ragionevolmente capire che non potremmo tutti vivere qui in eterno, assai più difficile è capire perché si nasce.
Inizia, così, da qui la domanda fondamentale della nostra esistenza: perché siamo nati.
[…]
Noi vediamo nella creazione qualcosa di 8pre)ordinato a un fine. Niente di casuale né di contradditorio. Nulla nasce senza causa, diceva Porfirio. E lo scrittore Salvatore Satta scriveva al suo amico Bernardo albanese: ”Non si può essere nati invano”. Del resto, la domanda “perché siamo nati” ha già in sé la risposta. Se non ci fosse un “perché” non avrebbe senso nascere. […] al di là dell’involucro in cui siamo avvolti, c’è qualcosa in noi che reclama obbedienza a un ordine superiore, a qualcosa di imperscrutabile eppure certamente degno d’essere indagato, come il piccolo mistero dell’albero che ricresce dalla sua morte; che nasce continuamente alla vita.
Anche noi portiamo dentro, continuamente, il nostro Natale, di gemme, foglie e frutti. Sentiamo, talvolta, anche fisicamente questo risveglio. Ci sentiamo parte integrante – e anche, sì, la più importante – della creazione. Quante volte siamo stati tronchi secchi e poi nuovamente, magari improvvisamente, abbiamo sentito spuntare nel nostro cuore il germe della vita, della nascita, della Resurrezione. E forse per questo ci commuove tanto, ogni volta, e ci riempie di gioia e di meraviglia assistere allo spettacolo della vita che si ricrea fuori di noi, nell’albero che affonda le sue nuove radici nella terra, ma un poco anche dentro il nostro cuore.

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