La lunga, anzi inesauribile, storia del rock

In questi giorni esce il libro di Walter Gatti “La lunga strada del rock” (Lindau). L’autore mi ha chiesto di scriverne la prefazione, ecco quello che ho realizzato, buona lettura e buona conclusione di vacanze a tutti!

Un uomo si propone il compito di disegnare il mondo. Trascorrendo gli anni, popola uno spazio con immagini di province, di regni, di montagne, di baie, di navi, d’isole, di pesci, di dimore, di strumenti, di astri, di cavalli e di persone. Poco prima di morire, scopre che quel paziente labirinto di linee traccia l’immagine del suo volto.” Al termine della Lunga storia del rock scritta, anzi “raccolta” da Walter Gatti, mi è venuta in mente il famoso epilogo-apologo di Borges; anche l’autore di questo saggio si è proposto il compito di disegnare il mondo e forse anche lui, concluso il paziente lavoro, ha finito per realizzare un autoritratto. Il mondo disegnato da Gatti è il brulicante mondo del rock, un universo popoloso, variegato, degno di un quadro di Bosch: “Nel pianeta rock si incontrano popoli diversissimi” avverte in apertura e di questo mondo quindi la prima cosa da fare è una mappa. Una mappa non è l’immagine fotostatica della realtà, perché paradossalmente una mappa è il contrario dell’oggettività (e qui viene ancora in soccorso Borges con il racconto dei cartografi che su richiesta dell’Imperatore della Cina finirono per realizzare una mappa grande quanto l’Impero), la mappa non è mai statica ma dinamica perchè è basata sulla ricerca di una “scala”, di un valore, di un principio, di qualcosa che ha a che fare con lo sguardo di chi ha deciso di esplorare il territorio “mappato”; ne consegue che questa splendida mappa del rock è, anche, in parte, l’autoritratto del cartografo-esploratore.

Walter Gatti, che ho avuto il piacere di conoscere di persona da poco tempo (ma abbiamo subito azzerato il tempo pregresso) lo ripete spesso: “l’oggettività non esiste, o comunque non mi interessa. Il rock mi piace e mi piace raccontarlo partendo da ciò che in quella canzone, in quell’autore mi colpisce, colpisce me, la mia storia, la mia sensibilità”. E lo ripete anche in apertura di questo saggio quanto parla dei personaggi del rock, “quelli che più mi hanno colpito e comunque mi sono risultati affini sono i tanti (o pochi) che comunque hanno conservato un barlume di personalità, di magia, di mistero, di insoddisfazione, di ansia, di cammino, di sorpresa. Quelli che anche nel bel mezzo del successo hanno conservato qualche istinto degli inizi, quando contava più raccontare delle storie, piuttosto che moraleggiare sulla vita propria e altrui. Se il rock è un pianeta, se mille sono le strade con cui attraversarlo, ecco qui un dedalo di incontri che ho fatto divagando sulle sue strade. Condotto per lo più da una cosa che chiamerei curiosità. Che è il mio unico autentico sesto senso”.

Un dedalo di incontri, ecco in effetti cos’è questo libro che avete tra le mani. Incontri di diversa qualità, perché diversissimi sono le persone che Gatti con tenacia è andato a scovare (e quanto invidia ho provato per alcuni di questi.. da B.B.King a Shane McGowan, solo per fare due nomi) ma sempre con quel granello di verità che è tipico di ogni incontro. Anche se ci conosciamo da poco io e Walter siamo d’accordo sul fatto che solo un incontro può cambiare la vita a conferma dell’aforisma di Oscar Wilde: “le cose importanti della vita non si apprendono né si insegnano, si incontrano”. Walter Gatti in questi 30 anni di passione musicale praticata sul campo ha vissuto tanti incontri e li restituisce generosamente al lettore con una scrittura ad un tempo sobria e fresca.

A spingerlo verso questa “pratica” dell’incontro è appunto la curiosità, la più ambigua (ma pur sempre una) delle virtù, che lo spinge, ad esempio, a penetrare nella oscurità di un rave-party in Svizzera, una delle pagine più forti di questo reportage di tre decenni di rock, che lo stimola a rivolgere domande vere, quindi anche scomode, ai suoi interlocutori. Che gli rispondono con altrettanta verità. Mi piace molto ad esempio lo scambio con i Metallica quando affermano “l’inesauribilità” del rock: “Per il resto la chitarra e’ uno strumento che nel rock non sarà mai approfondito abbastanza. Non credo a quelli che dicono che e’stato detto tutto” e rispondono per le rime all’affondo del curioso esploratore: “Pero’ voi siete ricchi: una band celebre, che fa quel che vuole della sua vita, circondata da rispetto, entusiasmo, successo…” “Ma siamo anche uomini, ognuno con i propri fantasmi e con le proprie terribili insoddisfazioni.”. Punzecchiato sullo stesso tasto il leader dei Pink Floyd risponde con maggiore grazia: «Certo che fa piacere», sorride elegante Gilmour, «ma non è questo che ti tiene a galla. Per tornare alla domanda sul chi ce lo fa fare, direi che è l’onesta verso il nostro lavoro di musicisti e verso il pubblico. Ma una tourneé planetaria a volte ti da meno soddisfazioni emotive di uno show nei teatri. Quel che conta, insomma, è se riesci a tenere la concentrazione sul prodotto migliore possibile rispetto alle intuizioni musicali che hai. Il numero di persone che ti applaude, viene dopo. Ora lo sappiamo bene». Mi colpiscono queste battute (ma ce ne sarebbero tante, in quasi ogni incontro brilla una luce, anche piccola) perchè mi chiedo se ancora il rock sia un “luogo umano” e forse se lo chiede anche Walter Gatti, visto che del rock più che di ogni altra realtà umana si predica la fine imminente (o già avvenuta) ormai da decenni, forse fin da quando è nato grazie a Billy Haley e Chuck Berry, e la risposta si trova forse nell’affermazione di Francesco De Gregori che dichiara semplicemente di amare “da matti” questo folle mondo del rock, con tutte le sue luci e le sue ombre. E’ ancora “umano” il rock, forse sì, forse no, tutto dipende dallo sguardo che gli si rivolge, se c’è amore in quello sguardo, come in quello di Walter Gatti.

Spinta da questo amore, la curiosità non può non attivarsi, circolare, contagiare perchè non può non voler saperne di più di ciò che fa ardere il cuore. Da questo punto di vista le parole che segnano il vero autoritratto dell’autore di questo grande affresco del rock sono quelle di Paolo Conte: “Parlando di me stesso forse ciò che è affascinante nelle mie canzoni nasce da un presupposto che considero la caratteristica della mia persona: sono un inguaribile curioso, un appassionato esploratore della vita come delle arti in generale. Potrei dire che non esistono confini nelle zone umane ed espressive che non mi interessano”.

Una tale curiosità non può non condurre alla verità. E a tante piccole verità disseminate in queste pagine che rompono luoghi comuni e ricostruiscono tutte insieme un’immagine del rock che non è forse quella a cui ci siamo pigramente assuefatti. Un esempio è nella battuta di Baglioni sulla felicità del rock: “Sono convinto che per qualsiasi musicista scrivere parole e musica sono episodi di felicità, perché coincide con il momento in cui si mettono i fantasmi della vita in pattumiera. Le canzoni sono per tutti indistintamente momenti di vita felice, di energia. Anche se parlano di disastri. È la stessa figura del «poeta maledetto» che mi pare non esista sulla faccia della terra”. Splendido: aveva ragione Benigni quando ricordava che il poeta per comunicare la felicità deve essere felice, e per comunicare il dolore deve essere.. felice. E’ la stessa felicità “antica” di Lonnie Brooks: “Sarebbe bello sapere che ogni sera almeno due o tre persone capiscano tutta la storia che c’è dietro quelle poche note della mia chitarra. Ecco, il blues ha tre grandi responsabilità unite tra loro: far capire, far divertire e far pregare. Questo è il mio lavoro. È il più bello del mondo: per questo sono felice”.

Le tante piccole tessere che Walter Gatti ha collezionato in trent’anni si tengono e stanno unite insieme in modo naturale, una rincorrendo l’altra e convergendo tutte verso il centro, anzi il “perno” come rivela acutamente B.B.King: “Però io penso che tutta la musica sia come una ruota dove l’importante è il perno, che fa muovere tutto. Ciò che conta è il perno e come dalla circonferenza della ruota ci si vuoi arrivare. Per il blues il perno è il cuore dell’uomo e il modo di arrivarci è solo uno: la preghiera. Blues è anima piena di preghiera”.

E’ un luogo umano il rock, figlio del blues, proprio perchè non è solo umano. Un po’ come lo stesso autore di questo libro prezioso: Walter Gatti è un ottimo conoscitore della musica proprio perchè per lui la musica non è un semplice pretesto ma non è neanche “tutto”. C’è anche qualcos’altro. Questo libro allora non è solo una mappa, ma anche una “segnaletica” o, se vogliamo, una soglia. Al lettore, ormai ben equipaggiato, il compito di continuare, personalmente, il proprio viaggio.

Leggi i 2 commenti a questo articolo
  1. Pietro ha detto:

    L’ uomo è preghiera. Sempre! E pieno di gratitudine alza gli occhi al Cielo per dire Grazie!
    Grazie Andrea, buona giornata e buon lavoro.

  2. Alfonso Angrisani ha detto:

    Grazie per questo articolo, Andrea. In tempi di deserto, la musica può almeno rendere meno difficile il cammino. Ed è significativo che il titolo del libro sia proprio questo: una lunga strada.

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