Tra Zeman e Puccini

La prima volta che sono entrato in uno stadio di calcio avevo otto anni e non si giocò nessuna partita. Al posto dei giocatori, a infiammare gli spalti, erano musicisti e cantanti, pronti a seguire le indicazioni non di un allenatore, ma di un direttore d’orchestra. Dovetti attendere qualche mese per vedere, su quello stesso campo, la mia prima partita di pallone. E ancora oggi non saprei dire se mi impressionarono di più le Arie di Puccini o le verticalizzazioni di Zeman.

L’arte può provocare due tipologie di piacere distinte, ma dai confini incerti. C’è il piacere mentale, che proviene ed è alimentato dalla nostra conoscenza di una determinata opera, dalla nostra cultura. Sapere quali siano gli ascendenti di un determinato pittore, per intenderci, ci farà apprezzare maggiormente i suoi quadri. Opposto, ma complementare, è invece il piacere di stomaco, di là dalla ragione, dal senso, comandato da inesplicabili rimandi evocativi. Si possono chiamare piacere mentale e piacere di stomaco, apollineo e dionisiaco, ma il senso non muta. Come ha scritto Denys Riout, l’arte non comincia dove finisce la razionalità, ma, anzi, la prolunga nell’indicibile, per condurci là dove regna l’emozione.

Vedere una partita di calcio non è molto diverso. C’è chi conosce tutti gli schemi e magari qualche chilo fa giocava in Eccellenza e il bambino che guarda avidamente senza comprendere quasi nulla di fuorigioco e rigori. Chi in un goal vede lo sviluppo di una buona azione e chi non vede più nulla, ma solo braccia, gambe, sorrisi, perché è stato scaraventato otto file più giù da una marea umana esultante. Del calcio si può tranquillamente spiegare l’apollineo; lo schema che porta il terzino a crossare, come calciare la punizione perfetta, il modo migliore di schierare una linea difensiva. Ma il dionisiaco non può che restare un mistero per il non tifoso. Cinquantamila persone che soffrono e trattengono il respiro e cantano con una voce sola come si fa a comprenderle se non si è tra di loro?

Ci saranno sempre schiere di intellettuali, o aspiranti tali, pronti a dire che in fondo i calciatori sono milionari in mutande che corrono dietro a una palla. E, in realtà, questa è un’affermazione corretta. Almeno quanto lo è sostenere che il Mosè di Michelangelo sia marmo. Si tratta di descrizioni analitiche. Come ritenere che la vita di un uomo sia sintetizzabile nello spazio bianco di una lapide (storpiando Nabokov). Significherebbe ignorare la rabbia e la passione che si consumano attorno a un campo di calcio e l’epica che emerge al suo interno. L’osceno, nella finzione etimologica di Carmelo Bene, ovvero ciò che nel calcio e nell’arte è oltre la scena, invisibile all’occhio della ragione. Il dionisiaco, appunto.

Sono poche le espressioni di arte autenticamente popolari. Nella maggioranza dei casi si tratta di opere create da una minoranza e destinate a essere comprese da una minoranza. Ma lo sport, e in Italia in particolare il calcio, trascende questi confini, abbatte le barriere culturali. Persone che non comprendono un film di Truffaut, riescono perfettamente a cogliere la bellezza e la poesia di un pallonetto, che lentamente scavalca il portiere e gonfia la rete. Da parte mia, in attesa di trovare una definizione soddisfacente del concetto di arte, rimango un bambino di otto anni. Incapace di comprendere la differenza tra Zeman e Puccini.

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  1. Andrea Monda ha detto:

    bella sfida tra zeman e puccini, ammetto che tifo per il primo e ignoro (quasi) tutto del secondo. Mi colpisce l’affermazione tratta dal citato Denys Riout (e di costui ignoro tutto) per cui “l’arte non comincia dove finisce la razionalità, ma, anzi, la prolunga nell’indicibile, per condurci là dove regna l’emozione”; ho sempre pensato il contrario, che cioè l’arte comincia con l’emozione, con emozionarci e condurci per un lungo viaggio che senz’altro attraversa anche il regno della ragione, per superarlo, sfondarlo.. un po’ come fanno gli attaccanti che alla fine sfondano le difese e la porta degli avversari. L’arte ci prende in contropiede, di sorpresa (come ricorda Chesterton). Grazie Valerio,
    Andrea (sempre più sorpreso e ignorante)

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