Report BombaCinema febbraio 2013

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1- Taking Off di Milos Forman: una scena divertente e allo stesso tempo malinconica quella in cui un gruppo di genitori sperimenta per la prima volta gli effetti della cannabis nel disperato tentativo di comprendere più in profondità la scelta dei propri figli di fuggire di casa. Sono impacciati, più volte ripetono di non provare assolutamente nulla quando in realtà si abbandonano sempre più a gesti liberatori e infantili, rompendo le “regole” di una società che ormai si sta sgretolando, volatilizzando come il fumo che scorre davanti ai dipinti dei loro padri e dei loro nonni. Cosa avrebbero potuto fare i loro predecessori? Avrebbero saputo affrontare una situazione simile? Si può essere preparati al momento in cui i valori e le regole trasmesse di generazione in generazione vengono improvvisamente a mancare?

2- This must be the place di Paolo Sorrentino: due uomini diversi a confronto in un ristorante cinese: una vecchia rock star interpretata da Sean Penn e un ricco e potente uomo d’affari. Una luce calda e un’atmosfera accogliente avvolgono i due personaggi, che in realtà non potrebbero essere più distanti. Non c’è infatti alcun confronto, i due mondi non si toccano, il dialogo tra i due (costruito alla perfezione dall’abile regista) si risolve in un ingombrante monologo dell’uomo d’affari che Sean Penn ascolta annoiato e sulla cui superficialità ironizza, senza essere nemmeno compreso.

3- American History X di Tony Kaye: bianco e nero, come le due squadre rivali che vediamo scontrarsi nel più classico campetto di pallacanestro della periferia americana. La squadra dei bianchi porta il simbolo della svastica tatuato sul petto del loro leader, una svastica a cui la squadra dei neri non sembra far poi molto caso. Lo scontro è onesto, le regole vengono rispettate (nonostante alcune tensioni) senza passare alla violenza e alla fine Edward Norton, il leader dei bianchi, segna il canestro della vittoria. Il suo gesto atletico è sottolineato da un ralenti che lo esalta come un eroe nell’atto di ristabilire l’ordine e far trionfare il bene e lo spettatore è portato da una parte a tifare e esultare insieme a lui, dall’altra a ragionare sull’ambiguità del personaggio e ciò che rappresenta.

4- American Beauty di Sam Mendes: la scena è quella finale e il motivo per cui è stata portata questa scena è un motivo personale, ma riguarda credo ciascuno di noi, ovvero la morte e l’interrogativo che circonda questo aspetto della vita. Nella sequenza finale del film, il protagonista descrive il momento della morte come un istante in cui ti passa davanti agli occhi tutta la tua vita, un istante che si allunga per sempre. Il personaggio interpretato da Kevin Spacey nel momento della morte sembra riacquistare un’umanità che ci era parsa assente durante tutto il film. Sono sorti alcuni interrogativi sull’efficacia di questo finale, alcuni si sono chiesti se la scena sarebbe stata efficace anche senza la voce fuori campo, altri invece hanno criticato un’eccessiva costruzione e stilizzazione delle immagini che finiva per renderle artificiose.

5- Jackie Brown di Quentin Tarantino: la scena è quella finale, il film ci ha tenuto incollati allo schermo per più di due ore ma ciò che tutti si aspettano non si realizzerà. Jackie, ormai ricca, invita Max a partire con lei in Spagna ma Max ha paura, preferisce non correre il rischio e tornare alla rassicurante vita di sempre. Dopo essersi scambiati un bacio di addio i due si separano. Jackie sembra aver trovato la propria strada, non ha rimpianti mentre si allontana sulla sua nuova macchina diretta verso l’aeroporto dove l’attende l’aereo che la porterà nella calda e soleggiata Spagna. L’ultima immagine però è dedicata a Max, girato di spalle e fuori fuoco, immerso nei suoi pensieri e appiattito contro le pareti dell’ufficio con le quali è diventato un tutt’uno indistinto. Un finale molto ambiguo, sfuggente, aperto a molteplici interpretazioni.

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  1. Conti Cristina ha detto:

    Bello il percorso fatto dai partecipanti. sono tanti stimoli.

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