L’ambiguità della traduzione, impresa necessaria e impossibile (il caso de L’uomo che fu Giovedì, intervista ad Annalisa Teggi)

Annalisa Teggi ha appena pubblicato Capriole cosmiche (Lindau) un saggio sui due suoi grandi amiro, Dante e Chesterton. Dello scrittore inglese è anche profonda studiosa e traduttrice, e volentieri racconta qualcosa del suo ultimo faticoso lavoro di traduzione, sempre per Lindau, dedicato ad uno dei romanzi più famosi di Chesterton, L’uomo che fu giovedì.

997001_10202611301312587_2011099629_nTradurre Chesterton richiede sempre uno “strabismo”: da una parte occorre un’attenzione certosina al significato letterale e una premura rigorosa a rispettarlo, dall’altra occorre avere anche una grande premura al significato che c’è dietro la lettera e, perciò, è necessario talvolta essere audaci al punto di allontanarsi dal significato letterale per restare vicini al senso. So che suona come un controsenso, di fatto il mestiere di tradurre è un non-senso, ma è un non-senso proficuo; è una lotta per cercare un equilibrio. Ci si chiede costantemente: “a cosa è più necessario che io sia più fedele”? Ogni scelta è un rischio. In quest’opera, però, mi azzardo a dire che Chesterton è più semplice del solito, cioè il linguaggio è più diretto e asciutto (rispetto ad altri suoi testi), perché ne L’uomo che fu Giovedì è la trama a farla da padrone, la battaglia è nel senso delle vicende narrate e le parole devono catapultare il lettore nel mistero delle cose e delle persone che entrano in scena.

A mo’ di esempio, Annalisa cita un piccolissimo brano al quale ha inteso dare una particolare sfumatura ad alcuni vocaboli per rendere bene in italiano il modo di sentire dell’autore ?

Credo che il mistero più grande di questo romanzo sia l’enigmatica figura di Domenica, su cui molti critici si sono sbizzarriti a fornire interpretazioni religiose, che poi Chesterton non gradì molto. Perché Domenica deve restare un mistero e linguisticamente Chesterton lo fa parlare in modo che la sua positività o negatività rimanga aperta a ogni interpretazione. C’è un punto in cui Domenica viene incalzato da domande pressanti sulla sua identità, e la risposta che lui fornisce è – in inglese – un florilegio di espressioni ambivalenti. Tradurre questo passaggio è stato interessante, perché per farlo in modo adeguato (… tentare, se non altro …) dovevo per forza dimenticarmi l’originale per trovare in italiano l’equivalente di espressioni che, se interpretate letteralmente potevano suonare positive, ma se interpretate come modi di dire potevano suonare negative. Ad esempio, una delle espressioni che ho scelto è «Hai una gran bella faccia!», perché lascia aperte ipotesi opposte: ti sto dicendo che sei bello o che sei uno sfacciato? Il mistero di Domenica è anche questo, lascia a chi lo ascolta la libertà di decidere che senso hanno le sue parole.

Thursday

Chesterton, ovvero il paradosso, anche e soprattutto in questo singolarissimo romanzo poliziesco, che porta come sottotitolo A Nightmare, Un incubo.
Nella sua Autobiografia Chesterton ringraziò uno psicanalista che gli confessò che alcuni suoi pazienti trovarono pace leggendo Giovedì. È così, è un libro che dà pace. Qui Chesterton racconta, sotto forma di poliziesco, che il mistero del male – vissuto da ciascuno sulla propria pelle – è una prova che ci rende fratelli e soldati del bene. Essendo un gigante della carità, Chesterton condivide con il lettore la sua esperienza più buia (la crisi che ebbe in gioventù), ma non dà facili risposte preconfezionate, bensì crea una storia simbolica in cui ognuno è chiamato a partecipare come «investigatore» (dei propri abissi, e anche del mistero complessivo del mondo). In realtà, questa è e resta – nella più limpida semplicità – una bellissima storia avventurosa e poliziesca. Bisognerebbe fermarsi qui, però io sono sempre esagerata quando finisco di tradurre un’opera di Chesterton, e anche questa volta non mi smentisco. Credo che questo libro sia uno dei migliori amici che si possa avere, proprio perché ci sussurra che in mezzo a tutte le battaglie noi non siamo soli: se ci scontriamo a cuore scoperto e lealmente con tutti quelli che sulla nostra strada chiamiamo “nemico”, alla fine scopriamo che è un amico. Dietro ogni persona c’è, per quanto nascosta, una creatura che lotta come te per capire il senso di sé ed essere felice. Chesterton fu capace di guardare così gli uomini, si confrontò con tutti non per distruggere gli avversari, ma per stanare la verità comune che sempre c’è dietro e dentro il cuore di ogni uomo. L’unico nemico vero di ogni uomo è Satana, colui che vorrebbe separarci e isolarci da ogni legame. Per questo la sintesi più significativa di questo romanzo credo sia quella che abbiamo messo nella quarta di copertina: «Il male è così malvagio da farci pensare che il bene sia solo un caso; ma il bene è così buono da darci la certezza che dev’esserci una spiegazione per il male».

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