Dietro la porta

Nel 1993 la Stampa Alternativa pubblicò per le mitiche edizioni Millelire un libretto di poesie di Emily Dickinson dal titolo “Dietro la porta”. Il risvolto di copertina recita: “Segregata volontaria, per quasi metà della sua vita, Emily Dickinson, da dietro la porta invia nel mondo le sue lettere e le sue poesie: quasi duemila liriche di cui solo sette pubblicate in vita! L’ossimoro, la metafora, l’enigma sono la cifra della lirica della più alta creatrice di poesia statunitense, che in essi riversava la propria stessa vita, immolata, nella solitudine, alla scrittura. Questa scelta ne traduce l’essenziale.”

È interessante (verrebbe da dire bella) questa immagine di una poetessa sola e solitaria che protetta, difesa e fors’anche nascosta da una porta si impone il compito di regalare al mondo i suoi versi, suoi pensieri. Li immaginiamo attaccati alla porta su foglietti volanti o infilati sotto la porta per arrivare a chi è dall’altra parte. [Continua »]


Il rovescio della tela

Una delle principali testimonianze lasciateci da Kandinskij intorno al passaggio dall’arte figurativa all’arte astratta racconta di un’apparente epifania del pittore:

A Monaco un giorno, aprendo la porta dello studio, vidi dinanzi a me un quadro indescrivibilmente bello. All’inizio rimasi sbalordito, ma poi mi avvicinai a quel quadro enigmatico, assolutamente incomprensibile nel suo contenuto e fatto esclusivamente di macchie di colore. Finalmente capii: era un quadro che avevo dipinto io e che era stato appoggiato al cavalletto capovolto… Quel giorno, però, mi fu perfettamente chiaro che l’oggetto non aveva posto, anzi, era dannoso ai miei quadri.

Il pittore, vedendo il quadro rovesciato, non riesce a coglierne il soggetto rappresentato, ma ne ricava comunque una generale impressione positiva. Da qui inizierebbe il processo di rimozione del soggetto dai quadri che ha segnato lo sviluppo successivo della storia dell’arte.

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Calvino: un labirinto di trame

Nel 1979 Italo Calvino pubblica Se una notte d’inverno un viaggiatore, romanzo che potremmo definire “metaletterario” ma che, procedendo man mano con la lettura, scopriamo essere un labirinto di specchi in cui si muovono due personaggi, il Lettore e la Lettrice; le loro figure si riflettono, sempre diverse, sulle superfici di incipit di romanzi che non possono mai essere finiti. La struttura della trama si dipana infatti attraverso due filoni: da una parte la storia che segue il Lettore (e la Lettrice in cui egli si imbatte dal secondo capitolo), un comune e semplice lettore che tenta disperatamente di finire i romanzi che inizia; dall’altra i molteplici inizi di questi romanzi in cui anche noi lettori esterni ci ritroviamo invischiati, come pure siamo coinvolti dalla medesima frustrazione del Lettore ogni qual volta la lettura viene interrotta (sempre sul più bello, perché Calvino non risparmia nessuno, neanche se stesso).

Non ci troviamo semplicemente di fronte a storie nella storia, quanto piuttosto a libri-oggetto, che il Lettore tiene in mano, sfoglia, trova, perde, insomma quasi l’oggetto magico delle fiabe, che l’eroe manovra ma non sa controllare; e difatti c’è un mistero che pervade il mondo editoriale raccontato nella storia: in esso si è insinuato un traduttore falsario che malignamente e per vendetta ha deciso di svolgere meticolosamente il compito di mettere scompiglio tra le trame.

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Strega comanda Colore

Strega comanda colore, che colore vuoi?

La risposta di questo mese può essere una sola: tutti!

Il tema di marzo porta alla luce un elemento che finora è sempre stato sotto i nostri occhi, nonché grande protagonista della tela: il colore.

La storia dei colori ha origini molto antiche ed è stata in grado di influenzare il nostro ambiente, la società, i comportamenti e lo stesso linguaggio. Espressioni come “vivere in un mondo a colori”, “vedere rosso”, “essere bianche come un lenzuolo”, “essere verde di bile” sono solo alcuni esempi di come il colore si sia radicato nella quotidianità. Nel tempo, i significati e gli usi dei colori sono cambiati, mostrandone l’ambivalenza. Nel Medioevo le spose vestivano di rosso, per indicare la passione e la lussuria, dopodiché gli abiti da sposa sono passati al colore bianco, simbolo di purezza e candore.

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“Donne che parlano” di Miriam Toews

La conoscenza è fluida, cambia, i fatti cambiano, diventano dis-fatti”.
Le pagine di Donne che parlano di Miriam Toews sono intrise di dolore, orrore, sofferenza, tristezza, rabbia. Le parole scorrono come fiumi in piena contro un mondo che è andato in frantumi e che riconosce a loro, su tutte, una grande colpa: essere donne. Non valere niente.

Siamo donne senza voce, afferma Ona, pacata. Siamo donne fuori dal tempo e dallo spazio, non parliamo nemmeno la lingua del paese in cui viviamo. Siamo mennonite senza una patria. Non abbiamo niente a cui tornare, a Molotschna perfino le bestie sono più tutelate di noi”.

Le protagoniste di questo libro abitano in una colonia mennonita, Molotschna, e quando si svegliano doloranti e sanguinanti per diversi giorni, sono accusate di immaginazione, di essere schiave del diavolo. Ma quel diavolo in realtà serpeggiava non nei loro pensieri, ma di notte, nelle loro stesse case. Gli uomini, che prima erano padri, zii, cugini, fratelli, si rivelano i carnefici di un atto disumano. Le stupravano nel sonno, dopo averle narcotizzate con uno spray per il bestiame.
Questi uomini ora sono in carcere, ma tra poco usciranno e le donne decidono di riunirsi di nascosto in un fienile per decidere cosa fare: restare e perdonare, rispondere con altrettanta violenza, andarsene? È qui che comincia il racconto. [Continua »]


Il telaio

Tessitore con vista della torre di Nuenen
attraverso una finestra
, V. Van Gogh, 1884.

“Conosci disegni di tessitori? Io ne conosco ben pochi.” Così recita la lettera del 2 gennaio 1884 che Vincent Van Gogh manda a suo fratello Theo dal villaggio di Neunen, e continua: “Questa gente è difficile da disegnare perché le stanze sono piccole e non è possibile arretrare abbastanza per disegnare il telaio, e credo che questa sia la ragione per cui i tentativi di dipingerli sovente non riescono. Qui tuttavia, ho trovato una stanza nella quale ci sono due telai e dove si può fare“. Come tutti i grandi progetti, anche Van Gogh ne iniziò uno con un atteggiamento che non può dirsi tra i più ottimistici. Ma cosa sarà successo dopo, visto che tra il dicembre del 1883 e l’agosto del 1884, dipinse 10 quadri e 16 disegni a penna e ad acquerello di questa “gente difficile”? Cosa avrà rapito la sua attenzione?

Nei mesi appena trascorsi abbiamo parlato di filo, l’unità che crea la tela; di intreccio, l’ordine (o il disordine) che definisce il disegno; di nodi da sciogliere o stringere; della mano che tutto decide. È arrivato il momento di  chiamare in causa la struttura intorno alla quale hanno ruotato tutti questi elementi: il telaio. La natura del telaio è in realtà duplice: è uno strumento in grado di mettere insieme i singoli elementi e trasformarli in una cosa nuova, inesistente senza il giusto incastro delle sue parti; è una struttura, una base fondamentale dalla quale partire per aggiungere il resto dei componenti. Il primo intreccia ed unisce, il secondo definisce e sostiene.

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Creazione e libertà

Agenzia Michele Rizzi & Associati, 1981

Probabilmente Leonardo da Vinci non avrebbe mai immaginato che l’enigmatico volto della sua sospirata Gioconda sarebbe comparso, con po’ di fantasia (e di photoshop) nelle pubblicità di svariati prodotti.

Le cose fatte a mano -siano opere d’arte, libri o canzoni- quando escono dal laboratorio creativo dell’artista ed entrano a contatto con il mondo assumono inevitabilmente una vita propria e indipendente, svincolata dal controllo e dalla volontà di colui che le aveva realizzate. Possono essere interpretate e fruite in modo imprevisto, lontano o indesiderato rispetto alle intenzioni o al pensiero del creatore, come nel caso della Gioconda. (Per non pensare a cosa sarebbe successo se gli amici di Virgilio avessero acconsentito alla sua richiesta di bruciare l’Eneide!).

Ma a volte l’oggetto può prendere vita per davvero e trasformarsi in un essere animato. Narra Ovidio, nel decimo libro delle Metamorfosi, che lo scultore Pigmalione avesse realizzato una statua femminile così bella che se ne innamorò. Pregò la dea Venere di avere una moglie simile alla fanciulla d’avorio e la dea, impietosita, lo esaudì, e trasformò la statua in una donna.

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