Le immagini non sono spazzatura

Nel film Lisbon story di W. Wenders il protagonista è un regista che intende girare le sue immagini mediante una telecamera con l’obiettivo poggiato sulle spalle per riprendere scene mai viste, neanche da chi «gira».

Ci sono persone che credono sia questo il modo migliore per fare arte: eliminare ogni traccia di espressione per aprire il terreno ad una oggettività «pura», incontaminata. Ogni intenzione (tensione di una coscienza individuale o collettiva verso qualcosa da rappresentare) così dovrebbe lasciare il posto a una pura e neutra registrazione del reale o del linguaggio. L’io in questo caso scomparirebbe e l’arte diverrebbe neutra.

Si tratterebbe di una reazione a quel pesante sentimentalismo che spesso gronda da opere acerbe, dove l’io dello scrittore diventa tanto ipertrofico da invadere e affogare la pagina. Ma se l’arte è innanzitutto ascolto del reale, questo reale non è mai neutro perché ad ascoltare è una coscienza umana, incarnata in una storia e in una personalità umanissima. La freschezza del reale può risuonare solo in una coscienza disponibile e obbediente, non in una assenza di coscienza o in una incoscienza neutra.

Ecco la risposta di Wenders al personaggio del suo film:

«Se nessuno guarda attraverso la lente, ecco quello che vedranno su questi dannati video le generazioni future: il punto di vista di nessuno. Non c’è ragione di fare immagini spazzatura da buttare un minuto dopo».

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