Ogni casa ha bisogno di un balcone

Ci sono libri che aprono porte su nuovi mondi, che fanno esclamare “ohhh” per la sorpresa e il piacere di conoscere. Non si tratta solo di saggi. Anzi a volte i saggi possono essere noiosi e indurre al gioco di scoprire quale ideologia sostenga l’autore. Quando invece è un libro di narrativa che non solo sorprende piacevolmente per la scorrevolezza, per la storia coinvolgente che insieme commuove e fa sorridere ma anche perché ricombina e rafforza elementi di conoscenza, puoi davvero dire di non aver perso tempo, anzi quel libro ti guiderà nel riconoscere in futuro un buon libro.

Ogni casa ha bisogno di un balconeSi tratta di un primo libro: “Ogni casa ha bisogno di un balcone” dell’israeliana Rina Frank ingegnere edile, poi impiegata di banca e infine autrice televisiva. Parla di una società che da sempre guardo con attenzione e rispetto: quella israeliana. Questa società, che a partire dagli anni ’40 si è andata arricchendo di etnie e quindi di lingue, usanze, gastronomie, sfumature nelle pratiche religiose, stratificazioni sociali e da tutte le problematiche che queste diversità coesistenti in un piccolo territorio comportano, costituisce l’humus in cui è profondamente radicata poi la storia della protagonista la quale racconta a capitoli alterni la storia della sua infanzia e della sua vita adulta.

La storia della vita adulta è narrata in terza persona mentre quella con cui si apre il libro, quella dell’infanzia, è raccontata in prima persona e ci conduce nel cuore di una famiglia ebrea che dalla Romania fugge in Israele nel 1948. In questa famiglia poverissima che fugge dal nazismo e confluisce in una Terra Promessa colorata e multilingue ritroviamo le prime varietà e contraddizioni culturali che diventeranno il leit motiv di tutto il libro e che lo rendono così interessante e avvincente.

Credo che in definitiva il nucleo generatore del libro sia la ricerca della protagonista della sua personale unicità e valore in una terra la cui amministrazione spinge verso l’unità e la convivenza. Questa ricerca si manifesta in un rapporto di confronto continuo con sua sorella, seppure nella solidarietà e in un affetto incrollabile, poi in un rapporto matrimoniale in cui la differenza di censo la impegna in un grande sforzo di individuazione di sé stessa, infine, quasi un appuntamento con il destino, la battaglia più grande per provare e trovare il limite delle proprie forze è con la nascita della figlia, Noa, che soffre di una rara patologia: non riesce a respirare con il naso ma solo con la bocca e quindi la funzione della nutrizione e dell’accrescimento contrastano con l’ossigenazione quindi la sopravvivenza stessa.

Si potrebbe pensare ad una storia metafora della condizione di Israele ma se questo fosse un effetto cercato sarebbe un’operazione cinica e senza vita, cosa di cui il libro, invece, trabocca ad ogni pagina. Il lettore viene catturato e trasportato nelle casette di Wadi Salib i cui balconi si affacciano su cortili e stradine in cui convivono uno a fianco o di fronte all’altro siriani e famiglie di ebrei dell’est Europa, ebrei fuggiti dalla Germania nazista e quelli di ritorno dai campi di concentramento, ebrei askhenaziti e sefarditi, alcuni dei quali parlano la lingua ebraica, altri lo yiddisch altri semplicemente le lingue dei paesi da cui provengono. Per non parlare delle specialità gastronomiche, dei riti religiosi, del modi di tenere la casa, delle gerarchie nelle famiglie, degli arredi delle case ecc.

Alcuni capitoli del libro si svolgono a Barcellona, sempre nella comunità ebraica, altri di nuovo in Israele a Tel Aviv e Haifa. Questi spostamenti tuttavia sono vissuti dal lettore in modo del tutto naturale perché ampiamente giustificati dal vissuto della protagonista e nel corso delle 250 pagine che costituiscono il libro si sorride, si vive, si assaggia, si soffre con lei e alla fine si finisce per amare questa donna coraggiosa che ha lingua colorita, coraggio da vendere e un senso dell’umorismo eroico. Ed insieme a lei si ama la sua famiglia, le famiglie dei vicini e tutta quell’umanità che nel dna ha la cifra dello spostamento, dell’emigrazione, del supermento del senso di estraniazione o dell’handicap e a questo punto chi può dirsi veramente alieno da queste esperienze? A volte ci si trasferisce da un continente all’altro dell’anima senza neanche muoversi dalla propria casa…
Penso che queste siano i pregi di un libro che in Israele è stato un caso letterario nel 2006: il numero di copie vendute fa supporre che ogni famiglia israeliana ne abbia comprata una. E allora perché non cercarlo in libreria o in biblioteca e leggerlo anche in Italia, magari con una revisione della traduzione? A me è stato regalato, io vi regalo l’indicazione se ancora non l’avevate: Rina Frank, Ogni casa ha bisogno di un balcone, 253 pag., 15,00 € – Edizioni Cairo Publishing (Scrittori stranieri) ISBN 9788860520302

Ascolta l’intervista a Rina Frank:

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  1. isabella ha detto:

    Alle volte i miei disturbi congnitivi mi permettono di vedere cose che non ci sono, oltre a non capire quelle che ci sono. Ovvio.
    Così avevo letto: ogni cOsa ha bisogno di un balcone…
    E da lì mi ero fatta tutto un film autoprodotto nella mia mente sulla necessità di spazio, non solo figurato, ma anche fisico, esteriore e non, per tutto. Un balcone come ripostiglio? un balcone come palcoscenico. Sì.
    Una sciocchezza.
    grazie della recensione invece.
    Sensata, seria, utile.
    Come una cosa che sia una cAsa, ma con un balcone.

    Isabella.

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