La poesia è come l’Araba Fenice

Se per Antonio Spadaro il poeta è Adamo, per Alexandru Cistelecan bisogna tornare allo sguardo innocente del fanciullo e solo allora si potrà avere e fare poesia. Spadaro e Cistelecan sono stati i primi dei dodici relatori che si sono avvicendati al quinto convegno nazionale organizzato dall’associazione culturale di Reggio Calabria “Pietre di Scarto” e intitolato “La poesia: vivere la possibilità“. Il titolo riprende un verso di Emily Dickinson – I dwell in possibility – in cui la celebre poetessa americana afferma di vivere, di “abitare” la possibilità che quindi è il luogo della poesia. Ma che cos’è la poesia? Su questo interrogativo ha ruotato la serie di conferenze che dal 3 al 5 aprile si sono susseguite nella sala del Dipartimento di scienze storiche dell’Università reggina.

Molte di queste conferenze hanno declinato l’interrogativo di base partendo dall’esperienza di alcune figure di poeti e così, ad esempio, si è parlato di Mario Luzi – lo ha fatto il poeta e critico Giuliano Ladolfi – sottolineandone anche la forza “filosofica” così come invece di un filosofo come Tommaso Campanella è stata sottolineata dal critico Giovanni Carteri la produzione poetica. Un altro poeta dal forte “accento filosofico” è stato Lorenzo Calogero, anche lui calabrese, oggi caduto in un immeritato oblio da cui lo ha voluto sottrarre con una intensa relazione il poeta romano Claudio Damiani.E se due giovani studiosi, Tonino Pintacuda e Maria Renda, si sono avventurati per un arduo, ma riuscito, discorso che ha tenuto insieme Aristotele, Leopardi e Zanzotto – filo conduttore la luna, cioè la natura -, un altro giovane critico letterario, il vicentino Paolo Pegoraro, ha reso presente tutta la forza della poesia dello svedese Par Lagerkvist, lacerata tra angoscia e ricerca di fede.

Tra i diversi interventi due sono stati esplicitamente dedicati al testo biblico, quello di don Valerio Chiovaro – professore di esegesi nel capoluogo calabrese – che si è dedicato al libro dei Proverbi dove risalta l’assoluta concretezza della poesia biblica, una poesia che parte dall’esperienza umana quotidiana e lì ritorna illuminata dall’apertura al trascendente e quello di don Giovanni Cananzi sulla poesia del Cantico dei cantici. Tra citazioni di Ricoeur, Ravasi e Giovanni Paolo II, il sacerdote calabrese si è soffermato sulla più famosa celebrazione biblica dell’amore umano, un testo solo apparentemente “scandalosamente” erotico, perché non c’è nulla di umano che non sia degno della benedizione di Dio. Il testo della Bibbia, peraltro, anche quando non è stato citato direttamente, è stato sempre al centro della riflessione di questi tre giorni di Reggio Calabria, sin dalla relazione d’apertura di Antonio Spadaro dove si individua in Adamo la figura del poeta. È Adamo, il primo uomo, che guarda il mondo al primo giorno della creazione e quindi può anche “nominare” il mondo: questa è la poesia per padre Spadaro, gesuita e critico letterario alla ricerca di una “parola originaria”, una parola che se è davvero poetica precede il pensiero stesso perché “la parola poetica è il fiorire del pensiero davanti al mondo”.

Anche per il professore Cistelecan, che insegna letteratura rumena all’Università di Targu Mures, il riferimento necessario è quello della Genesi, ma non più Adamo bensì Babele. Nella poesia, quella vera, si sente il rumore della Torre da cui è partita l’avventura misteriosa del linguaggio umano. La poesia è non solo arte primigenia, ma anche sintetica, comprensiva di tutte le altre, perché racchiude in sé una dimensione “plasmatica” (il gesto, la corporeità), musicale (il suono), grafica (il segno), semantica (il significato). L’errore della critica è quello di aver spesso ridotto la portata di quest’arte alla sola interpretazione del significato che è l’ultimo e più astratto fra tutti i doni della poesia. Per Cistelecan il poeta parla di cose che – ancora – non sa e prova, a parole, ad esprimere l’inesprimibile proprio come il primo uomo posto di fronte al mondo: è obbligato a emettere quasi con spavento il suo grido di dolorosa gioia che è la poesia, qualcosa, come indica il titolo della sua relazione, “che non si può leggere”.

Al suo opposto, apparentemente, si muove Nicola Merola, professore di letteratura italiana dell’università con la sua relazione “La poesia come lettura”. La poesia ci aiuta anche a leggere il mondo, un mondo che però è in frantumi come dimostra appunto la poesia e l’arte contemporanea. La frattura è vecchia ormai e risale a diversi secoli fa; nella sua rapida, ma efficace sintesi Merola si sofferma sulla distinzione operata da Schiller tra poesia ingenua – degli antichi – e poesia sentimentale – dei moderni: è la spaccatura tra la Parola e la Cosa, tra coscienza e realtà. La poesia negli ultimi secoli non canta più la realtà ma se stessa, è diventata sentimentale e intellettualistica. Anche nelle parole di Merola si avverte quindi la nostalgia di una parola “ingenua”, originaria.

Su questa linea si sono mosse tutte le relazioni del convegno reggino, anche quelle dell’ultima giornata che ha visto un nuovo intervento di Antonio Spadaro il quale ha presentato la forza di un poeta che ritorna proprio in questi giorni nelle librerie italiane, Gerald Manley Hopkins, gesuita inglese, geniale cantore di quel mondo primigenio in cui si cela “la freschezza più cara” – è questo il titolo dell’antologia edita dalla Bur e curata dallo stesso padre Spadaro – e la relazione, tra le più interessanti dell’intera manifestazione, del professore Cristiano Gaston che sulla scia della riflessione di Merola e di Ladolfi sulla crisi del Novecento ha parlato del rapporto tra vita, poesia e realtà. Nella ricostruzione della lunga parabola poetica di Luzi, Ladolfi aveva osservato come la critica non si sia ancora impegnata a studiare il fecondissimo ultimo periodo del poeta fiorentino, quello dello stupore e del reincanto dei valori contro ogni deriva ideologica, un reincanto che passa attraverso la rivalutazione del Logos, termine che esprime a un tempo sia “parola” che “ragione” – e qui il riferimento al magistero di Benedetto XVI è stato inevitabile e appropriato. Partendo dalla sua esperienza di psicoterapeuta Cristiano Gaston, coordinatore dell'”associazione BombaCarta”, ha osservato che oggi in crisi non è l’idea di poesia ma quella di realtà; secondo Gaston il problema è scaturito dall’affermazione del sistema sperimentale che applicato inizialmente, correttamente, alle scienze naturali, ha finito per ridurre tutto il pensiero a “calcolo ed esperimento” estromettendo la concretezza della vita e della verità da ogni orizzonte umano. “Si può anche affermare che è vero ciò che si può sperimentare” osserva Gaston, “ma è terribile affermare che è falso tutto ciò che non si può sperimentare”. Tutto questo ha portato a un eccesso del razionalismo che ha (mal)ridotto la ragione secondo la battuta di Chesterton: è pazzo non colui che perde la ragione ma colui che perde tutto tranne che la ragione. Anche qui l’eco del pensiero ratzingeriano non è del tutto casuale. L’approccio del professor Gaston, con l’affermazione dell’esperienza come cuore pulsante per ogni conoscenza e attività umana, è peraltro quello proprio dell’associazione BombaCarta, organizzatrice insieme alle “Pietre di Scarto” di questa quinta edizione del convegno. (©L’Osservatore Romano – 7-8 aprile 2008)

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