C’è modo e modo di essere nel mondo

C’è modo e modo di essere nel mondo. Chi è ciascuno di noi, si chiedeva Calvino nelle sue Lezioni americane, “se non una combinatoria d’esperienze, d’informazioni, di letture, d’immaginazioni? Ogni vita è un’enciclopedia, una biblioteca, un inventario d’oggetti, un campionario di stili, dove tutto può essere continuamente rimescolato e riordinato in tutti i modi possibili”. Ma “io” dove sto in questa combinatoria d’esperienze? Sono io a vivere la vita o il grande meccanismo del mondo che determina la mia esistenza? Io sono coinvolto nel mio essere nel mondo o sono avvolto, sommerso senza scampo? O sono impigliato, involuto in esso?
Dopo una breve fenomenologia dell’esserci come coinvolto, avvolto o involuto, cercherò di indicare l’esistenza come il luogo di una complessa esperienza emotivo-affettiva dell’uomo nei confronti del suo essere nel mondo. Andando vedremo come la pluralità di queste esperienze di coinvolgimento esistenziale attingano a un possibile duplice atteggiamento nei confronti della vita: l’angoscia o la meraviglia

Una piccola fenomenologia
Osservando le strade centrali di una grande città si può avere l’impressione di essere immersi in un sistema, in un ingranaggio che inesorabilmente ci coinvolge nel suo muoversi. Pensate alla fila in attesa di ascendere alle scale mobili di una metropolitana o alle immancabili code agli uffici, agli ascensori,… Nasce nel cuore un desiderio di pace, di silenzio, di “stacco”. Eppure quando la pausa arriva, quando il silenzio avvolge gli istanti di una giornata di riposo, entriamo in un ingranaggio di ansia, di desiderio di fare qualcosa che ci coinvolga, che rompa il silenzio.
Le situazioni descritte ci parlano dell’essere nel mondo, dell’ essere più o meno coinvolti nell’esistenza. L’essere immersi nel tran tran quotidiano ci immerge in una situazione di “avvolgimento” che ci dà la sensazione di essere in trappola. D’altra parte molti avvertono in un avvolgimento di questo tipo una sicurezza: l’essere parte di una ditta, di una organizzazione, con tutti i suoi obblighi e le sue trafile offre una struttura all’esistenza, una spina dorsale in tempi di grande fragilità esistenziale. Altre volte l’avvolgimento è rappresentato dalla passione, ad esempio la passione erotica, che può travolgere e annullare le barriere e le resistenze, ma anche la libertà personale e la coscienza. C’è chi desidera annullarsi nella passione perché così può avvertire meno la responsabilità del proprio essere nel mondo. E tuttavia la passione spesso è effimera e, consumata, apre una voragine che chiede di essere colmata.
D’altra parte a volte sentiamo che la vita ci scorre addosso. Avvertiamo che il nostro essere nel mondo è privo di mordente, come se la vita che viviamo fosse altro rispetto alla nostra stessa vita. E così Sartre ne La nausea scrive: «Quando si vive non accade nulla… I giorni si aggiungono ai giorni, senza capo, ne coda, e una addizione interminabile e monotona… E poi tutto si assomiglia…Una volta ogni tanto ci si accorge che si e impelagati in una sporca faccenda, la vita. La durata di un lampo. Poi la sfilata ricomincia, ci si rimette a fare l’addizione delle ore e dei giorni. Lunedì, martedì, mercoledì. Aprile, maggio, giugno. 1924, 1925, 1926. Vivere è questo».
Un giovane narratore, Giuseppe Culicchia, ha intitolato il suo terzo romanzo Bla Bla Bla. Il protagonista di queste pagine non ha un nome. La vicenda è una vera e propria discesa agli inferi tra villette, supermercati, banche ristoranti, fast food: luoghi anonimi, «non-luoghi». Nel romanzo non accade nulla. La vita diventa un girotondo di fuga impossibile, ossessiva come quella della mosca chiusa in una bottiglia. Nessuna scanzonatura, ironia benevola, umorismo, dissacrazione o romanticismo: né tragedia né commedia. Tutto scorre, tutto passa, tutto fluisce lentamente: il fiume come la metropolitana, luogo dove si incontrano «migliaia di caviette che salgono e scendono, ciascuna con i suoi pensieri, la sua storia, i suoi caratteri somatici, bionde verdi arancioni nere, un dito nel naso, un occhio di vetro, un piede di plastica, impiegati di banca, profughi del Bangladesh, muratori, borsaioli, seduti o in piedi in un’apoteosi di odori».
Si tratta di una critica algidamente esternata di vite appiattite sul bla bla bla e sul tran tran quotidiano. Il sentimento del vivere è quello del rimanere sospesi nel vuoto: «il vuoto dentro, nello stomaco, nelle arterie, nel cervello, che ti esce fuori dagli occhi e invade la realtà intorno a te, in modo da contenerti tutto quanto, immobile e allo stesso tempo fluttuante, leggero e insieme plumbeo […] io galleggio, galleggio, galleggio».
In questa prospettiva le posizioni sentimentali della nostra giornata sono distillate, senza essere attraversate fino in fondo, nella percezione della «minaccia» di un coinvolgimento. A volte si vive in un meccanismo di difesa che consiste nello smontare il sentimento con la passione dell’anatomista in una grammatica e una sintassi: è come se l’esistenza perdesse di peso perché noi siamo “altrove”. Domina in questo caso la dimensione dello sguardo, di una sguardo che indossa un paio di occhiali scuri, per proteggersi dagli sguardi altrui. E’ l’esistenza anoressica.
Altre volte l’uomo si inganna e, come scrive S. Paolo ai Corinti, si «impiglia» nella propria astuzia (cfr. 1 Cor. 3, 19). Ci sono uomini che si sentono «navigati» nell’esistenza e credono di poter andare avanti da padroni nel mondo perché calcolatori, furbi, scaltri, astuti. Quest’uomo non si coinvolge nell’esistenza, ma si erge in essa come dominatore, non vedendo che rischia di «impigliarsi», cioè  involgersi come nelle sabbie mobili, le sabbie della propria presunzione.
Altre volte ancora ci si lascia andare come una foglia portata dal vento, come bene ha scritto Leopardi in Imitazione:

Lungi dal proprio ramo,
povera foglia frale,
dove vai tu? – Dal faggio
là dov’io nacqui mi divise il vento.
Esso, tornando a volo,
dal bosco alla campagna,
dalla valle mi porta alla montagna.
seco perpetuamente vo pellegrina
e tutto l’altro ignoro.
Vo dove ogni altra cosa
dove naturalmente
va la foglia di rosa
e la foglia di alloro.

Un giovane di vent’anni, Renato Ghergo, ha efficacemente descritto una posizione interiore riguardo alla vita. Scrive:
«Da dove iniziare? Innanzi tutto dalla discoteca sono uscito all’1:00. […]. Mi sento un essere, una persona che vive in penombra, una persona che osserva. Eh, si! Io sono principalmente un osservatore! Mi piace troppo, è una cosa che mi affascina stare ad ascoltare, ascoltare e riascoltare gli altri. Cerco negli altri me stesso perche tutte le altre persone compongono la mia persona. Gli altri mi danno la carica, la forza di vivere, di continuare ad andare avanti. Sono la mia benzina! Gli altri per me sono come la musica, come un metronomo: scandiscono i battiti del mio cuore, regolano la mia vita. Sono il battito animale che è dentro di me. E così il mio cuore continua a battere continuamente come un martello pneumatico, con quel suo tam-tam secco e conciso che dice tutto e non ha bisogno di altre spiegazioni. Però…
Tam-tam, il cuore batte, e prima che batta una seconda volta, c’è una attimo di silenzio. E così il panico è tra noi! Non sai più che fare, ed arrivi a pensare a tutto, tutto il possibile immaginabile. Il mio cuore così continua a schioccare a ritmo delle persone, e come il batterista di una band, il mio cuore si costruisce una melodia, un ritmo suo e comincia a battere, a picchiare fino a che… batte rock!
Le mie parole sono il rumore, a volte assordante proprio come il martello pneumatico, o come i bassi di una discoteca punz-punz, degli scalpitii del cuore. Vedi io sono abbbastanza insicuro di me stesso, e tutto ciò spesso mi fa pensare di non essere all’altezza e quindi preferisco stare zitto, osservare ed ascoltare gli altri ritmi!
What time is it? 3:55
Ho paura di perdere tutto ciò che ho intorno, odio essere giudicato! A volte mi piacerebbe stare dietro ad uno specchio e dall’altra parte, una sala immensa piena di persone che non possono vedermi, una sorta di telecamera nascosta che coglie e raccoglie tutto. Da paura!!!
Mi ci vorrebbe adesso un bel soul che riuscisse ad aumentare, a rinvigorire i battiti del mio metronomo. Una bella musica tutta carica di energia pura, come un fulmine! Un fulmine capace di spaccare il cielo del mio cuore “in due”, e risvegliare l’orchestra polifonica che è in me».
Renato scrive alle tre del mattino, nell’ora dove i contorni sono morbidi, la notte è fonda e il silenzio è profondo. Si dorme. Tornando a casa, Renato sa di aver vissuto un’esperienza viva, dinamica, coinvolgente, ma proprio in quel momento è cosciente di essere una persona «che vive in penombra, una persona che osserva». Sente il battito tam-tam e punz-punz del proprio cuore, ma avverte la pausa tra un tam e l’altro, tra un punz e l’altro. E alla fine preferisce il silenzio al martellare del coinvolgimento. Lo spazio del silenzio viene reso in immagine dallo specchio o dalla telecamera che riflette la vita in presa diretta, ma non si esprime e, soparttutto, non si coinvolge. Eppure il desiderio c’è ed è vivo: è il desiderio che l’orchestra venga risvegliata. Che significherà questo risveglio dell’orchestra?

Il risveglio dell’orchestra
Il poeta portoghese Pessoa ha scritto di conoscersi come una «misteriosa orchestra». La nostra complessità fa sì che ci si possa conoscere come una sinfonia di suoni. Si tratta di una bella metafora per dire l’esperienza. L’uomo è nel mondo in un coinvolgimento radicale di memoria, intelletto, volontà, sentimenti, immaginazione,… I modi di essere dell’uomo nel mondo non sono solo, come spesso si è ritenuto, di natura teorico-conoscitiva come la comprensione e l’interpretazione. La nostra comprensione del mondo avviene sempre in una determinata situazione affettiva di gioia, dolore, noia, angoscia in cui l’uomo si trova. Questa tonalità affettiva costituisce il modo originario di sentirsi nel mondo.
I fenomeni affettivi hanno capacità svelante: non svelano oggetti, ma lo stesso essere dell’uomo, il rapporto a se stesso che è la sua esistenza. Così il sentimento non è passione, attività, facoltà, atto, stato d’animo nè flusso coscienziale, strato profondo della coscienza, ma ha carattere ontologico. L’uomo esiste come un accordo, una armonia o una disarmonia con il mondo. Il sentimento, l’emozione, l’affettività è un suo modo es¬senziale di essere nel mondo, già da sempre. Le diversità intenzionali sono seconda¬rie: emozioni, abitudini, inclinazioni, predisposizioni. E ciò tutto è il rovescio del razionalismo che considera l’affettività come oscura, confusa, come il non-cognitivo. Non si tratta di una “sguardo”, come sarebbe la situazione dello specchio, ma di un essere accessibili dal mondo e quindi appunto colpiti e coinvolti affettivamente, “aperti” al mondo.
L’orchestra che suona le varie situazioni emotive/affettive della nostra vita quotidiana ha però almeno due melodie fondamentali che colgono l’uomo non in quanto persona che fa questo e quello nella vita, ma in quanto è nel mondo. E io posso pormi di fronte alla vita o con un senso di angoscia, di inutilità, di vacuità o, al contrario, di meraviglia, di stupore, di consolazione e gratitudine. Andiamo a fondo…

Angoscia o meraviglia di fronte al mondo
L’uomo -che si interroghi o no sulla propria origine- può vivere dei momenti in cui si ritrova sull’orlo dell’abisso per cui il suo stesso ritrovarsi nel mondo è per lui da vertigine. Scriveva Foscolo, prendendo spunto da Pascal, nell’Ortis:
«Io non so nè perchè venni al mondo; nè come; nè cosa sia il mondo: nè cosa io stesso mi sia. E s’io corro ad investigarlo, mi ritrovo confuso d’una ignoranza sempre più spaventosa. Non so cosa sia il mio corpo, i miei sensi, l’anima mia; e questa stessa parte di me che pensa ciò ch’io scrivo, e che medita sopra di tutto e soprs sé stessa, non può conoscersi mai. Invano io tento di misurare con la mente questi immensi spazj dell’universo che mi circondano. Mi trovo come attaccato ad un piccolo angolo di uno spazio incomprensibile, senza sapere perchè sono collocato piuttosto qui che altrove; o perchè questo breve tempo della mia esistenza sia assegnato piuttosto a questo momento dell’eternità che a tutti quelli che precedevano, e che seguiranno. Io non vedo da tutte le parti altro che infinità le quali mi assorbono come un atomo».
Questa è la «meraviglia di tutte le meraviglie»: l’uomo c’è, io ci sono. Questa constatazione meravigliata richiama la domanda: perché ci sono anziché non esserci? La domanda può ripiegarsi su se stessa e dire come tutto non ha senso e noi siamo gettati in questo mondo in modo del tutto arbitrario. La vita sarebbe una “passione inutile”. Camus ne Il mito di Sisifo scrive che l’uomo accetta di vivere fino in fondo una vita senza senso, assurda, una vita tutta chiusa nel soffocante alveo del tempo, in questo universo «ardente e gelato, trasparente e limitato, dove nulla e possibile e tutto e dato; e dopo il quale vi è lo sprofondamento e il nulla». La vita è un viaggio inutile nel deserto spazzato dal tempo, è «accettare la scommessa straziante e meravigliosa dell’assurdo».
Eppure l’uomo emerge come liberazione dal nulla che ha alle spalle. Può scoprirsi libero esistere che proviene liberato dal nulla. Non si dà da se stesso: è “dono”. Questa collocazione dell’uomo ha una connotazione, una “tonalità” affettiva che non “accompagna”, ma “costituisce” co-originariamente questa collocazione prima di ogni emotività fisiologica o psicologica. Fare esperienza del mondo significa in questo caso innazitutto provare meraviglia e consolazione: «Il mondo presente ci spalanca innanzi un così sconfinato panorama di molteplicità, di ordine e di bellezza che, nonostante le conoscenze forniteci dal nostro debole intelletto, ogni linguaggio, in cospetto a tante e tali meraviglie, smarrisce la sua forza, ogni numero la sua idoneita a misurare, e i nostri stessi pensieri ogni determinazione, così che il nostro giudizio sul tutto deve concludersi in uno stupore muto, e, proprio per questo eloquente» (Kant).
Le scelte del significato del coinvolgimento nella vita partono da queste due posizioni fondamentali. Se a prevalere è l’angoscia tutto si colorirà di insignificanza, banalità, irrilevanza. Anche l’esperienza più apparentemente coinvolgente sarà sempre velata di effimero e di irrilevanza. Se a prevalere è la meraviglia tutto sarà avvolto dalla speranza che colora l’esistenza quotidiana di un ritmo mordente e, appunto, coinvolgente.

La prospettiva pedagogica e l’importanza dell’esperienza
L’educazione e il compito pastorale sono decisivi nel maturare atteggiamenti esistenziali positivi. Questi atteggiamenti non si acquistano attraverso conferenze o lezioni, ma attraverso l’esperienza personale. Tommaso d’Aquino nella sua Summa scriveva: «Dei due modi d’acquistare la scienza, la scoperta personale (“inveniendo”) e l’insegnamento (“addiscendo”), è principale il primo, secondario l’altro».
Il momento dell’esperienza è il momento di entrare nel mondo, nella storia, negli avvenimenti, nei fatti, gustandone la gioiosità e l’amarezza con tutti i sensi (vedere…udire…odorare…assaporare…toccare), in modo sensibile, “estetico”. Conoscere la vita, leggerla e capirla non è sufficiente. L’esperienza di tutti i giorni pone l’uomo di fronte a situazioni di cui non è sempre facile cogliere la ricca complessità. Le facce della realtà sono varie e molteplici, chiare per una parte e oscure per l’altra, immediate nel messaggio ma anche ambigue nella lettura. E’ un dato, come abbiamo già notato. Le radici della complessità sono profonde. L’uomo stesso è incapace di veder chiaro nel suo cuore. I sentimenti che lo agitano non sono lineari e conseguenti, semplici ed univoci. L’uomo è incapace di abbracciare totalmente la propria esistenza. La vita presenta continuamente mille volti cangianti, manifestando talora la gioia del vivere e la felicità della conquista, talaltra l’insoddisfazione del compito a cui si è chiamati e l’aridità dei risultati raggiunti. La complessità pone una sfida al compito educativo: come aiutare a vivere la vita con un coinvolgimento che sia frutto di una visione fiduciosa della vita. Non basta aver fiducia. Le visioni “consolatorie” o buoniste dell’esistenza sono a volte solo frutto di una mancanza di incisività, di timidezza esistenziale.
Emergono almeno tre ambiti nei quali è possibile far maturare un coinvolgimento positivo:
– l’ambito delle reazioni affettive
– l’ambito delle domande sulla e nella vita
– l’ambito dell’impegno operativo e creativo

Abilità di reagire affettivamente
Una delle sfere dell’esistenza più complesse è quella del «sentimento»: è facile essere «presi» da un sentimento, ma non è così facile conoscere, nominare, distinguere il sentimento stesso. Che differenza c’è tra amore e passione, tra gioia ed allegria, tra pace e serenità, tra paura ed angoscia? E’ facile dire che «c’è differenza» ma solo dopo una lunga ed attenta riflessione riusciamo, se ci riusciamo, a definire concretamente questa differenza.
Ogni giovane scopre un proprio fondamentale essere toccato «dall’esterno»: esiste una intenzionalità passiva nel senso di un essere accessibili dall’esterno, l’essere toccati in modo tale da non essere in grado di pre-selezionare gli stimoli in un ambiente, in una complessità di stimoli esterni. Occorre dunque una attenta pedagogia dell’imparare ad ascoltarsi, dell’ascoltare le proprie «risonanze». La risonanza è un movimento del cuore, è un fenomeno della coscienza e la coscienza è il luogo, la sede in cui convergono tutte le facoltà dell’uomo.
La risonanza interessa l’affettività dell’uomo, ma coinvolge anche l’intelligenza, la volontà, i sensi, la fantasia, la memoria. A questo stimolo l’essere dell’uomo vibra e reagisce. Questo termine tecnico di risonanza non riguarda, naturalmente, soltanto alcune esperienze: la vita della nostra coscienza è fatta di un susseguirsi costante di risonanze. Risonanza è ogni movimento della coscienza provocato da uno stimolo che proviene dalla realtà esterna.  Il vissuto della nostra coscienza non è altro che un susseguirsi di risonanze, è un intreccio di risonanze, l’identità della nostra coscienza è anche il risultato della strutturazione, della sovrapposizione di una trama molto complessa di risonanze.
La manifestazione della risonanza è una oggettivazione rivolta a qualcuno, una oggettivazione fatta per essere comunicata. La verità ultima della mia risonanza non è l’oggettivazione di per se stessa, ma la manifestazione e la controrisonanza che mi viene dalla manifestazione. In questo caso  occorre abilitare e liberare le persone di fronte alle loro reazioni emotive-affettive nei confronti della vita, facendo in modo che sia possibile dire con libertà e autenticità: «mi piace», «non mi piace», «mi lascia indifferente»,… e quindi si possano manifestare le proprie risonanze. La coscienza non può essere veramente se stessa, se non nel dialogo con la coscienza di qualcuno. La conferma di questo si ha nella esperienza del dialogo. Ciascuno di noi sa per esperienza quanto il dialogo sincero e leale, un dialogo autentico in cui le risonanze non siano contraffatte e manipolate, un dialogo in cui ci si confidi, si apra il cuore, ci si manifesti a vicenda quello che si sente davvero, sia estremamente costruttivo. Ciascuno sa come da questa esperienza di dialogo si esca rinvigoriti, liberati, personalizzati.

Abilità di porre domande
In ogni esperienza i dati sono percepiti anche in modo cognitivo. Facendo domande, immaginando, esaminandone gli elementi e i rapporti, la persona organizza questi dati in un tutto o in una ipotesi: «Che cosa è questo?»; «Assomiglia a qualcosa che già conosco?»; «Come funziona?». In questo senso possiamo parlare significativamente di una «pedagogia della domanda». Nell’educare al coinvolgimento nella vita è dunque necessario dedicare sforzo e tempo a studiare e praticare un repertorio di tecniche interrogative che l’educatore possa usare per stimolare il pensiero creativo e la successiva riflessione. Il coinvolgimento, infatti, passa per la coscienza della persona che vive e che esperisce la vita. Un coinvolgimento da videogioco è proprio di un approccio al reale meramente virtuale nel senso che mai tocca la realtà, ma solo una sua immagine. La strategia della domanda dovrebbe essere una strategia da applicare soprattutto al vissuto emotivo-affettivo.

Abilità dell’impegno come coinvolgimento radicale
La terza area di coinvolgimento risulta essere quella dell’attività concreta. Molte attività educative si fondano sulla dimensione verbale e, per questo motivo, risultano impermeabili ad un coinvolgimento reale. Troppo spesso si coinvolgono le persone in discussioni. Gli atteggiamenti invece si formano attraverso la pratica e il vissuto, lì dove l’uomo si sperimenta realmente “essere-nel-mondo”. Ciò significa incoraggiare la stretta cooperazione, la mutua comunicazione di esperienze e il dialogo; mettere in relazione l’apprendimento e la crescita con l’interazione personale e con i rapporti umani; proporre il progresso verso un’azione che influisca sugli altri per il loro bene. I significati, gli atteggiamenti, i valori realmente interiorizzati fanno parte della persona e spingono necessariamente ad agire.

Conclusioni
Il coinvolgimento è uno stile, ma anche una sintassi (che sa mettere in ordine gli elementi della vita). Le sue radici non affondano nell’attivismo o nella sommatoria di esperienze, ma in un atteggiamento radicale nei confronti della vita. Una visione pessimistica del vissuto infrange la speranza e debilita di ogni fondamento l’impegno dell’uomo nel mondo. La creazione, ha scritto Teilhard de Chardin, non è finita: essa si sviluppa sempre più intensamente. Il nostro compito è precisamente quello di contribuire direttamente al suo compimento con il nostro lavoro. E questo il significato ed il valore, in ultima analisi, delle nostre azioni e del nostro coinvolgimento nel mondo.

Leggi i 7 commenti a questo articolo
  1. leo ha detto:

    Interessante… tra Heidegger e le regole del discernimento degli Esercizi Spirituali di S. Ignazio…

  2. il pellegrino ha detto:

    Se si smettesse, di viversi nel quotidiano come nella casa del Grande Fratello, forse perderemmo tutte queste speculazioni esistenziali, e percorreremo le strade del Mondo del Regno di Dio, da semplici e umili credenti.
    L’unica risonanza sarebbe quella dell’Amore Infinito e ogni uomo andrebbe incontro al suo destino senza drammi o inutili tomenti.

  3. valerio ha detto:

    cosa vuoi dire o pellegrino? Per me quelle di Antonio non sono speculazioni esistenziali ma tentativi di comprendere il reale per poter dipanare la matassa del quotidiano, così da vivere da semplici e umili credenti.

  4. il pellegrino ha detto:

    Non sono certo io che deve insegnare proprio ad Antonio ( padre spirituale)come si vive da umili credenti, volevo solo dire che per dipanare la matassa della vita, non ci si può mettere una vita.
    Bisogna cominciare semplicemente a tessere la trama della Parola nel quotidiano.

  5. Magdala ha detto:

    ” Senza di Me non puoi far niente” (Gv 15,5) Allora la memoria di Te è tutto , e questa memoria è dimenticanza di Te.

    Dobbiamo rompere l’involucro di ogni ora delle nostre giornate:
    che si lasci riempire l’ora stessa do questo abbandono a Te , di questa certezza di Te , di questa attesa AMOREVOLMENTE SICURA , CHE è UN AMORE TUO E UN AMORE MIO COME CERTEZZA DI ATTESA

  6. Paola Padula ha detto:

    L’esserci, è la vera missione dell’umanità, io credo da sempre. Il non essere in ciò che non ci appartiene, è una scelta di esserci maestra, stimolante, che rassicura illuminando.
    Semplicemente perchè, contattando i richiami più più reali, più nudi – al di là delle paure e delle contingenze – di sè, l’incontro col mondo consegna domande e coinvolge. E qualche risposta a volte arriva. Così, la vita diventa una storia d’amore e di responsabilità irripetibile, piena di passi, arresti e traguardi, luce e segreti nuovi.
    Grazie, Antonio.

  7. Giordana ha detto:

    Così descritta viene voglia di viverla una vita così. Ha potere esemplare e generativo.

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