Jovanotti e il raggio di sole

Secondo Flannery O’Connor «la mente che sa capire la buona narrativa non è di necessità quella istruita, ma la mente sempre disposta ad approfondire il mistero attraverso il contatto con la realtà e il proprio senso della realtà attraverso il contatto con il mistero». Ascoltando la musica di Lorenzo Cherubini, in arte Jovanotti, ci si imbatte in un racconto semplice e immediato della propria esperienza del mondo, in una riflessione che, attraversando nuclei di vita quotidiana, si mostra capace di intuire questioni radicali dell’esistenza.

Uno sguardo, quello del cantautore romano, che coglie significati profondi in testi semplici, freschi, dove spirito e materia non si oppongono, ma concorrono invece, riecheggiando a tratti la teologia di Teilhard De Chardin, all’intuizione della realtà come un Tutto, in cui ogni nostra azione implica una reazione e quindi una responsabilità.

In Safari, canzone che dà il titolo all’ultimo album di Jovanotti, il testo parte con una ricognizione sul caos della vita urbana («dentro la mia testa ci son più bestie che dentro la foresta»). Il tema della babele contemporanea, dello smarrimento del senso dinanzi al bombardamento di stimoli e messaggi ricorre spesso come situazione di crisi a cui reagire, avviando un percorso che, anziché polemico e oppositivo si pone come originale e propositivo. La difficoltà di mantenere la rotta, la fatica provata nel tentativo di non perdere l’orientamento non soffocano lo slancio a partecipare, a «restare collegati», a sentirsi parte di un Tutto dotato di senso. L’entusiasmo, l’ottimismo, il desiderio “di esserci” sono uno dei temi più coinvolgenti e senza dubbio ricorrenti nei testi di Jovanotti.

Questa volontà di partecipare in modo creativo, come pure il mettersi sempre in gioco, producono suggestioni di ascendenza kierkegaardiana come il verso di Mi fido di te: «La vertigine non è paura di cadere, ma voglia di volare». La vertigine della libertà dell’uomo, giunta sull’orlo del burrone, compie in Jovanotti il salto dell’affidamento. In questa, forse una delle sue canzoni più belle, il ritornello incalza: «Mi fido di te. Che cosa sei disposto a perdere?». La libertà intuisce che la vera relazione può nascere solo da una rinuncia, intesa come rottura dell’arroccamento del proprio io in se stesso; una faticosa apertura all’alterità che permette di ricevere molto più di quello che si è creduto di perdere. Quella stessa sostanziale e sconcertante fiducia nel mondo che permetteva a Ettty Hillesum, durante i rastrellamenti nazisti di scrivere:«quel che viene è bene». Per la giovane ebrea olandese il messaggio di accettazione della fondamentale bontà del mondo non significava di certo cecità o rimozione del male, ma scelta del bene a cui arrivare «disseppellendo dentro di sé Dio da pietre e sabbia». Anche in Jovanotti la dicotomia tra bene e male è posta e, seppure in altri termini e con altra drammaticità, la conclusione è la stessa disarmante scandalosa verità: «Tra il male e il bene è più forte il bene», come ripete il testo di Penso Positivo o come chiosano i versi di Salvami, canzone in cui il bisogno di salvezza, di redenzione è posto fin dal titolo in maniera tutt’altro che implicita: «La storia ci insegna non c’è mai fine all’orrore la vita ci insegna che vale solo l’amore».

In Mezzogiorno, dove il ritornello recita «Siamo come il sole a mezzogiorno, senza più nessuna ombra intorno», si canta la possibilità, la chance di ognuno di noi di fugare l’ombra, esponendosi senza paura, senza nascondimenti al sole a picco, a quella che John Donne nella sua celebre poesia Lezione sull’ombra, definisce «luce coraggiosa». Una vita come apertura alla possibilità, quindi, un «buttarsi dentro vada come vada», capace di considerare le inevitabili cicatrici come «autografi di Dio», considerando le proprie responsabilità come opportunità («nessuno potrà vivere la vita la posto mio»).

E così la responsabilità della paternità viene narrata in una ninna nanna (Per te), che suona come una celebrazione del mondo letto, grazie alla nascita della figlia, con lo sguardo fresco dell’inizio che solo un bambino può restituire: «E’ per te ogni cosa che c’è, ninna-na, ninna-e». Ma il campo dove i testi di Jovanotti irradiano l’energia maggiore è quello della relazione amorosa. In A te, ad esempio, si ripercorrono le tappe di un rapporto ormai consolidato, rapporto che permette l’accesso all’essenza e alla sostanza della realtà. Le incomprensioni, le difficoltà, le fatiche non vengono taciute, ma fanno parte di un’autenticità radicale, senza ipocrisie. Ma quando anche le parole confondono e falliscono ecco che in Un raggio di sole per te viene tentato il tutto per tutto: «E ritorno da te, senza niente da dire, con in mano un raggio di sole per te».

Insomma, Jovanotti nella sua musica intuisce verità profonde sulla condizione umana, facendolo con una semplicità e una freschezza capaci di svelare il portato essenziale, originario, salvifico di un raggio di sole.

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