Sanghe e anema: la musica del sud

Se c’è un luogo nel quale il Sud mostra tutta la sua originalità, la inesauribile ricchezza dei suoi patrimoni – ed eccentricità rispetto ai codici ufficiali – quel luogo, insieme inafferrabile e immediato, è la musica. Una mappa – inevitabilmente incompleta e parziale – può aiutare ad avvicinarsi a questo mondo musicale, che spesso fatica a raggiungere i circuiti nazionali. E’ possibile cogliere una cifra comune alla musica del sud, pur nella diversità degli stili, delle voci, delle interpretazioni? Una prima “carrellata”:  uso del dialetto, ritmi sincopati, meticciato musicale, richiamo ad altri mondi e esperienza, mix di tradizione e innovazione, attenzioni alle forme comunitarie e rituali.

Napoli, memoria e futuro

Spetta a Napoli, e al grande serbatoio della sua storia musicale, fare da apripista in questo (piccolo) viaggio nelle sonorità meridionali. A partire dalla metà degli anni Novanta, gruppi come gli Almamegretta e i 24 Grana hanno insieme rotto e aperto a nuove sonorità  il corpo della tradizione napoletana. La “rivoluzione”  è stata in qualche modo preparata da formazioni storiche degli anni Settanta come La Nuova Compagna di canto popolare , i Musica nova di Eugenio Bennato (ex NCCP poi approdato al progetto Taranta Power), gli E’ zezi, la formazione di Napoli centrale (nella quale milita Jemes Senese, già sassofonista di Pino Daniele). Il recupero di materiali, spesso sotterranei, della tradizione si sposa la rivendicazioni marcatamente sociali e politiche. In particolare, nella Compagnia di canto popolare questo lavoro di recupero si fonde a una dimensione “teatrale”, nel quale il corpo, da sempre al centro della rappresentazione napoletana (da Pulcinella a Totò), ritrova la sua dimensione espressiva, debordante, carnevalesca. Nella produzione degli Almamegretta è prepotente il richiamo all’identità, a una napoletaneità non più schiacciata su abusati cliché. Il sud è chiamato a una nuova insorgenza (“Sud insist cha resist”), a una non supina accettazione del presente (“Genta mia genta generosa/ non v’arrenit cambiat tutt’ e cos”), a una vitale e disperata affermazione identitaria (“tenimm sangue e anima/ o tenimm verament stu sangh’ e anima”). Il racconto su Napoli – una Napoli violenta e solare, irredenta e generosa – avviene attraverso il racconto di vite marginale come in O bbuon e o malament, nella bellissima e cruda 47 , nella città ripiegata nei suoi vicoli  (“Per rint e vicoli addo non trase o mare”). La ridefinizione identitaria preme su narrazioni consolidate, arriva a rovesciare la storia, come in Figli di Annibale (“Se conosci la tua storia/ sai da dove viene/ il colore del sangue che ti scorre nelle vene”). Dagli Almamegretta si è staccata la voce solista, Raiz (nella foto) per intraprendere un percorso solista che, in particolare nel suo secondo album “Uno”, ha realizzato una delle più belle prove. Ancora il rifiuto di ogni compromesso: ” Arrevuotate arrepigliate chiesta è a vita toja/ tu non t’arrennere”. Anche i 24 Grana partono dalla tradizione per violarla, per spingerla oltre i suoi confini. Come nell’antica O’ cardillo (interpretata tra gli altri anche da Sergio Bruni), Vesuvio (degli e Zezi), o il Canto dello scugnizzo (di Bennato). L’universo sonoro della tradizione è piegato all’impasto acido di reggae e punk. Anche l’amore, tema onnipresente nella tradizione, trova cittadinanza nel repertorio dei 24 Grana come nella bellissima Kevlar: “Quanta speranza s’arape ‘a matina/ quanno ‘a matina s’arape cu te/ quanno nu juorno ‘è colori ne è chino/tanta è ‘a speranza che trovo co’ me” . Più schiacciata su forme di militanza politica è la produzione dei 99 Posse che vivono la loro stagione migliore con l’intreccio di voci di Meg e Luca Zulù Persico. Lucariello, Co’sang esplorano nuove forme di sonorità privilegiando il rap. A cavallo tra i patrimoni musicali campani e pugliesi, si muove Eugenio Bennato. Sua la Brigante se more, sorta di inno, di appello alla resistenza, attraverso la riscoperta della figura del brigante, emblema di una rivolta fallita e trasfigurata nel presente. In Sponda sud il ricordo di un’Italia minore si sposa ai ritmi della taranta e a incursioni nel mondo sonoro mediorientale e africano. Teresa de Sio in Amén ritrova l’invocazione, il tu dato ai santi, una religiosità abituata  alla convivenza con il sacro e rivissuta ancora una volta in chiave di rivolta: “Oi Maro nun dice Amén”. Lo stesso Tu ritorna in un brano interpretato da La moresca, Oje Maronne fance chiovere.

Puglia tra raggae e taranta

Lungo il confine tra raggae e tradizione, si muove da anni la band salentina dei Sud sound system. Domina nella loro musica l’appello alla difesa della propria terra, una terra aggredita e vilipesa, come nel brano Le radice ca tieni (“amala e difendila/ la terra tua amala e difendila”) nel quale vibra il bisogno di memoria (“la vittima diventa boia/ se nun tena cultura”): “E’ la terra toa, amale a difendila! de ci ole cu specula e corrompe difendila!/de ci ole sfrutta l’ignoranza, difendila!/ de ci ole svende l’arte nostra, difendila!/ per ci nu tene chiù speranza, difendila/ pe ci ha rimast senza forza difendila”.  Una sorta di componente estatica irrompe in A me me basta lu sule. L’immigrazione è un tema che affiora non solo nei testi dei Sud Sound System (Ciao amore, Sarò qui) ma anche nella produzione dei lucani Krikka raggae. La rivendicazione di un’appartenenza (“quista è casa mia terra mia/ lu Salentu no nù se tocca) non si fa mai chiusura identitaria (“tengo sempre aperta la porta”). Alla scena raggae e dub appartengono anche Mama Marjas, i Boom da Bash e Insintesi.

In Puglia si muovono due band raffinatissime, come i Radiodervish e i Radicanto. La prima, con la voce del palestinese Nabil Salameh, coniuga il patrimonio musicale arabo con quello della melodia italiana, tuffandosi anche nell’universo popolare delle bande di paese. Il brano Centro del mundo è il loro manifesto musicale e non solo, con Nabil che salta dall’italiano all’inglese, dallo spagnolo al francese: l’identità meridionale è molteplice, il suo segno è non il ripiegamento su presunte purezze identitarie ma l’ospitalità, l’apertura a mondi che si compongono e non necessariamente si schiacciano. I Radiodervish spaziano dalla poesia del poeta persiano Farid-ad-dim Attar e Amara terra mia di Domenico Modugno. I Radicanto guardano a Oriente: ancora una volta è la contaminazione il registro dell’archivio meridionale. Anche nella loro musica trova posto la voce dei Migranti: “Noi fummo fatti sangue e migrazioni /ruvide vene svelte sulle mani/ esposti al vento e al tempo/ esposti al vento e al tempo d’altro mare”.

Ricchissimo il filone esploso attorno alla rinascita della taranta. Si torna alla tradizione, la si riporta a nuova vita, la si innova. Dai salentini (e pioneristici) Officina Zoé ai Nidi d’Arac, dagli Aramirè alla splendida voce di Anna Cinzia Villani, da Arakne mediterranea ai Tamburellisti di Torrepaduli, dai Cantori di Carpino del Gargano, passando per formazione varie come i Rione Junno (Monte Sant’Angelo).

Il mediterraneo siciliano

Anche la Sicilia presenta un ricchissimo ventaglio di gruppi musicali (Malanova, I Dioscuri, Musicanti, Sciroccu, al Qantarah), con il mediterraneo che è assieme scenario e proiezione, origine e ritorno, realtà e sogno, passato e mito. Storia e geografia disegnano un paesaggio sonoro ricchissimo: tra le varie band chi si muovono sulla scena dell’isola, meritano un posto particolare gli Agricantus (oggi sulle scene con il nome di Acquaviva), capaci di tessere trame sonore che recuperano la tradizione e i strumenti della memoria aprendoli però alle contaminazione e alle del mondo arabo. In questo senso l’album Tuareg, dove il nomadismo esistenziale del popolo del deserto diventa nomadismo musicale: “Iu sugno com’u ventu/ sulu l’occhi mi si virinu/ iu sugnu com’u ventu/ Amadan Imajhiren ekà/ Aman Iman” (“io sono come il vento/ mi si vedono solo gli occhi/ io sono come il vento/ vado a conoscere i Tuareg/ acqua è vita”.

Leggi i 3 commenti a questo articolo
  1. Max Granieri ha detto:

    STRA – O – RDI – NA – RIO!

  2. Luca Miele ha detto:

    Grazie MAX!!!! ma c’è una lacuna imperdonabile: la Calabria!

  3. Simonetta Salinari ha detto:

    ….bellissimo!!!
    Luca, qui hai fatto davvero, per tutti coloro che leggeranno il tuo articolo, un mini-corso di musiche del sud di cui, desiderosa di conoscenza musicale e ancor più di ragioni per valorizzare la mia terra, ti sono sommamente grata!
    Hai unito input frammentari…e hai davvero disegnato un’utilissima mappa!
    Ciò che hai tracciato è bellissimo e ‘incastona’ ogni musica nel proprio ‘anello’ geografico e al contempo nella ‘parure’ di questo sud incredibilmente fecondo, di cui ciascuno potrà qui ritrovare tutta la nostalgia ed il migliore orgoglio…quello della più sana creatività!
    Bravissimo Luca e che onore poterti leggere! Grazie ancora!!

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