Kenaz, una tenerezza che non risparmia nessuno

Yehoshua Kenaz

Quando si parla di letteratura israeliana vengono subito in mente nomi famosi: Abraham Yehoshua, Amos Oz, David Grossman. Di nomi, però, ce ne sono tanti altri. A cominciare da Yehoshua Kenaz.

Classe 1937, premiato per ben due volte con il Bialik e a lungo redattore del prestigioso quotidiano Ha’aretz. In Italia qualche suo romanzo era comparso e svanito altrettanto in fretta per Mondadori – complice l’uscita cinematografica di Alila (2003), di Amos Gitai, ispirato al suo romanzo Ripristinando antichi amori – mentre oggi i suoi titoli sono disponibili per la casa editrice Giuntina, impegnata nella traduzione del suo capolavoro Infiltration, libro tabù in Occidente, che racconta il servizio militare nell’esercito israeliano.

Nelle pagine di Kenaz, notoriamente sostenitore del partito di sinistra, è assente non solo ogni retorica politica, ma qualunque tentativo della Storia – per quanto ingombrante – di schiacciare in secondo piano le esistenze individuali. In Paesaggio con tre alberi, pure  ambientato negli anni del mandato britannico, il fuoco della narrazione è completamente centrato su due famiglie che vivono l’una accanto all’altra scrutandosi attraverso i propri figli, inconsapevoli doganieri delle mentalità acquisite tra le mura di casa. Finché alle loro porte non si presenta Franck, soldato inglese ossessionato da un’incisione di Rembrandt. Ma in primo piano rimangono sempre i caratteri dei personaggi e i grandi drammi storici sullo sfondo: a evocarli basta una battuta rapida, affilata come un colpo di cesello che si incide sulla lastra della nostra attenzione.

Traduttore dal francese, Kenaz si è formato sulle pagine di Gustave Flaubert e Georges Simenon, e nelle sue pagine si avverte lo stesso amore per il dettaglio, lo stesso sguardo implacabile sulla drammatica quotidianità della vita umana. I suoi soggetti preferiti sono i condomini: alveari di vite umane che trascorrono e si consumano l’una accanto all’altra, spiandosi perpetuamente o sfiorandosi solo per pochi secondi sulle scale o sui pianerottoli. Esistenze ordinarie e ordinari fallimenti, sguardi di sbieco, pettegolezzi, adulteri, liti per cantieri abusivi, silenzi insanabili, denunce, invidie, frustrazioni, la crudele innocenza dei bambini. E poi incontri casuali, l’irrompere improvviso dell’imprevedibile. E l’esplodere di azioni folli e insensate, così come senza ragione e immotivati sono i gesti di tenerezza che fioriscono nelle sue pagine: rari ma potenti come una fioritura nel deserto.

Yehoshua Kenaz

Yehoshua Kenaz, autore israeliano

Come i suoi maestri, la penna di Kenaz è un bisturi che taglia sempre più a fondo, non per ferire tuttavia, ma per asportare il tumore e guarire. Nel suo sguardo si coglie una sensibilità – familiare ad alcuni racconti di Raymond Carver o Bernard Malamud – che non annichilisce l’uomo nel suo male, ma riesce piuttosto a riconoscere quando la sofferenza travalica se stessa e assume la forma dell’invocazione.

«Che Dio abbia pietà di te» rantola con le sue ultime forze al suo strangolatore la vecchia Rosa, cieca e pazza, eppure misteriosamente capace di riconoscere e chiamare per nome il proprio assassino. Che non si pentirà né cambierà vita, ma avrà sentito rivolgersi inattese parole di misericordia (La grande donna dei sogni). «E a me chi mi perdona? Quando sarà finita? Quando ci sarà il perdono per me?» piange la signora Jolanda Moskovitch in Voci di muto amore: e quel pianto liberatorio sarà il suo primo momento di felicità dopo molti anni, una crepa nel guscio di un’esistenza rinchiusa in se stessa che permetterà a qualcun altro – pur negli ultimi anni della vecchiaia – di scardinarne la solitudine. Appartamento con ingresso nel cortile, KenazDavanti all’immenso cumulo di paranoia e mediocrità che appesantiscono ogni esistenza, l’intera produzione narrativa di Kenaz è percorsa da una domanda: ci sono vera pietà e vera tenerezza in questa vita? L’uomo, con il suo carico di peccati davanti ai quali bisogna rifiutare di indulgere e chiudere gli occhi, le potrà mai meritare?

I racconti dello scrittore israeliano non sono consolatori. Talvolta una sola carezza è l’intera porzione d’amore che si può spremere fuori da un romanzo: ma quant’è autentico e colmo di senso, quell’unico gesto. Nel cuore dell’uomo, pare dire Kenaz, albergano una follia e una pietà senza limiti, perché il dolore è capace di spezzare perfino i più forti e anche i deboli sono capaci di provare un odio infinito.

Nessuna esistenza può pensare di trascorrere interamente al riparo dalla generosa pioggia della tragedia e dell’insensatezza. Eppure anche nella notte più fitta le stelle sono affacciate sulla nostra polvere,« occhi puri ed eternamente giovani» che contemplano ogni cosa con infinito amore. E il loro sguardo non risparmia nessuno.

(articolo comparso su RomaSette 30/09/2011)

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  1. Stas Gawronski ha detto:

    Veramente potente questa riflessione sull’opera di Kenaz! Ho incontrato e intervistato questo autore due volte, perso come un bambino sorrideva con simpatia ai suoi personaggi e alle sue storie, incapace quasi di parlare della propria letteratura.

    Della sua opera mi hanno colpito soprattutto i condomini di Tel-Aviv e quel senso di smarrimento o di rabbia (molto prossimo, appunto, a un’invocazione) che affligge i loro abitanti: edifici viventi, formicolanti di inquietudini implose o in esplosione, distanti dalla Storia e (solo apparentemente) da un destino più grande. Condivido il riferimento a Carver e Malamud, anche se spesso l’autore indulge in spiegazioni dei sentimenti dei personaggi che appesantiscono il testo. Grazie, Paolo!

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