Il cinema come gioco e come giocattolo

Nascita dei pianeti, dal film "The Tree of Life"Sto leggendo un bel saggio teologico scritto 50 anni fa da Hugo Rahner intitolato “L’homo ludens”, l’uomo che gioca, e trovo nelle prime pagina l’affermazione che la creazione “gioca innanzi a Dio il suo gioco cosmico, dal moto degli atomi e delle stelle fino al grave e bel gioco del genio umano, fino alla danza beata in cui si inseriscono gli spiriti che tornano a Dio. L’homo ludens può essere compreso solo se anzitutto, e con tutto il timore reverenziale possibile, parliamo di un Deus ludens.  Mi ha fatto venire in mente il film “L’albero della vita” di Terrence Malick, di cui mi è sembrata quasi un efficace riassunto. Malick con quella lanterna magica che è il cinema, ha costruito un grande spettacolo sul “gioco della creazione”, dalle origini alla fine dei tempi, qualcosa di raro nel cinema di questi ultimi anni, al punto che mi sono chiesto, uscendo dal cinema, se il pubblico contemporaneo per caso non fosse più abituato ad uno spettacolo simile. In effetti non esiste un film “simile” a “L’albero della vita”, a parte forse “2001 Odissea nello spazio” di Kubrick, solo che invece di essere girato dall’algido Kubrick sembra essere girato da più “umani” John Ford o Francis Coppola (soprattutto nella parte della famiglia texana con un ottimo Brad Pitt nel ruolo del capofamiglia con tanto di mascellone alla Brando-Corleone). Di recente ho visto anche “This must be the place” di Paolo Sorrentino e ho ripensato a questo aspetto del cinema come “giocattolo”. Un film dolce sulla dolcezza che, per certi versi, diciamo che mi è piaciuto. Però mi ha fatto ripensare al cinema come giocattolo… ora io distinguerei tra gioco e giocattolo: Malick con le potenzialità del suo giocattolo-lanterna magica, ha creato una vera e propria “danza cosmica”, un bel gioco, anche se non dura poco, un film che assomiglia ad una messa cantata (e infatti termina con l’Agnus Dei cantato da un coro).   Invece mi pare che Sorrentino, in tutti i suoi film, compreso l’ultimo, abbia realizzato dei bei giocattoli ma privi di gioco. Sorrentino è il più bravo dei giovani registi italiani, ma il suo talento si sente, si vede… il che è troppo; in altre parole i suoi film sono dei virtuosismi. L’influenza di Scorsese, altro grande virtuoso del cinema contemporaneo, è evidente, e proprio in questo ultimo film, in cui si avverte la presenza di un “calore” e di un senso di umana pietà assente nei film precedenti (contraddistinti da un tono amaro, beffardo e sarcastico), emerge ancora più forte il problema del cinema di Sorrentino che risiede paradossalmente nella forza del suo talento. Il regista napoletano costruisce dei giocattoli perfetti, ma forse proprio per questo appaiono come opere senza vita, come se fossero dei giocattoli fini a se stessi, meccanismi ben oliati, fuochi artificiali ricchi di effetti speciali ma senz’anima. Il vero problema risiede forse nella scrittura, come se Sorrentino fosse bravissimo a dire cinematograficamente ma non abbia nulla da dire. Nel suo ultimo film i limiti di sceneggiatura emergono e nonostante la “svolta” verso un senso di riconciliazione e di misericordia rispetto al cinismo e al sarcasmo dei film precedenti si avverte che ancora una volta il giocattolo ha prevalso sul gioco. Ne scaturisce un film ricco di bellissime scene, formidabili battute, ma che si risolve in un’opera “suggestiva” ma non compiuta, anzi, un po’ “ingolfata” dall’accumulo di storie e sgangherata nello sviluppo delle stesse.

Il cinema è al tempo stesso libero e logico proprio come un gioco: la dimensione ludica infatti è dominata dalla libertà-gratuità ma anche da una ferrea logica che quasi sfocia nella necessità. C’è qualcosa nei film di Sorrentino che invece non tiene, non regge in quest’ottica della necessità: il gioco è diventato arbitrario, mero giocattolo. E quando il gioco si riduce a giocattolo, a qualcosa di manipolabile di cui si possiede il controllo totale, si rischia di perdere qualcosa. Ricordava Stevenson che l’arte va affrontata con la serietà con cui gioca un bambino. Il gioco infatti è la cosa più seria che esiste; con il gioco non si può giocare (nel senso di scherzare) ma bisogna affrontarlo integralmente, mettendosi in gioco (scusate il gioco di parole).

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