Report Laboratorio O’Connor novembre 2011

Non c’è modo migliore di cominciare un laboratorio di lettura, che sgranocchiando degli ottimi croccanti. Quando poi scopri che il dolce non è solo un pensiero gentile della prima lettrice, ma un’introduzione al testo, capisci che il fil rouge della serata lo hai già trovato ed è dei migliori. Il brano proposto viene dal romanzo di Antonella Ottai: Il croccante e i pinoli. Ci troviamo di fronte ad uno strano e interessante dualismo, tra l’arte della cucina ed il piacere della scrittura, che a suo modo funziona; i consigli per preparare una torta di mele non si troverebbero a disagio nel vademecum di un aspirante scrittore. Tra profumi e ricordi, riscopriamo la capacità di stupirci per le piccole cose. Mi hai chiesto se ti davo qualcuna della ricette che avevamo condiviso nella nostra esistenza in comune. Me le hai chieste con lo stesso senso pratico con cui mi hai sollecitato il tavolino di bambù o il tappeto azzurro […] eppure mi hai colto impreparata come succede quando in momenti particolari si verificano eventi normali.

Stiamo ancora assaggiando i dolcetti, che arriva un altro brano a sfondo culinario. Achille Campanile ci racconta, con la sua ironia e il suo stile raffinato, il bizzarro accoppiamento tra le seppie e i piselli, nato dal vezzo dell’uomo di concedersi una raffinatezza a tavola, un di più che allieti la giornata. Un momento di umorismo che cela una riflessione metafisica sull’esistenza, partendo da un piatto di cucina. Abbiamo pescato dagli immensi archivi di youtube, il testo letto e interpretato da Piera Degli Esposti, durante il suo intervento al Teatro Valle Occupato.

Il terzo brano proposto proviene dal libro Hei, prof! di Frank McCourt. Un giovane docente alla prima esperienza sul campo realizza presto che alla New York University i docenti di didattica non insegnavano come gestire la classe in caso di panini volanti. In pochi minuti deve escogitare una strategia, e che sia valida, per conquistare la loro attenzione. A volte per reagire ad un atto insolito, un altro ancora più anormale si rivela la mossa vincente; il prof raccoglie il panino da terra e decide di mangiarlo nello stupore generale degli allievi. La classe doveva capire che comandavo io, che ero uno tosto, che a me non mi si pigliava per il culo. L’intero brano insegue l’ammirazione che il docente desidera dai suoi allievi. Fu il mio primo atto di gestione della classe. La mia bocca piena attirò la loro attenzione. […] E nei loro sguardi vidi l’ammirazione. Ma per una strana ironia della sorte, il professore viene ripreso dal preside proprio per aver dato, con i suoi atteggiamenti, un modello sbagliato ai ragazzi.

Passiamo ora ad una poesia: Le braccia cariche di Robert Frost. C’è una rassegnata tristezza in questi versi, come il tentativo fallito di tenere in equilibrio un mondo al di sopra delle proprie possibilità; ci sono tante immagini evocate durante la lettura, un mendicante ad esempio, un equilibrista che ha smarrito il sorriso lungo la strada. Manca forse uno spiraglio di luce, un’idea di salvezza che ci conduca lungo il sentiero, sarà forse perché la rovina del viandante è già in atto sin dal primo rigo. Ogni pacchetto che mi chino a raccogliere, Qualche altro ne perdo dalle braccia o d’in grembo, E tutto il mucchio vacilla, bottiglie, panini […] Mi piego giù sulle gambe per impedirlo, ma crolla; E poi mi siedo nel mezzo di tutta quella rovina.

Il brano successivo ci porta lontano, ne Il deserto dei Tartari di Dino Buzzati, dove incontriamo Drogo alle prese con il tentativo di dare un senso ad una vita spesa ad aspettare. E riscopriamo, dopo la precedente lettura, il valore della speranza, ultimo baluardo della resistenza umana, seppur talvolta presagio di un’insana follia. Gli parve che la fuga del tempo si fosse fermata, come per rotto incanto. […] La strada di Drogo era finita; eccolo ora sulla solitaria riva di un mare grigio e uniforme, e attorno né una casa né un albero né un uomo, tutto così da immemorabile tempo. […] Avvolto così dalle tenebre, Giovanni Drogo sentì allora nascere in sé un’estrema speranza. Lui solo al mondo e malato, respinto dalla Fortezza come peso importuno, lui che era rimasto indietro a tutti, lui timido e debole, osava immaginare che tutto non fosse finito; perché forse era davvero giunta la sua grande occasione, la definitiva battaglia che poteva pagare l’intera vita.

Altro testo: Un barlume di spiegazione, di Graham Greene. Un lungo viaggio in treno in una tarda serata di dicembre, due passeggeri seduti ai lati opposti di un scompartimento vuoto, il riscaldamento che funziona male, la luce che va e viene. Ci vuole poco a colmare la distanza, a trovare argomenti di discussione: eravamo passati alla politica, al governo, agli affari esteri, e in una progressione inevitabile, a Dio. […] era come se i nostri pensieri si fossero avvicinati per scaldarsi, proprio come noi. Ci vuole poco, perché un bagliore di luce sul viso di uno dei due viaggiatori richiami alla memoria dell’altro l’immagine di un volto felice, chissà da quanto stipata nel cantuccio dei ricordi. Un piccolo lampo, che pure nella sua semplicità, nasce e già è in cerca di una spiegazione. «Non deve attendersi nulla di troppo significativo. Ma a me pare esserci un barlume. Tutto qui. Un barlume.»

Torna a trovarci, ospite sempre gradito ai nostri laboratori, Gabriel Garcia Marquez con la magia dei suoi Cent’anni di solitudine. La bisnonna di Ursula Iguaran, spaventata dall’arrivo dei pirati, perde il controllo dei nervi e finisce per sedersi su un focolare acceso. Le bruciature la lasciarono ridotta a una sposa inutile per tutta la vita. Ai nervi fa seguito lo smarrimento della ragione: si convince ad esempio di emanare odore di bruciato, non vuole più dormire, per paura che nel sonno arrivino altri pirati armati di tizzoni ardenti. Suo marito alla fine liquidò gli affari e portò la famiglia a vivere lontano dal mare, in un villaggio di indios pacifici, dove fece costruire una stanza da letto senza finestre in modo che i pirati dei suoi incubi non avessero da dove entrare. Questo gesto d’amore, apparentemente privo di ogni logica razionale, trova tuttavia nel mondo di Marquez, nella sua capacità di fare incontrare l’umano con l’elemento soprannaturale, la sua ragion d’essere, la sua celebrazione.

L’ultimo brano, prima di salutarci, viene dal libro Agnes Browne Mamma di Brendan O’ Carroll.  Dialoghi veloci, linguaggio vivo, acceso, una scrittura molto fluida, danno vita al racconto di una lezione di scuola guida, in cui l’istruttore è abbastanza imbarazzato dalla vivacità delle sue allieve. Scoppiarono in una risata isterica. Dagli occhi di Agnes presero a scendere fiumi di lacrime, che le striarono le guance di mascara. Marion si teneva la pancia con tutt’e due le mani, piegandosi in avanti fino a toccare il volante con la fronte. Agnes si buttò in avanti rotolando da una parte e dall’altra del sedile posteriore. L’istruttore sulle prime rimase interdetto ma, visto che non la smettevano più, finì per infuriarsi: «Signore, vi prego! »

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