Le donne di Harumi Setouchi


Che donna, Harumi Setouchi. La singolare scrittrice giapponese – divenuta monaca buddhista con il nome di “Jakucho” – nonostante gli 89 anni si è presentata ieri davanti alla sede del ministero dell’Economia, del Commercio e dell’Industria di Tokyo per domandare la definitiva chiusura della centrale nucleare di Oi. Pronta a protestare con lo sciopero della fame. «Non posso lasciare il Giappone nelle condizioni di oggi alla nuova generazione», ha spiegato la monaca-scrittrice, aggiungendo di non aver mai visto il suo Paese in condizioni peggiori nella sua lunga vita.
Premiata in patria con il Premio Tanizaki (1992) e in Italia con il Nonino (2006), Setouchi è famosa per aver tradotto dal giapponese antico al moderno La storia di Genji, capolavoro della letteratura mondiale appena comparso per Einaudi nella sua prima traduzione dal testo originale. Un poderoso romanzo scritto tre secoli prima della Divina Commedia da una raffinata donna di corte, Murasaki Shikibu, che per Setouchi è divenuta sorella, amica, compagna di viaggio.
Anche Setouchi viene infatti da una “vita intensa” – un marito, una figlia, una storia d’amore con un giovane studente, il legame con i più grandi scrittori del Giappone – nonostante a 51 anni abbia imboccato tutt’altra strada. «Alcuni dei miei più cari amici, come Mishima e Kawabata – avevano scelto il suicidio come forma di ribellione», ha dichiarato Setouchi. «Io ho deciso di morire al mondo pur rimanendo viva. Ho scelto di diventare monaca per cercare di raggiungere una visione più vasta dell’esistenza. Volevo trasformare il mio amore passionale e possessivo per gli uomini in un amore spirituale verso Dio e l’umanità».

 

Una scelta che si riflette nei suoi tre romanzi, editi da Neri Pozza. Nei suoi primi racconti – comparsi in Italia nel 2006 con il titolo La fine dell’estate – Setouchi affrontava l’insoddisfazione: relazioni adulterine e divorzi che rivelano alle protagoniste la propria schizofrenia emotiva. Se infatti nella fedeltà coniugale si può smarrirsi nell’abitudine e nell’immobilismo, la coercizione al cambiamento – di kimono, di appartamenti, di uomini – si rivela presto un gioco stanco che conduce alla discesa nel «baratro dello sfinimento».

Con La virtù femminile (2000) si balza a inizio Novecento.La protagonista è una giovane geisha che tenterà di colmare la propria inquietudine apprendendo le più raffinate arti e i più complessi riti della seduzione, affinando all’inverosimile il proprio gusto nelle acconciature, nel trucco e nell’abbigliamento cerimoniale, senza tuttavia riuscire a scalfire il vuoto che la turba. Dopo un’esistenza caotica che la conduce sulla soglia del suicidio, Tami trova la pace in un piccolo tempio tra i boschi.

Ne Il monte Hiei (2005), a scegliere di prendere i voti è una scrittrice di successo dal passato movimentato. Romanzo della maturità più nettamente autobiografico, placido ma potente come una marea, Il monte Hiei si concentra sul duro apprendistato spirituale che affronta la candidata monaca. Per quali motivi la protagonista abbia preso d’impulso questa scelta non ci sarà fatto intuire neppure obliquamente. Nessuna allusione. Sa tacere, Setouchi. Aliene all’introspezione ombelicale, le sue pagine costeggiano, lambiscono con pudore l’imperscrutabile mistero della coscienza senza mai forzarlo. D’altra parte, ella scrive, se sapesse perché vuol farsi monaca «non avrebbe avuto bisogno di prendere i voti».

 

 

Pagine di sensazionale precisione, eppure mai fredde, ci conducono in un mondo di monaci buddhisti fatti di carne e sangue. Né stereotipati né oleografici, i personaggi di Setouchi infrangono lo schermo dei sorrisi serafici con la loro umanità: si lamentano per le estenuanti maratone ascetiche, scherzano sugli eccessi del misticismo, hanno crisi isteriche, s’interrogano animosamente sulla castità. Toshiko/Shun-ei, l’uomo senza nome, l’impetuoso maestro Shinjun, le antitetiche Myōkei e Jihō allestiranno una galleria di possibili equilibri tra vita spirituale e vita emotiva in cui sensi e affetti sono interrogati a fondo nella loro complessa, ricchissima concretezza.

[articolo comparso su RomaSette, 4 maggio 2012]

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