Rete e critica letteraria. I parte.

1. A che punto siamo ?
Nello scorso autunno si è diffuso in rete un dibattito, di discrete dimensioni e connotato da sfumature molto diverse a seconda delle diverse sensibilità intervenute, circa la critica letteraria ai tempi del web, o, secondo altre versioni, circa i rapporti tra blog e critica. L’occasione è stata fornita da un articolo di Nicola Lagioia apparso su Repubblica del 17 ottobre, La prevalenza dell’e-critico. Blog d’autore, riviste e siti: così la rete è diventata il luogo del diletto (culturale), (ripreso poi su Minima & moralia), che commenta (e a tratti confuta) le tesi di Peter Stothard, direttore del Times Literary Supplement, espresso in un intervista pubblicata sull’Indipendent. Il tema è il confronto tra critica letteraria espressa in forme tradizionali e critica in rete.
Scrive Stothard, peraltro pure blogger di suo, che “l’ascesa dei blog letterari danneggia la letteratura e rischia di abbassare il livello della critica”, aggiungendo che “è bello che ci siano tanti book blogger, ma essere un critico è diverso dal limitarsi a condividere dei gusti. Non tutte le opinioni hanno lo stesso valore”. Nella netta distinzione, peraltro pienamente fondata e certo non inedita, tra condivisione di gusti ed esercizio critico, si annida una evidente diffidenza nei confronti della rete, sospettata di ospitare solamente (o almeno prevalentemente) una produzione attinente alla prima e assai meno pregiata specie. “Literary criticism is […] work, a technique, a skill”: dietro questa posizione aristocratica si cela un’attenzione posta nei confronti del rischio che la proliferazione del dilettantismo, favorita dalle straordinarie possibilità del mezzo, comporti un abbassamento del livello della produzione letteraria, stimolando la diffusione dei testi più facili, non necessariamente di quelli più letterariamente validi. Per inciso, una bella dimostrazione di fiducia nelle possibilità della critica, e per di più di quella asseritamente deteriore, di influenzare almeno parzialmente il mondo delle lettere, in tempi in cui essa non pare, almeno da noi, godere di così buona salute, né di così ingente credito.

Nel suo intervento, Lagioia evidenzia al contrario che “non di rado da noi le riflessioni più raffinate sui libri, le discussioni più complesse sull’industria culturale, i giudizi più appassionanti e disinteressati sulle ultime uscite sono on line. E spesso proprio a firma di addetti ai lavori”. Pur ammettendo che “la Rete è il regno del populismo e dell’insulto in progress”, lo scrittore riconosce che in essa “sta guadagnando spazio un’aristocrazia senza terra da cui molti critici avrebbero qualcosa da imparare”. La Rete, nella sua produzione migliore, gli pare esente dal difetto che ritrova spesso nella critica su giornali o riviste, e cioè che “il mercato sia stata la scusa perfetta per rassegnarsi a recensire libri in batteria, con poca voglia di avventura intellettuale e molta scuola del risentimento a zavorrare i pensieri. Nella Rete che funziona sta accadendo il contrario”. Lamenta in particolare Lagioia che “trovare una recensione istituzionale che testimoni lo spostamento di sguardo conseguente alla lettura è impresa ardua. È raro trovare recensioni in cui non si prendano i libri come congegni da misurare (qui funziona, qui no), ma si indaghi la loro forza trasformativa nel mondo che li accoglie”. Tutto ciò sarebbe invece presente nella critica in rete più avvertita, di cui fornisce alcuni esempi. E conclude, in maniera certo lusinghiera per chi fa critica in rete: “Il ruolo dei mediatori resta fondamentale. Solo: i più bravi non si formano e non agiscono più soltanto nei luoghi in cui fino a dieci anni fa ci si sarebbe aspettati di trovarli”.

Il quadro degli interventi più recenti in materia è in realtà più ampio, e comprende innanzitutto la serie di articoli originati dal Primo Festival dei blog letterari, tenutosi a Thiene l’estate scorsa, e presenti sul sito Klit. Né vanno dimenticati almeno l’intervento su Samgha di Marco Faini, Blog e critica letteraria. Riflessioni per un dibattito, di Andrea Camillo su Finzioni, di Antonio Lauriola e Alberto Bullado su Con altri mezzi. Ma già nel 2011 su Nazione Indiana la pubblicazione di Verifica dei poteri 2.0 di Francesco Guglieri e Michele Sisto suscitava un dibattito abbastanza articolato tra critici e scrittori, mentre il rendiconto La webletteratura della nuova Italia di Bruno Pischedda apparso su Tirature 11 tentava una verifica circa “l’avvenuta o meno ristrutturazione del sistema letterario e dei suoi canoni consolidati” ad opera del web. Interessante anche il recentissimo contributo dell’ e-book di Un anno di critica impura di Sonia Caporossi e Antonella Pierangeli. La rete, poi, provvede ad amplificare lo scambio di idee con riprese ed approfondimenti su siti di singoli blogger interessati all’argomento.

Questo, per sommi capi e ad una prima grossolana ricognizione, lo stato dell’arte. Un’esperienza ormai abbastanza lunga di attività recensoria ed anche saggistica in rete mi autorizza a tentare un intervento, radunando alcune riflessioni sull’argomento, un po’ alla rinfusa e senza ovviamente alcuna pretesa di esaustività né tanto meno di definitività.

2. Informazione letteraria e critica, con qualche distinzione.

Che in rete si faccia quanto meno informazione letteraria (e con punte talvolta di alto livello) è un dato che mi pare acquisito a tal punto da non richiedere dimostrazioni ulteriori (basti pensare all’ampia campionatura di siti letterari ospitata negli ultimi capitoli della Storia dell’informazione letteraria in Italia dalla terza pagina ad internet 1925 / 2009 di Ferretti e Guerriero). La questione sta piuttosto nell’accertare la qualità di ciò che vi appare, l’attendibilità tecnica dei blog letterari, ed anche la loro stessa capacità o possibilità di produrre critica, o in altri termini, valutare la fondatezza della principale accusa che Stothard muove alla critica in rete. Pienamente condivisibile mi pare la sintesi di Faini che, nell’intervento già citato, individua tre generi di critica letteraria: “la critica letteraria accademica; la critica letteraria “militante”, colta e non accademica”, ed infine “la critica letteraria dei blog che può in parte coincidere con le due precedenti ma tende ad avere caratteri propri.” Altrettanto puntuale poi la proposta di alcuni temi fondamentali: “chi è titolato a parlare di libri? E con quale linguaggio?” Ed ancora: “che rapporto stabilisce la critica con il sistema editoriale (premi letterari compresi) e i suoi addentellati politici? Quale grado di libertà consentono i blog rispetto a tutto ciò?”

Occorrono a mio parere alcune distinzioni.

A volerci rifare alle categorie enucleate da Faini, è di immediata constatazione che in rete convivono sia la critica militante sia la critica accademica. Quanto alla seconda, la sua attenzione alle possibilità di diffusione della conoscenza proprie del web sta significativamente crescendo. Esemplare testimonianza, tra tante, di una presenza fortemente qualificata e al tempo stesso di un’aperta fiducia nel mezzo di comunicazione del sapere scelto, mi pare sia quella resa dall’Università di Bologna, che mette in campo almeno tre riviste informatiche germinate direttamente o meno dall’esperienza accademica (Bibliomanie, Bollettino 900, e Griseldaonline), tutte tra l’altro presenti, a comprova della loro validità scientifica, negli elenchi dell’ANVUR delle riviste utili per le valutazioni ai fini dell’abilitazione nazionale universitaria.

Diverso e più complesso è il mondo della critica “militante” in rete. Qui le variegature sono numerosissime, tanto da rendere difficile l’orientamento. Innanzitutto, non necessariamente i blog letterari (in prima approssimazione, assumiamo in questa definizione tutti i siti che in qualche modo trattano la materia) praticano puramente e semplicemente quello che Stothard definirebbe un esercizio di “condivisione dei gusti”. Occorrerebbe piuttosto distinguere, per campo di attività prevalente e per il genere di funzione di mediazione esercitata, tra luoghi della rete in cui si compie un esercizio critico (indipendentemente, almeno ad un primo approccio, dal livello di competenze esperito), che può svariare dalla recensione al saggio, alla notazione elzeviristica che connette discipline e saperi diversi (sociologici, politologici, teologici, giuridici ecc), oltre a quello strettamente letterario, ed altri luoghi in cui prevale o è esclusivo l’intento di esprimere un gusto e condividerlo. Non ne farei una questione di maggiore o minore dignità o prestigio: semplicemente assolvono a funzioni diverse. I secondi sono forse la vera novità portata dalla rete: mentre i primi rappresentano (generalizzo: una prima approssimazione degna certo di maggiori approfondimenti) la continuazione con altri mezzi delle riviste novecentesche, i secondi esprimono in campo letterario quella libertà incomprimibile che caratterizza la rete.

3. Blog letterari (nel senso, ingiustamente deteriore, di Stothard)

Perché poi negare dignità all’intento di mera espressione di un gusto o di una sensibilità puramente individuale che anima i blogger letterari? Ha scritto, ad esempio, tra i tanti blogger che si sono espressi sulla questione, Giulia Lanzella in Blog letterari: molto rumore per nulla? su Temperamente: “la prima delle domande poste dal dibattito sui book bloggers, tra tutte, mi sembra la più banale: chi è titolato a parlare di libri? Tutti, è ovvio. In nome della libertà di pensiero suppongo che nessuno possa impedirci di farlo all’interno di una libreria, nel salotto di casa nostra e tantomeno in un blog”.

Che questo genere di attività, di cui gli stessi blogger tendono a non enfatizzare la portata (ancora Lanzella parla di “blog personali o collettivi … gestiti da blogger più o meno esperti sull’argomento, ma prevalentemente mossi dalla passione per l’oggetto dei loro post”), possa innescare meccanismi perversi sul versante dell’industria editoriale, influenzando pesantemente il mercato, è uno degli argomenti principali delle critiche alla Stothard. I consigli di lettura pubblicati da presunti incompetenti potrebbero indirizzare gli acquisiti verso una produzione letteraria di basso livello, che verrebbe privilegiata dall’industria editoriale. Ma non sono anni che si ripetono lamentele sulla crisi della critica, di cui sarebbe causa e/o conseguenza la scarsa capacità di influenzare il mercato, tanto che la critica (o almeno l’attività recensoria) rischia il degrado ad una funzione ancillare nei confronti dei voleri degli uffici stampa delle case editrici? Ed è allora possibile che là dove stanno fallendo critici spesso blasonati, possano riuscire i blogger, e per di più con conseguenze nefaste? D’altronde, non si vede perché negare a priori credito a questa fetta del popolo della rete, certamente meritevole in quanto composta di fruitori consapevoli del prodotto letterario, esponenti di spicco di quella tribù di lettori forti di cui tutti peraltro si augurano la crescita. Ed ancora: è poi così agevole, e soprattutto corretto (o non è stato un grande critico novecentesco, Momigliano, a scrivere Impressioni di un lettore contemporaneo?) tracciare una linea di demarcazione netta tra atto critico e manifestazione di un’impressione soggettiva ?

4. Auctoritas del lettore e auctoritas del critico.

D’altra parte, un sito letterario non deve necessariamente ed unicamente produrre critica letteraria. Lo dimostra uno dei più pregevoli ed intensamente frequentati, Finzioni, le cui pagine introduttive danno voce ad una convinzione che pare presupposto comune a tanti litblog, e che tende ad enfatizzare la differenza tra critica letteraria e lettura di un testo. Il sito si propone come luogo alternativo ad una pratica della critica letteraria paludata ed elitaria: “non ne potevamo più di autori superstar e critici tromboni, e come lettori eravamo stanchi di essere considerati l’ultima ruota del carro. Allora pensammo di fare una rivista indipendente, che raccontasse il mondo dei libri in un modo nuovo, con un approccio leggero a dei contenuti pesanti, un approccio che insistesse sull’esperienza della lettura, sulla sua condivisione”. Una concezione del rapporto con l’opera letteraria immediato e deliberatamente privo di mediazioni che viene ribadito nel “libretto rosa”, programma o dichiarazione di intenti della rivista: “siamo dunque noi lettori a diventare la nostra auctoritas. Oggigiorno i lettori ne fanno serenamente a meno [dei critici]. Se vogliono informarsi su un titolo, non è più a essi che si rivolgono – se mai vi si sono rivolti – ma alla comunità di altri lettori e ai loro discorsi. Questa, infinitamente più grande e più ricca degli spazi angusti dove generalmente vivacchiano i critici, è il luogo migliore per formarsi un’opinione, condividere un pensiero o un’emozione, sviluppare un’idea.”

Dunque, l’auctoritas del lettore frontalmente contrapposta all’auctoritas dei critici, e la rete, luogo dell’aggregazione spontanea per antonomasia, come espressione del proliferare della prima e magari della sua supremazia sulla seconda. La critica, allora, ha tanto (troppo) da farsi perdonare, se viene percepita (e, si badi bene, proprio da gruppi di qualificati addetti ai lavori), come “alternativa” rispetto alla stessa nozione di lettura di un testo: il dispiegamento delle sue competenze non è stato evidentemente del tutto adeguato rispetto a quella che è una delle sue finalità specifiche, l’accompagnamento nella comprensione di un singolo testo, o di una specifica area della contemporaneità letteraria (a volerci limitare ai campi di azione prevalenti, ma non unici, della critica in rete), se si possono misurare nei confronti del lettore distanze così siderali. Eppure, anche se agisce via web, un critico dovrebbe essere almeno “un lettore che scrive di quel che legge”, oltre ovviamente a tutto ciò che le diverse teorie della letteratura dai tempi di Saint Beuve in poi di volta in volta gli hanno attribuito.

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