Vero o Falso? Un cammino pieno di rischi

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(il presente editoriale è nato dalla collaborazione di Elena Buia, Cristiano Gaston e Andrea Monda)

C’è sempre quell’ometto, Truman Burbank, un po’ Ulisse un po’ Fantozzi, che solca il piccolo grande mare di SeaHeaven per andare verso un mondo essenzialmente più vero. Con la sua faccia intrepida e sbigottita Truman-Jim Carrey si getta alle spalle il paradiso luccicante, perfetto ma finto per un mondo, magari buio, ma vero. Non c’è niente da fare, l’uomo, l’uomo vero (True-Man) è attirato dalla verità, più di ogni altra cosa. Lo aspetta, ma lui può solo intuirlo, una donna (Silvia) che lo ama, che cioè ha impostato con lui una relazione vera, l’unica relazione vera in mezzo a un mondo di recite e ipocrisie.

The Truman Show, il film di Peter Weir del 1998, è un grande racconto contemporaneo che pone al centro la sete, umana, troppo umana, di verità. Il famoso incipit della Metafisica di Aristotele ricorda che “tutti gli uomini desiderano sapere e oggetto proprio di questo desiderio è la verità“.

Questa sete è per una verità intesa come “consistenza”, come quel qualcosa che “sta sotto” (la “sostanza”) e che tiene, consiste e resiste, regge all’urto, alla frana continua che spesso è l’esistenza umana. In fondo la verità è ciò che si dimostra “affidabile”, degno della nostra fiducia. Nel linguaggio biblico, “emèt” sta per verità ma anche per fedeltà.

Ma questa sete è poi inestinguibile? La verità si può mai raggiungere?

E qui si aprono dei problemi grossi, che la storia ha mostrato in tutta la loro pericolosità. I rischi infatti nascono quando l’uomo trova (o presume di trovare) la verità, ritiene di poterla possedere e di imporla: è la nascita dell’intolleranza per cui la verità diventa una tentazione, che ci attrae ma poi diventa occasione per esercitare il proprio potere sugli altri. La storia umana mostra questo rischio, che nasce dal ritenersi portatori di un’unica verità: l’unico quotidiano ammesso nella Russia Sovietica era la Pravda (che vuol dire appunto Verità).

imagesDall’intolleranza al relativismo il passo è breve: l’idolatria/ideologia dell’unica verità (come pensiero unico, potere violento) porta alla reazione opposta delle mille verità o della nessuna verità. La verità non esiste, per cui tutti hanno ragione, uno, nessuno, centomila. L’approdo del ‘900, anche in campo artistico, è stato spesso questa deriva nichilista, il XX, il secolo della grande frana, del crollo.. in mezzo a tutte queste macerie sembra essersi rafforzata solo una cosa, la scienza, per cui oggi la parola “verità” appare come sensata solo se pronunciata in ambito scientifico. Per molti oggi la verità esiste ma è quella della scienza (è vero tutto ciò che si può provare per via sperimentale) una scienza quindi intesa come unica fonte della verità e come possibilità dell’uomo di misurare, controllare, spiegare e alfine dominare la realtà. Ma la verità si può “misurare”?

Un’altra fonte di verità, anche se molto meno credibile, sembra essere il variegato mondo dell’informazione (oggi ancora più variegato dall’esplosione della Rete) per cui, come si suol dire, “se l’ha detto la televisione – o la radio, o i giornali, o Internet – allora è vero“.

E qui i rischi aumentano ancora di più: pensiamo ai pericoli derivanti dalla propaganda (ideologica, politica..) ma ancora ad un livello più basso, cosa garantisce la verità dei mezzi di comunicazione? Già nell’800 Balzac ammoniva che “per la stampa è vero solo ciò che è verosimile“, una battuta che ci porta in un campo ancora più impervio: il rapporto tra verità e arte. Qual’è la verità dell’arte? In che cosa è “vera” un’opera dell’uomo che è sempre, in qualche modo, una copia, una rappresentazione della realtà, una finzione? Federico Fellini, ad esempio, non amava nemmeno l’espressione “cinema-verità”, Pablo Picasso sosteneva che l’arte è la menzogna che ci permette di conoscere la verità e, come ripete spesso Alessandro Zaccuri, di un film è importante non che sia una “storia vera” ma una “vera storia”. Ma cosa rende un’opera d’arte “vera”?

verissimoForse il segreto risiede nell’umiltà. Cioè nel riconoscere che la verità non solo esiste, ma è anche più grande dell’uomo e non è un oggetto o un concetto, non coincide con una risposta data dalla sola ragione sulla realtà, non è una soluzione logica. C’è una grandezza della verità, che vuol dire innanzitutto ampiezza, vastità, complessità, per cui la verità ha a che vedere non solo con l’aspetto razionale o intellettuale dell’uomo, ma coinvolge tutto l’uomo, globalmente inteso: intelletto e volontà, ragione e affettività, senso etico ed estetico, materia e spirito… Questa grandezza era stata già intuita dagli antichi, per cui ad esempio Platone osservava che la verità è simile a quella pianura che accoglie la biga della ragione. Uno scrittore come Robert Musil ricorda che “Non è vero che l’uomo insegue la verità: è la verità che insegue l’uomo. La verità non è una pietra preziosa che tu metti in tasca ma un mare in cui ti immergi” e il filosofo Adorno ribadisce che “la verità non la si ha, ma vi si è“. La verità dunque è un cammino, crescita, tensione, attraversamento quotidiano mediante l’esperienza sempre nuova e sorprendente. È un pozzo che zampilla inesauribilmente. Mettersi in cammino nella verità, vuol dire incominciare a conoscere e a conoscersi anche nella propria fragilità. Ne deriva che l’umiltà è condizione necessaria per muoversi verso la verità.

nazional socialismo

A causa di un riflesso automatico gli uomini in genere associano verità a bontà e falsità a malvagità, applicando sul tema della verità un giudizio morale. Ma a volte le cose si presentano strane, bizzarre, al punto che ci può essere anche un “falso positivo”, si pensi a quel nascondimento necessario in un’identità diversa (mentre “verità” in greco aletheia, sta proprio per “uscire dal nascondimento”), come quando ad esempio Ulisse nasconde la propria identità prima di rivelarsi alla moglie e sconfiggere i Proci oppure alla preziosa falsa identità di tutti i super-eroi della letteratura, del cinema e dei fumetti. Viene da chiedersi se la bugia, il mentire con la consapevolezza di dire cose false sia a volte è necessario. La sincerità individuale vissuta “a oltranza” può diventare anche pericolosa (e offensiva, in fondo un pizzico di ipocrisia può essere più umana), al punto che Nietzsche afferma che: “Le convinzioni sono per la verità nemiche più pericolose delle menzogne“. Il più grande “nascondimento” della storia è poi senz’altro, per i cristiani, quello di Cristo stesso che, come raccontava Kierkegaard, ha fatto come quel figlio del re che, innamoratosi di una ragazza del popolo, non le è apparso in tutta la sua gloria reale, ma si è camuffato da uomo del popolo per corteggiarla in piena libertà e semplicità. Una sorta di onesta disonestà che però ha permesso una risposta vera e libera da parte della bella popolana. Cristo, che diceva di sé di essere Via, Vita e Verità, definisce la sua missione come “testimonianza alla verità”, dunque la verità ha bisogno di testimoni, chiama alla testimonianza. Ma lo fa appunto con discrezione, quasi con lentezza: la verità è simile a Dio che non appare immediatamente, ma interpella i sensi e la coscienza degli uomini che la intuiscono attraverso le sue manifestazioni. «Che cos’è la verità? disse Pilato per scherzo e non aspettò la risposta». Così, nei suoi Saggi, il famoso pensatore inglese Francesco Bacone ironizzava sulla figura del Pilato descritto dal Vangelo di Giovanni. Pilato di fronte a Gesù non aspetta e di fatto banalizza la verità, la sua è una domanda retorica, intrisa di scetticismo. Quindi la verità è come una bella donna: si fa aspettare. La fretta non aiuta.

what_isLa domanda di Pilato fa emergere che in fondo la verità è un cammino che si nutre di domande, il che vuol dire affrontare e attraversare il deserto del dubbio. Anche qui il rischio è alto, come afferma il personaggio del Nero in Sunset Limited di Cormac McCarthy:

neroNon sono uno che dubita. Però sono uno che fa domande.

bianco E che differenza c’è?

nero Be’, secondo me chi fa domande vuole la verità. Mentre chi dubita vuole sentirsi dire che la verità non esiste.

Ancora sulla testimonianza: vi ricordate i vecchi film in bianco e nero ambientati nei tribunali, come dicevano? “Alzi la mano e giuri di dire tutta la verità, solo la verità e niente altro che la verità” e l’altra mano era posata sulla Bibbia. Forse la verità ha a che fare con un giuramento, con una promessa, con un altro (un Altro?) a testimone, a garante. La verità è sempre “una” ma non è mai sola, vive sempre dentro una relazione. Viene facile la battuta: “la verità è una, l’altra”, come a dire che c’è una verità (una soltanto, al contrario delle opinioni o delle interpretazioni, che sono infinite) ma il suo baricentro non è dentro di noi ma fuori, nell’altro. La vita dell’uomo è essenzialmente orientata all’amicizia e chi è l’amico se non colui che ti dice la verità? Samuel Goldwyn, boss della Metro-Goldwyn-Mayer, diceva: “Non mi piace essere circondato da leccaculo. Voglio gente che mi dica la verità, anche se questo gli costerà il posto“. E a questo punto si può chiudere, così come abbiamo cominciato, con Aristotele che così definiva il suo rapporto con il maestro-amico Platone: “Amicus Plato, sed magis amica veritas“. Ma forse qui per una volta lo Stagirita errò, che ne dite?

Leggi i 15 commenti a questo articolo
  1. Annamaria ha detto:

    Fantastico incipit e a seguire un caleidoscopio di citazioni, allusioni, indicazioni, veli e svelamenti, una cavalcata attraverso film, romanzi, cronache e trattati filosofici e per finire una domanda.
    A Bombacarta ci si diverte. Lo abbiamo sempre detto, vero?

  2. Andrea Monda ha detto:

    altrimenti che ci stiamo a fare? Come dice S.Agostino: “nutre l’anima solo ciò che la rallegra”..

  3. silvia ha detto:

    Bello, molto. La domanda di Pilato è LA DOMANDA. In Bulgakov (Maestro e Margherita) c’è il Pilato più commovente, moving, che riesca a ricordare. Così, mi veniva in mente. Bella l’argomentazione, bello l’andamento “a tambur battente” bello tutto l’articolo. Grazie e viva il grano di senape!

  4. Andrea Monda ha detto:

    grazie. Beh, in effetti Pilato è un grande personaggio, che spesso ha incrociato la letteratura, penso anche a Dante, A.France, E.E.Schmitt.. spesso ci si trova in luoghi e momenti straordinari e non si è mai adeguati al bisogno.. e questo forse vale per tutti i personaggi del Vangelo (e della vita di tutti i giorni), sì: viva il granello più piccolo!

  5. melania ha detto:

    dal mio lavoro mi viene un ulteriore spunto. Quando c’è un incidente tutti dicono di avere ragione e ognuno poi sosterrà la tipica espressione “io c’ho ragione, la verità mia contro la sua!”
    sembra banale, ma….come si distingue fra due o tre persone quello il cui pensiero si avvicina alla verità?
    negli incidenti stradali è un pò più semplice la risoluzione perchè ci sono delle regole e delle misure precise, ma nella vita? nella citata arte? nella conoscenza?

  6. Nicoletta ha detto:

    Mi viene in mente solo una breve, bruciante frase, relativamente al vero/falso: “la verità è un diamante in mezzo all’immondizia”.

  7. Alfonso ha detto:

    Dal dizionario etimolgico http://www.etimo.it/?term=vero&find=Cerca
    sembrerebbe che “vero” derivi da una radice “var” gaelica o da “war” (tedesco): la prima nel senso di “credere” la seconda in quello di “essere (conforme alla realtà)”. Quindi sembrerebbe che la verità è ciò che si “crede, si assume essere reale”. La verità è quindi sempre una convenzione, più che una convinzione: è ciò che viene assunto come reale nell’impossibilità di stabilire un reale oggettivo.

  8. Lorenzo ha detto:

    @Alfonso: Beh qui vedo l’eterna diatriba tra relativisti e universalisti. Personalmente credo che la realtà sia oggettiva, diversa è la capacità/possibilità di coglierla. :-)

  9. Parabolico ha detto:

    da ricordare su Pilato e Gesù quella sottolineatura riportata da Paolo Vi e che alcuni attribuiscono a S.Agostino: “quid est veritas?” chiede Pilato. La domanda contiene la risposta, in un’anagramma, “est vir qui adest…” La verità è una persona piena di ferite che pochi si fermano ad ascoltare e aiutare, in una relazione… e le migliori Scritture e i riti ci aiutano ad identificarla…..

  10. Sergio ha detto:

    La verità è l’essere inteso come ciò che ‘conta’ e ha ‘sostanza’. Ben diverso dal reale. Troppo heideggeriano? :)

  11. DINI leonardo ha detto:

    è vero il mondo di Chesterton Cristiano e falso quello di Tolkien Pagano? forse anzi di certo monda non si è mai chiesto che c’entra tolkien con chesterton e che c’entrano fra di loro quei due mondi eppure un trait d’union c’è:entrambi gli autori descrivono mondi ideali,parallelo alla realtà Chesterton,di fantasia Tolkien ma entrambi desiderano riformare il mondo in senso idealista creare una uguaglianza degli ultimi,una vittoria definitiva del Bene sul Male,una volontà di far emergere i Padre Brown anche mediaticamente avo nobile di Don Matteo di Terence Hill e gli hobbit questi lavoratori che prendono l’ascensore sociale della fantasia, per arrivare dalle miniere inglesi ai salotti di Buckingham Palace,se non altro in un volume in mano a William Windsor:=)

  12. DINI leonardo ha detto:

    da filosofo teoretico rispondo a SERGIO: posizione quasi Severiniana(emanuele severino)in realtà anche l’Essere è mutevole quanto alla sostanza immanente al reale, quindi si fa realista nell’Essercì, heideggeriano appunto,consustanziazione laica fra esseeri e Essere.

    1. Parabolico ha detto:

      Per Leonardo: Tolkien vede la realtà in trasparenza e Andrea Monda è uno degli esploratori e sottolineatori del collegamento tra quei due mondi, accomunati da relazioni anche di amicizia. Si può parlare di ideali ma anche se si nega la esistenza di ideali resta il problema del significato necessario da dare agli eventi che da soli come fatti non dicono molto. Devono, come rileva Chesterton, almeno essere fatti veri..

  13. DINI leonardo ha detto:

    lo so.sono d’accordo.

    1. Parabolico ha detto:

      eh c’è una convergenza significativa come direbbe Newman…… a proposito di verità, antropologia e filosofia sollevate da Sergio e Leonardo: qualcuno ha collegato tra concetti e persone sostenendo l’identità tra Essere e Crocifisso a a partire dall’essere di Parmenide che il filosofo mostra in catene. Mi pare un esplorativo avanzamento, estremo sviluppo di alcune idee di Girard che aveva accantonato la filosofia. Lo ha fatto Giuseppe Fornari in Da Dioniso a Cristo con elementi in corso di assestamento…li metterà ancora più sviluppati nel suo nuovo lavoro Storicità radicale..

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