Report BombaCinema ottobre 2013

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1- L’assassinio di un allibratore cinese di John Cassavetes: la scena visionata è quella che sancisce il titolo al film, ovvero il momento in cui Cosmo Vitelli, interpretato da Ben Gazzarra, accetta di uccidere un allibratore cinese per salvare il suo night club dai debiti. Quello che stupisce è il modo in cui è raccontata l’uccisione a sangue freddo di un uomo mai apparso prima. Non c’è nessun tentativo da parte del regista di creare il classico sentimento di tensione, di suspense: la musica è assente e i tempi molto dilatati. Cosmo, pur non essendo un killer professionista, non trova alcuna difficoltà a penetrare nella villa dell’allibratore e poi a ucciderlo, dopo averlo trovato totalmente indifeso, nudo nella piscina. Il volto di Ben Gazzarra non lascia trapelare nessuna emozione ed è impossibile capire cosa stia provando dopo aver sparato all’allibratore e poi, subito dopo, anche ad altre due guardie del corpo che spuntano all’improvviso alle sue spalle. In pochi istanti, senza neanche accorgersene, il tranquillo gestore di un night club si scopre essere uno spietato assassino.

2- I figli degli uomini di Alfonso Cùaron: dallo squallido mondo del film di John Cassavetes siamo passati ad un mondo altrettanto squallido, apocalittico, dove l’umanità vive faccia a faccia con la morte: in un mondo in cui non nascono bambini non può esistere nemmeno un futuro. Al contrario di quanto accade nel film di Cassavetes, sembra che gli uomini non abbiano ancora smesso di sperare, come dimostra il gesto che Jasper Palmer compie per salvare dalla cattura il suo amico Theo e la donna col bambino che è con lui. Questo gesto di sacrificio, totalmente gratuito, dimostra l’umanità che resiste anche nelle situazioni più avverse.

3- Le conseguenze dell’amore di Paolo Sorrentino: la sequenza presa in considerazione è quella in cui Titta Di Girolamo, interpretato alla perfezione da Toni Servillo, decide di sconvolgere la sua routine ormai consolidata da quasi otto anni. All’interno di un’anonima stanza si svolge l’abitudinaria conta dei soldi del dottor Di Girolamo e per la prima volta in otto anni sembra mancare una mazzetta da centomila euro. Servillo recita come il giocatore di poker quando tenta un bluff. L’inespressività del suo volto diventa la sua forza e la scena acquista una forte tensione giocata tutta sui silenzi e i tempi dettati dal montaggio. Dopo un’estenuante e imbarazzante silenzio, uno dei contatori finge di aver dimenticato una mazzetta e Di Girolamo può affermare ironicamente: “Non bisogna mai smettere di aver fiducia negli uomini”.

4- Il concerto di Radu Mihăileanu: il finale del film, sulle note della trascinante melodia del “Concerto per violino e orchestra” di Čajkovskij, è giocato tutto sui contrasti, sulle opposizioni. Si passa infatti con grande rapidità da toni drammatici a toni allegri e comici, dalla disperazione iniziale dovuta a un inizio incerto alla commozione del trionfo finale. Tutte le opposizioni e la varietà dei personaggi, ognuno diverso dall’altro, si ritrovano uniti nella musica, metafora della vita con le sue contraddizioni. Mi è stato fatto notare che il finale rimane comunque ambiguo, sospeso tra realtà, desiderio e sogno, come piace fare al regista di origine rumena.

5- Gran Torino di Clint Eastwood: commovente la scena in cui finalmente Walt Kowalski, burbero personaggio interpretato dal vecchio Clint Eastwood, decide di confessarsi prima di andare incontro al suo destino. La vera confessione non avviene, come ci si aspetterebbe, all’interno di una chiesa, e nemmeno al cospetto di un prete. Il vecchio e malato Kowalski, tormentato dal ricordo della guerra di Corea, decide di rivelarsi al suo unico amico rimasto, il giovane Thao, confidando al ragazzo di aver ucciso molti giovani come lui in guerra, indifesi e spaventati. Contrariamente a quello che abbiamo visto riguardo al personaggio di Cosmo Vitelli, Matt Kowalski sa bene cosa si prova ad uccidere un uomo e quando Thao glielo domanda risponde deciso: “È meglio che non lo provi”.

6- Fino all’ultimo respiro di Jean-Luc Godard: la scena in questione è brevissima. Il protagonista si aggira per le strade di Parigi quando il uso sguardo si ferma sulla locandina de “Il colosso di argilla”, ultimo film del duro per eccellenza Humphrey Bogart. Lo sguardo malinconico che Jean Paul Belmondo rivolge al suo eroe fa pensare alla fragilità del protagonista che si difende dietro ai suoi atteggiamenti da finto duro. L’attore si toglie gli occhiali da sole e si rivela. Il cinema del passato è finito, Humphrey Bogart è morto e non esiste più l’eroe con cui tutti vorremo identificarci. L’illusione del cinema è svanita e rimane la dura verità di un mondo senza più punti di riferimento, in cui ci si sente smarriti e indifesi.

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