A volte ritornano, a volte no

01-aratura-marsicaSettembre, andiamo. È tempo di migrare”. Se i pastori del poeta abruzzese migravano con le greggi verso la pianura, anche noi cittadini romani, urbani dell’Urbe, “migriamo”, non verso l’ignoto ma verso le nostre case e occupazioni abituali, perchè la vacanza estiva volge al termine. Il verbo esatto sarebbe allora “tornare” più che migrare, ma cosa vuol dire tornare? Nel verbo è racchiusa l’idea di “girarsi”, “voltarsi”, che viene accentuata dal prefisso nel caso del verbo fratello: “ri-tornare”; ma non è questa una condizione universale dell’uomo, di ogni uomo, non solo a settembre? Non è forse vero che, ogni giorno, non facciamo altro che ritornare? Ci svegliamo nel nostro letto e ritorniamo alle nostre sudate carte, ai nostri luoghi che quotidianamente abitiamo.

Non so se il tema di BombaCarta per il prossimo anno che sta per cominciare (perché il 1^ settembre è per molti versi il vero capodanno), sarà “situazioni” e non so nemmeno se “il ritorno” sarà considerata una di queste situazioni, ma certo ne potrebbe far parte a pieno diritto, soprattutto per una realtà come BombaCarta che tiene insieme vita e letteratura in un legame stretto quanto appunto vitale. La letteratura, anzi la poesia, occidentale nasce con questi due grandi temi: la guerra e il ritorno. L’Iliade e l’Odissea. L’assedio, cioè resistenza e resa, e il ritorno a casa, cioè la nostalgia. Addirittura uno dei primi “generi” letterari della storia ha preso come nome “Nostoi”, cioè “Ritorni”, ad indicare tutti i poemi che raccontavano le gesta degli eroi e dei soldati tornati in Grecia avendo lasciato dietro le spalle Ilio in fiamme. Di questi nostoi il più famoso è ovviamente quello che ha protagonista l’astuto Ulisse.

eneaCome è noto Ulisse è una figura non gode di un grande favore dentro BombaCarta: alla lezione di Levinas che contrappone al figlio di Laerte la figura di Abramo come vero viaggiatore (chè si muove verso l’ignoto, mentre Odisseo non viaggia ma semplicemente ritorna) si è aggiunta quella di Antonio Spadaro che ha sempre mostrato la sua maggiore simpatia per Enea, capace di portarsi nel suo viaggio sia le radici, il vecchio padre Anchise sulle spalle, sia il futuro, mano nella mano con il figlio Ascanio. Enea è in una tensione dinamica e feconda tra il passato (Ilio) e il futuro (Roma) perché egli deve fondare una nuova patria, dove la novità si coniuga con la storia: la gloriosa storia di Troia deve proseguire in modalità, luoghi e circostanze del tutto inedite e sorprendenti. Quello di Enea è un “ritorno”? Egli ri-crea la nuova Ilio ma certamente non ritorna negli stessi luoghi del suo passato come invece fa Ulisse, che termina il suo peregrinare intorno al talamo nuziale costruito nelle radici di un grande ulivo e poi si reca anche a visitare l’anziano padre Laerte. E’ un viaggio “a ritroso” quello del geniale Odisseo, un retrocedere, un risalire.

E’ duro il ritorno, è una trafittura come indica anche la parola nost-algia dove “nostos” sta per “ritorno” e “algos” significa “dolore”. Ma c’è anche qualcosa di agro-dolce nel ritorno, in quella trafittura si fondono il miele e il sale, così ad esempio J.L.Borges parlando della sua cecità che lo costringe alla memoria, nella poesia Elogio dell’ombra, la paragona alla dolcezza del ritorno:

Questa penombra è lenta e non fa male;

scorre per un mite pendio

e somiglia all’eterno.

Gli amici miei non hanno volto,

le donne son quello che furono in anni lontani,

i cantoni sono gli stessi ed altri,

non hanno lettere i fogli dei libri.

Dovrebbe impaurirmi tutto questo

e invece è una dolcezza, un ritornare.

Un altro grande poeta, il romantico tedesco Novalis aveva detto che “La filosofia è propriamente nostalgia, un impulso ad essere a casa propria ovunque”. La poesia stessa, così come la filosofia, sembra essere nei fatti un “ritorno”, nel senso di “ri-flessione”. La vita dell’uomo diventa “esperienza” quando l’uomo ci riflette sopra, quando l‘uomo ritorna al fatto vissuto con memoria, ragione, intelligenza, immaginazione, fantasia, creatività. E’ il dono elargito anche dall’esperienza della letteratura e della lettura, secondo la lezione di Proust per cui l’opera letteraria è una sorta di strumento ottico che consente al lettore di discernere ciò che forse, senza il libro, non avrebbe osservato dentro di sé. La lettura quindi per Proust svolgerebbe un ruolo “fotografico”: gli uomini non vedono la loro vita e così il loro passato diviene ingombro di tante lastre fotografiche, che rimangono inutili perché l’intelligenza non le ha sviluppate. La letteratura invece è come un laboratorio fotografico, nel quale è possibile elaborare le immagini della vita perché svelino i loro contorni e le loro sfumature.

Ma, di nuovo e in fondo: cos’è il ritorno? Alcuni potrebbero dire che il ritorno non esiste, e sono quelli che mettono l’accento su una qualità specifica della vita: l’irreversibilità. Tutto scorre e l’acqua del fiume in cui ti bagni non è mai la stessa. Medesima è sempre la fonte, ma l’esperienza è appunto irreversibile: ogni passo che facciamo nel cammino della nostra vita è decisivo, definitivo, non si può tornare indietro. Forse l’arte ha che fare con questo rapporto con la fonte, nel caos travolgente della vita, fiume in piena che non si può (pretendere di) “gestire”, forzare, controllare, manipolare. Se la vita è quella cosa che sfugge al controllo, come ad esempio un innamoramento o una malattia, l’arte ha a che fare con il racconto di questa perdita del controllo, sorpresa sempre spiazzante e incalzante che l’esistenza rappresenta per l’homo sapiens.

Ci sono alcuni autori contemporanei che hanno concentrato la loro arte su questo tema dell’irreversibilità, dell’impossibilità del “rimettere le cose a posto”, narratori come Cormac McCarthy e registi come P.T.Anderson. Nel 1962, l”incipit della prima canzone di Bob Dylan registrata in un album suonava così: “I’m out here a thousand miles from my home”, “Sono qui a un migliaio di miglia da casa” e tutto il resto della lunga carriera del menestrello di Duluth è la descrizione di un viaggio “no direction home”, a volte con l’esaltazione dell’avventura, a volte con l’acre puntura della “homesickness” come dicono gli inglesi per dire “nostalgia”. Interessante qui è notare la prospettiva diversa di Bruce Springsteen che invece riesce ciclicamente a tornare a casa (My Hometown, My father’s house…), un ritorno che però non lo mette a riparo dallo spaesamento e spiazzamento, quel conto agrodolce che la vita, sempre nuova, presenta a ogni uomo che la prenda sul serio, giocando fino in fondo la sua partita. Nel 1978 Dylan canta in We better talk this over:

Oh, ragazzina, perchè vuoi ferirmi?
Sono un esiliato, non puoi convertirmi.
Mi sono perso nella nebbia dei tuoi modi delicati con gli occhi vitrei

Non devi soffrire per amore, non devi restare sola
Da qualche parte nell’universo c’è un posto che potrai chiamare casa

Credo che me ne andrò domani,

anche se dovrò elemosinare, rubare o far debiti

promised land bruceIn quello stesso anno Springsteen si addentra nella Darkness at the edge of town, e nel 1980 saluterà nel suo dolente inno Indipendence Day il padre e la casa paterna del New Jersey per mettersi insieme a quel “sacco di persone che lasciano la città/ Di notte camminano per queste sporche autostrade scure tutti soli”, una carovana di esiliati, di perdenti, che seguirà per il resto della sua ultraquarantennale carriera musicale. La molla che lo spinge è il suo cuore affamato, nello stesso album del 1980, The River, dà libero sfogo al suo Hungry Heart per cui “Tutti hanno un cuore affamato/Tutti hanno bisogno di un posto dove riposare/ Tutti vogliono avere una casa”. Il cor inquietum di cui parla Agostino sembra essere la condizione umana per eccellenza, per cui lo scrittore Julien Green potrà dire: “Finchè sono inquieto, posso stare tranquillo”.

Il viaggio dell’uomo, infine, di che natura è? È una andata o un ritorno? Un’ascesa o una discesa, magari agli inferi? Un’esplorazione, un pellegrinaggio? Uno smarrimento, una migrazione? Un vagabondare o una passeggiata? Una conquista o un esilio?

Domande ponderose che potrebbero servire, a prescindere dal tema che verrà scelto, per intraprendere e condurre in avanti (indietro non si può) il cammino di questa nuova stagione di BombaCarta, buon viaggio a tutti!

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  1. Claudia Landolfi ha detto:

    …quando mi trovai ad affrontare un lungo viaggio per lasciare casa, amici, quartiere, per andare verso una nuova “casa e amici e quartiere”, pensai che Andare è Tornare. Non ci si sposta senza il passato, la storia è il nostro ‘Filo di Arianna’. Comunque molto interessante il post! Quando avranno inizio le attività?! Scusate sono nuova di qui.. Claudia

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