La scuola: giungla, convento o carcere?

scuola bnSono stato all’asilo, o, come si dice, scuola “materna”, dalle suore, per due anni; poi mi sono fatto i miei tredici anni di scuola (elementari, medie, liceo) e fanno quindici, uscendo dal liceo nel 1985. Per altri quindici anni sono rimasto fuori dalla scuola tra università, giornalismo e posto in banca. Infine dal 2000, dunque per altri quindici anni, sono ritornato a scuola, questa volta dall’altra parte della barricata, dietro la cattedra (spero non in o sulla medesima), da cui insegno religione cattolica nei licei di Roma. Esperienza quindi molto interessante proprio perché “stereofonica”: ho ascoltato le due diverse campane, studente e docente, l’apprendista e l’insegnante. Per la matematica qualcosa non quadra: tre blocchi di quindici anni, ma io non ho quarantacinque anni bensì quasi cinquanta… in effetti non ho contato i primi 4-5 anni della mia vita, quelli della “preistoria”, cioè di prima della scrittura, cioè della scuola.

Ora il problema è che io trovo molto sensato quello che dice Chesterton quando afferma che il bambino viene mandato a scuola per essere istruito quando è troppo tardi per istruirlo, quando “i giochi sono fatti”, oppure quando afferma, prendendo ad esempio un cacciatore pellerossa, che: “Dire che la stragrande maggioranza degli esseri umani è ignorante è come dire di un cacciatore pellerossa che non ha ancora preso una laurea. Ha preso molte altre cose. E quindi, onestamente parlando, non esistono uomini ignoranti. Possono sfuggire loro certe banali evidenze, ma di certo non sfuggono loro le evidenze più straordinarie dell’esistenza. L’attaccamento del bambino, il divertimento degli animali, l’amore di una donna e la paura della morte – queste cose sono più spaventose e radicate di qualsiasi concepibile elucubrazione mentale. È ozioso lamentarsi del fatto che le scuole e i collegi sono superficiali. In nessun caso a scuola si è mai imparato ciò che è davvero importante. Il cacciatore ha imparato ciò che è giusto e ciò che è sbagliato e lo ha imparato completamente da solo. (da G.K.Chesterton, Cosa c’è di giusto nel mondo).

A questo punto scatta la domanda: ma allora che cos’è e perché esiste la scuola?

Ho provato a chiederlo ai miei studenti e ho raccolto qualche risposta interessante:

Lucia ad esempio ha citato il proverbio per cui: “i parenti te li tieni così come sono, gli amici invece te li scegli”. La scuola è un po’ come una famiglia, perché “né i professori né i compagni li abbiamo potuti scegliere e come in tutte le grandi famiglie ci sono simpatie e antipatie. Il rapporto professori-alunni può definirsi un “odi te amo”. Li amiamo quando ci aiutano ad arrivare alla sufficienza, li odiamo quando ci piazzano un 4 sul registro. Ma non potendoli cambiare siamo obbligati a tenerceli così come sono e loro devono tenerci per come siamo. Non devono provare a cambiarci,n on devono punirci se non rispecchiamo l’ideale di studente modello, devono aiutarci ad avvicinarci a ciò che simboleggia la perfezione ma devono amarci per come siamo, perché il loro compito è addestrarci alla vita come il nostro è quello di imparare dai più “anziani”. La scuola la definirei così, una grande famiglia. Non proprio felice, ma una normale e grande famiglia”.

Per Chiara invece la scuola è “continuamente una sfida da affrontare e da superare. A scuola si viene per imparare, per confrontarsi e per ragionare. Ormai quasi nessuno riesce ad apprezzare i vantaggi che si potrebbero trarre da essa, oggi come oggi tutti sanno lamentarsi ma nessuno sa come ringraziare le persone che ci aiutano a crescere. La scuola è una grande opportunità che dovrebbe essere estesa a tutte le persone nel mondo, noi Paesi “sviluppati” dovremmo semplicemente imparare ad apprezzarla e riuscire a migliorare le cose che non ci convincono”.

scuola branco

Il più crudele è Tiziano per il quale la scuola non è una famiglia né una sfida, ma assomiglia piuttosto ad un carcere o una giungla popolata di predatori e prede.

In questo contesto vivono tante sfumature di umanità, tante tribù; all’interno delle “prede” ci sono ad esempio i secchioni, professori in formato tascabile, che hanno il compito di rendere una classe di completi incompetenti un po’ più accettabile per i professori, anche se a volte se lo dimenticano e abbandonano i loro compagni consegnandoli al nemico. Dopo quella dei secchioni c’è una “terra di mezzo” dove vivono persone che non rinunciano ad una vita sociale ma nonostante ciò riescono quotidianamente a salvarsi la pelle. Infine c’è l’ultima categoria piena di ragazzi che per vari motivi non combattono, non si mettono in gioco, ma si siedono e passano le ore rimanenti fino all’intervallo pensando a come sarebbe bello se

Nè predatori né prede sono gli appartenenti alla tribù dei bidelli (oggi personale ATA), eroi inconsapevoli in un piccolo mondo separato da quello reale. L’eroismo di questi bidelli consiste nell’entrare per leggere circolari, magari durante compiti e interrogazioni, facilitando suggerimento e scopiazzature o annunciando l’assenza di temibili professori. L’eroina maggiore in questo ambito è senz’altro la campanella e il suo magico suono, odioso solo quando segnala la fine della ricreazione.

Poi ci sono i luoghi della scuola, in primis i bagni, mai funzionanti. Poi c’è quell’enorme superficie che fa da prateria che scrittori e disegnatori, di cui ogni scuola è ricca, possono attraversare impavidi: le pareti dei bagni, delle porte, gli stipiti delle porte o delle lavagne, i banchi in tutti i loro centimetri quadrati, tutti “luoghi” in cui si può sfogare la propria creatività perché scrivere o disegnare sui banchi e le cattedre è l’unico modo per non morire di noia.

scuola collodi

Ma allora perché esistono questi enormi carceri? La risposta dei professori non è credibile. Skolè in greco pare significhi “tempo libero” ma non sento il privilegio che scaturisce dal poter vivere questa opportunità, e questo soprattutto perché i professori sono loro a non essere credibili: un po’ come nella chiesa cattolica nei secoli passati, nella scuola di oggi molti professori intraprendono questa strada non per trasmettere il loro sapere agli altri, ma per portare a casa lo stipendio, perciò non provano a suscitare quella curiosità che dovrebbe animare i ragazzi e inoltre si comportano come tiranni facendo valere il fatto di avere il coltello dalla parte del manico. E questo vale anche per noi studenti, che spesso prendono il liceo classico, ad esempio, solo per compiacere i genitori felici che qualcuno segua le proprio orme. Forse sono influenzato dal film I liceali ma questo cosmo parallelo della scuola lo vedo così.

Eppure a me, professore, piace la scuola, al punto che ci sono tornato dopo tanti anni. E mi piace il fatto che a scuola le generazioni si incontrino, che ci sia la possibilità di far scaturire il miracolo dell’apprendimento e dell’insegnamento, che da sempre e per sempre contraddistingue il cammino dell’uomo, perché “anche Omero aveva un Omero”. L’originalità di fatto non esiste, siamo tutti interpreti di una “lezione” ricevuta da altri. Suoniamo eseguendo brani e rispettando spartiti scritti da altri e non arriviamo mai ad inventarci un’ottava nota. Siamo sempre tutti a scuola dunque. Però questo fatto lo viviamo a volte con rabbia e amarezza.

dietro al papà

L’amara riflessione di Tiziano, così opposta a quella di Chiara, mi ha fatto pensare alla scuola come “luogo” e in effetti la somiglianza con il carcere colpisce. A livello architettonico la scuola e il carcere ma anche il convento, la caserma o l’ospedale si assomigliano tutti: ampi e lunghi corridoi che si aprono su stanze (celle?) dove “rinchiudere” gli abitanti di questi ambienti, siano essi studenti o detenuti, monaci, soldati o pazienti. Non è un caso che a volte alcuni edifici hanno una storia molto “articolata” per cui ex-conventi diventano caserme che poi diventano scuole o università oppure ospedali. Quando un convento diventa una scuola alla fine si tratta solo di una “riduzione”, al posto della campana suonerà la campanella ma per il resto quasi tutto rimane identico. Il richiamo al convento getta una luce di speranza, altrimenti mi sarei chiesto se il punto in comune di tutti questi luoghi sia il fatto che ci vive in genere cerca solo una cosa, urgentemente: il modo di evadere. Ma come dire questa speranza, magari in modo non scolastico?

P.S.: ho scritto questo articolo ieri, lunedì 30 novembre, ma oggi arrivando di mattina a scuola, l’ho trovata occupata: non “evadere” quindi ma “invadere”, la speranza vacilla sempre di più…

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  1. Marco Trentin ha detto:

    Credo ci siano poche cose odiose ed odiate come lo è la scuola. Crudele destino quello della scuola, crudeli altresì sono i suoi discepoli detrattori, a un tempo carnefici e vittime dell’odiatissima istituzione.
    Per una pacata e limitata riflessione, comincerei con lo zaino dei bimbi delle elementari. Che pesa 7,8 chili, bilancia certificata di farmacia romana, e che i bimbi da soma trascinano a salire ed a scendere su rampa di scala scolastica due volte al dì.
    Sempre alle elementari per chi, come il sottoscritto, ha qualche decennio sulle spalle le novità e gli oohh non mancano. Lo studio della geografia in seconda, per esempio, con l’altezza delle montagne spiegata ai piccoli voraci discepoli che però non hanno ancora nessuna dimestichezza con il sistema metrico decimale. Seguono gli indicatori spaziali. Navicelle che navigano nello spazio ? No, si tratta della segnaletica stradale. Né manca lo studio di Tecnologia, in cui i bimbi danno il meglio di sé. E guai se non c’è il toner, l’intero corpo insegnante insorge. Cosa sarebbe la scuola moderna senza una fotocopiatrice ?
    A proposito di domande. Qualcuno sa dirmi quanti sono i libri in uso alle scuole elementari ? Più di dieci, ma quanti esattamente ? Io, un po’ vecchio e sulla via della rottamazione, ai miei tempi remoti avevo un libro di lettura e , dalla terza elementare, anche un sussidiario. Scrivevo su quadernini a quadretti per la matematica ed a righe per le lettere. E, incredibile, liberissimi di non crederci, non mancavo un acca o un apostrofo. Nella mia remota infanzia venivo giudicato su pagelline di quattro paginette con voti da sei a dieci. Oggi: quadernoni in numero indefinibile, astucci a tre piani, pagellone in duplice copia più grande del poster di Pogba.
    E una chicca finanziaria: il contributo volontario. Che nasce volontario, liberale, e poco alla volta diventa indispensabile per l’iscrizione all’anno successivo e giunge nelle mani genitoriali già precompilato. Perfino nell’importo. Libero e volontario, ovviamente.
    Chiudo con le uscite didattiche. I r r i n u n c i a b i l i. Genitori e corpo docente sono irremovibili in tema. Guai ad osare una obiezione sull’utilità didattica di due notti a Ravenna a nove anni: si aprano le porte degli inferi…
    Mi taccio. Per le Medie e le Superiori avremo altre occasioni

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