Point à la ligne

Nel 1974 Gianni Rodari scriveva un filastrocca dal titolo “Il dittatore”.
La filastrocca dice:

Un punto piccoletto,
superbioso e iracondo,
“Dopo di me – gridava –
verrà la fine del mondo!”

Le parole protestarono:
“Ma che grilli ha pel capo?
Si crede un Punto-e basta,
e non è che un Punto-e-a-capo”.

Tutto solo a mezza pagina
lo piantarono in asso,
e il mondo continuò
una riga più in basso.

Gianni Rodari ha… toccato il punto. Basti osservare l’uso che fa del punto a capo in questa filastrocca: in due sole circostanze. La prima per sottolineare l’entità del signor Punto-e-a-capo; la seconda per chiudere il componimento dandoci appuntamento ad una “riga più in basso” che non vediamo. Che è lasciata alla nostra immaginazione.

Quando diciamo punto e a capo a cosa pensiamo? Pensiamo ad un mondo che si spalanca, nuovo di zecca, davanti a noi. Dopo una pausa. Pensiamo alle infinite possibilità che abbiamo di fronte. Magari anche a delle alternative, perché no? Ma le possibilità – io credo – sono più ricche di sviluppi delle alternative, non hanno paletti, si moltiplicano.

Dopo un punto e a capo si continua. Come prima. Meglio di prima. Con più energia di prima o magari con più calma. Con più saggezza. Con più metodo.

Il punto e a capo è un’opportunità che va oltre la pausa, lunga o corta che sia. Ma non può prescindere da una stasi. È un proseguimento, una continuazione. Come dice Rodari non un punto e basta. Un punto e basta intima e comanda, definisce e chiude, è superbioso, mentre quell’espressione “non è che un punto e a capo” ci restituisce l’immagine di qualcosa di “inferiore, semplice”, ma pieno di occasioni.

Alla riga più in basso la vita prosegue. Come in uno schermo si apre un universo di immagini che danno nuova vita al discorso che si è fermato alla riga sopra.

Si è fermato per prendere fiato e ricominciare la sua corsa.

Per offrire nuove prospettive al lettore.

Per far riposare i pensieri.

Per dare uno scossone alla storia.

Perché scrivere tutto di seguito potrebbe creare qualche problema…

Facciamo una prova. Con i versi iniziali de “Il passero solitario” di Giacomo Leopardi.

Meglio così?
D’in su la vetta della torre antica,
passero solitario, alla campagna
cantando vai finché non more il giorno;
ed erra l’armonia per questa valle.
Primavera d’intorno
brilla nell’aria, e per li campi esulta,
sì ch’a mirarla intenerisce il core.
Odi greggi belar, muggire armenti;
gli altri augelli contenti, a gara insieme
per lo libero ciel fan mille giri,
pur festeggiando il lor tempo migliore:
tu pensoso in disparte il tutto miri;
non compagni, non voli,
non ti cal d’allegria, schivi gli spassi;
canti, e così trapassi
dell’anno e di tua vita il più bel fiore.

O così?
D’in su la vetta della torre antica, passero solitario, alla campagna cantando vai finché non more il giorno; ed erra l’armonia per questa valle. Primavera d’intorno brilla nell’aria, e per li campi esulta, sì ch’a mirarla intenerisce il core. Odi greggi belar, muggire armenti; gli altri augelli contenti, a gara insieme per lo libero ciel fan mille giri, pur festeggiando il lor tempo migliore: tu pensoso in disparte il tutto miri; non compagni, non voli, non ti cal d’allegria, schivi gli spassi; canti, e così trapassi dell’anno e di tua vita il più bel fiore.

Cosa cambia? Apparentemente nulla. Ma per un testo poetico (in modo particolare) cambia moltissimo. Il valore della pausa e del passaggio alla riga seguente è un elemento del ritmo della lettura poetica da cui non si può prescindere.

Eppure ci sono poeti che non usano il punto a capo. Guardate qui:
Terra – terra,
terra – aria – terra,
aria – acqua – terra – terra – acqua,
acqua – aria – terra – aria – aria,
terra – acqua – aria – acqua – aria – terra,
aria – terra – terra – terra – terra – terra,
della Terra dell’Acqua dell’Aria –
In “Parata militare” la Szymborska non usa punti; usa solo gli a capo per imprimere ritmo, forza ed energia ad un componimento che è legato da altri segni di interpunzione. Proviamo a pensare cosa sarebbe accaduto se invece delle virgole o del trattino finale ci fossero stati dei punti a capo.

Il punto a capo non viene dopo un intervallo né lo definisce.
È un piccolo mistero che ci aiuta quest’anno a “ri-prendere” il nostro tema più ampio: “A cosa serve la letteratura?”.

Parleremo di punteggiatura? Forse.

Parleremo del panorama immaginifico che c’è dopo un punto e a capo? Magari.

Parleremo di musica? Anche.

Probabilmente ci saranno momenti in cui “ricominceremo da capo”: per rifare un’azione, ripercorrere una strada, riprendere di nuovo e ancora qualcosa che ha avuto un esito che per noi non è del tutto concluso.

Riprenderemo i nostri appuntamenti mensili e i nostri editoriali e vi aspettiamo, sul blog e alle Officine.

Punto e a capo.

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