“Da un grande potere derivano grandi responsabilità”

Dimmi chi è il tuo eroe e ti dirò chi sei – di Margherita Morelli

“Sei il mio eroe…” dice ancora un po’ sconvolta, ma già con un bagliore speciale negli occhi, la bella fanciulla la cui borsetta era stata arraffata da un fulmineo scippatore, mentre vede tornare vittorioso il giovane salvatore che ha recuperato la suddetta borsetta e che ora corre a passi leggeri verso di lei, avvicinandosi già al suo cuore.

È il suo eroe, dunque, ma è anche l’aitante coprotagonista della commedia romantica che stiamo guardando, nonché l’esempio “vivente” di quanto spesso ci capiti di sentire o pronunciare – o leggere in questo caso – la parola “eroe” senza neppure pensarci. Eppure questa è una parola antichissima, che ha viaggiato attraverso i millenni, rimanendo in alcune lingue pressoché invariata rispetto alla sua forma originaria – il greco ἥρως (hrōs).

Chissà, però, se la fanciulla della nostra scena, nel pronunciare la sua battuta, immaginerebbe il “suo eroe” come l’eroe “bello e buono” dell’antica Grecia o figurandoselo piuttosto sul proprio destriero, mentre ringuaina la spada dopo la battaglia, o – ancora – pensando a immagini a noi più vicine, come quella del supereroe che spicca il volo con il pugno levato verso il cielo. Scegliete l’esempio che più vi piace, o meglio, trovatene di nuovi e confermeranno che, nonostante la quasi totale staticità della forma, la dinamicità del significato ad essa associato appare evidente.

Una prima domanda che potremmo porci è dunque: cosa è cambiato, ma soprattutto cosa è rimasto costante nei molteplici ideali di eroi che si sono susseguiti fino ad oggi?

Nel tentativo di dare una risposta, bisogna tenere a mente che l’evoluzione dell’idea di eroe è strettamente legata e dovuta all’evoluzione storica, culturale, morale, tecnologica del genere umano, per cui ogni epoca ha avuto un eroe che l’ha rispecchiata nei valori e nelle caratteristiche. Da ciò dipendono comprensibilmente la maggior parte dei mutamenti. Di certo Hercules e l’Iron Man della Marvel non potranno essere messi a confronto per quanto riguarda le armi che utilizzano, ad esempio. Di contro, lo stesso permanere del vocabolo “eroe” ci dimostra che deve pur esserci un substrato comune agli svariati personaggi che sono stati così definiti. Per questa ragione è fondamentale concentrarsi, più che sulle differenze, su ciò che queste figure hanno in comune, per potersi chiedere: chi è e cosa contraddistingue un eroe?

La citazione che dà il titolo a questo editoriale e da cui partirà la prossima officina ha il grande pregio di rappresentare la summa, in questo senso, di tre aspetti che hanno influenzato buona parte dei personaggi eroici che conosciamo. Di questi aspetti, due sono evidenti e insiti nella frase stessa: il potere, inteso qui come capacità di un individuo di compiere azioni straordinarie grazie a qualità particolari – spesso di origine non umana, in tempi contemporanei definito più spesso come “superpotere” –, e la responsabilità che un individuo simile ha nei confronti del prossimo, rispetto a decisioni sia pratiche – il tentativo di salvare più persone possibile in un’emergenza, ad esempio – che morali, che conducono a una domanda fondamentale per l’eroe. Secondo quali valori deve utilizzare il suo potere?

La terza questione richiamata da questa citazione ha a che fare in parte proprio con questi valori ed è sollevata non tanto dalla frase in sé, quanto dal contesto in cui viene pronunciata. Essa compare per la prima volta in ambito cinematografico nel film Spider-man (2002), a sua volta primo film a raccontare la storia – o narrare le gesta – del supereroe dei fumetti creati da Stan Lee e Steve Ditko, pubblicati dalla Marvel Comics. In particolare, la celebre “Da un grande potere derivano grandi responsabilità” viene pronunciata da Ben, lo zio di Peter Parker/Spiderman che lo ha cresciuto insieme a sua moglie dopo la prematura morte dei genitori del ragazzo. Lo zio Ben, ignaro della causa dei comportamenti strani del nipote – dovuti, come noi sappiamo, al manifestarsi dei superpoteri in Peter – decide di parlargli, dopo che Peter ha picchiato un compagno di scuola, il bullo che lo perseguitava. Ben lo mette in guardia: il fatto che abbia la capacità di battere chi ha davanti, per quanto quest’ultimo possa meritarlo, non gli dà il diritto di farlo. Tuttavia, in un primo momento, il monito dello zio non sembra essere recepito da Peter, che sfrutta inizialmente i propri poteri per un guadagno personale, per poi indirizzarli – dopo la morte dello stesso zio, di cui avverte la corresponsabilità – verso la vendetta. Solo dopo essere passato attraverso l’esperienza di queste scelte sbagliate, Peter comprenderà in pieno le parole di zio Ben, diventando un vero supereroe.

Ciò che emerge dalla breve scena del dialogo tra i due, non è solo l’insegnamento di zio Ben in sé, ma il fatto che egli cerchi di guidare o indirizzare il giovane. È infatti caratteristica comune tra gli eroi, fin dall’antichità, la perdita, in tenera età, dei genitori e dunque di tutti quei valori che vengono trasmessi, normalmente, in ambito familiare. Da questa condizione derivano spesso il forte conflitto interiore che questi personaggi devono affrontare come stadio della ricerca o riscoperta di tali valori e la presenza di una figura di guida, un mentore cui l’eroe fa riferimento – come il personaggio di Chirone, l’allenatore degli eroi greci nella mitologia o il maestro Yoda nella saga di Star Wars, volendo andare da un estremo all’altro della nostra linea temporale.

Non possiamo comunque pensare, a questo punto, che, per rispondere alla domanda “chi è un eroe?” basti elencare caratteristiche comuni a questa infinità di personaggi. Oltretutto non ci sarebbe gusto. Infatti, per fare un esempio, si può definire “eroina” a tutti gli effetti l’Antigone dell’omonima tragedia di Sofocle? Lei che non appartiene a quelle stirpi di eroi nati dall’unione tra divinità ed esseri umani, che rinnega ogni responsabilità legata al suo ruolo di principessa della città di Tebe, violando le leggi imposte dal sovrano, suo zio, per dare sepoltura al fratello; Antigone che non salva nessuno, tantomeno sé stessa, dato che la conseguenza della sua decisione sarà la morte. Eppure un elemento fondante di questa tragedia – come di molte opere nella letteratura greca antica – è quella che viene definita “solitudine dell’eroe” e lei viene fatta rientrare nel modello dell’”eroina tragica”.

Che succede, poi, se l’”eroe” (o, appunto, “antieroe”) che si prende in considerazione è quello del romanzo russo? Dotato di intelligenza e buona istruzione, ricco nella maggior parte dei casi, ma incapace di prendere la benché minima decisione al di fuori del “cosa mangiare per pranzo”, che prova amore, ma è incapace di compiere l’ultimo passo necessario alla realizzazione dei suoi sentimenti. Uno dei personaggi che rientrano in questo schema è Pecorin, il protagonista del romanzo Un eroe dei nostri tempi di Lermontov, che scrive nella prefazione alla sua opera:

L’Eroe del Nostro Tempo, egregi signori miei, è certamente un ritratto, ma non di una persona sola: è un ritratto composto dai vizi di tutta la nostra generazione nel loro pieno sviluppo. Voi di nuovo mi direte che l’uomo non può essere così ignobile, e io vi risponderò che se avete potuto credere alla possibilità dell’esistenza di tutti i ribaldi tragici e romantici, perché mai non dovreste credere all’esistenza di Pecorin? Se vi siete dilettati di invenzioni assai più spaventose e mostruose, perché questo carattere, sia pure come invenzione, non ottiene mercé presso di voi? Non sarà forse perché in esso c’è più verità di quanto non vorreste?

L’unico segno di eroismo di questo personaggio, che pur non dipende direttamente dalla sua caratterizzazione, sembra risiedere nel mostrare la verità sulla sua epoca. Basterà questo per definirlo un eroe?

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