Aprile: Officina in Lubriano

Editoriale diverso, officina diversa.

Come ogni anno – ormai da qualche anno – i bombers romani replicano l’iniziativa di un’officina primaverile “fuori porta”. Quando? Il 13 e 14 aprile prossimi.

Una combinazione fortunata di cambio stagione e ottima occasione per ampliare lo spazio ed il tempo che ogni mese viene dedicato al momento di condivisione più significativo nell’ambito delle attività di BombaCarta, ovvero l’Officina.

L’officina è per BC il vero luogo di lavoro, di impegno, di confronto e richiede preparazione: a volte è utile fermarsi “un giro”, come nei giochi di ruolo che si rispettino.

La due giorni di refresh e di operatività all’aria aperta avverrà ancora una volta a Lubriano ed, in particolare, ad accoglierci sarà il Palazzo dei Monaldeschi della Cervara, una dimora storica italiana risalente al XVII secolo.

Lubriano è un antico borgo che domina una delle valli piú suggestive della Teverina: la Valle dei Calanchi. Siamo nel cuore della Tuscia, al confine tra l’alto Lazio viterbese e le colline dell’Orvietano.

Poco distante, anzi proprio di fronte, sorge Civita di Bagnoregio, fortificazione medievale che insiste su un antico centro abitato etrusco, nota per aver dato i natali a San Bonaventura, il Doctor Seraphicus che insegnò alla Sorbona di Parigi e fu amico di san Tommaso d’Aquino.

E fin qui ci sono delle premesse splendide che, inevitabilmente sfociano in un’atmosfera particolare. Ciò che rende speciale l’officina a Lubriano è che, a differenza degli incontri “cittadini”, qui ci si dà l’opportunità di perdere la nozione del tempo e dell’officium. E si passa ad una situazione di questo tipo:

Non servono tante parole.

Non cambierà niente nello spirito delle “nostre” officine, ma avremo modo di stare insieme, raccontarci storie, confrontarci sui metodi degli interventi, trovare idee nuove, tematiche da approfondire e affrontare nei prossimi mesi.

Gettare le basi per quella continuità che rende il lavoro delle officine una “fatica” premiante, un allenamento della mente.

E un esercizio dell’amicizia, ingrediente fondamentale per fare meglio le cose, anche divertendosi.

Come il piacevole obbligo di giocare a Lupus in tabula (il nostro gioco di ruolo preferito!) finchè la stanchezza non vince. In fondo si dice che… lavorare stanca!

Leggi i 5 commenti a questo articolo
  1. Valentina Augello ha detto:

    Riporto stralci tratto da questo libro (il gioco è gli uomini), mi sembra interessante… magari possono emergere spunti per il tema dell’anno prossimo…
    Primo stralcio gioco come “totalità circoscritta, inizialmente completa e immutabile, concepita per funzionare senz’altro intervento esterno che l’energia che la mette in moto”
    “In primo luogo, in una delle sue accezioni più correnti, e anche più vicine al senso proprio, la parola ‘gioco’ indica non soltanto l’attività specifica cui dà il nome, ma anche la totalità delle figure, dei simboli o degli strumenti necessari a questa attività o al funzionamento di un insieme complesso. Si dice infatti ‘gioco di carte’ oppure ‘gioco di scacchi’ oppure ‘gioco d’organo’ per indicare l’insieme delle canne e delle tastiere di un organo. (….) Questa nozione di gioco una totalità circoscritta, inizialmente completa e immutabile, concepita per funzionare senz’altro intervento esterno che l’energia che la mette in moto, il concetto di gioco costituisce certamente una preziosa innovazione in un mondo essenzialmente mobile, i cui dati sono praticamente infiniti e, d’altra parte, soggetti a un’incessante trasformazione.

  2. Valentina Augello ha detto:

    Secondo stralcio gioco come modo di esprimersi (gioco=play) che chiama in ballo anche i concetti di fortuna, abilità e rischio

    La parola “gioco” indica ancora lo stile, il particolare modo di esprimersi di un interprete, attore o musicista, vale a dire i caratteri originali che distinguono dagli altri il suo modo di suonare uno strumento o di recitare una parte. Pur dovendo restare aderente al testo o alla partitura, gli resta pur sempre un certo margine di libertà per manifestare la propria personalità con inimitabili, sottilissime sfumature o variazioni. Il termine “gioco” mette quindi insieme le idee di limite, di libertà e d’invenzione. E, per estensione, esprime una straordinaria mescolanza in cui si riconoscono congiuntamente le idee complementari di fortuna e di abilità, di risorse concesse dal caso o dalla fortuna e della più o meno viva intelligenza che le mette in opera e cerca di trarne il massimo profitto. Un’espressione come avere buon gioco corrisponde al primo senso, altre come giocare prudente, giocare d’astuzia si rifanno al secondo; altre ancora, come scoprire il proprio gioco o, al contrario, dissimulare il proprio gioco, si riferiscono inestricabilmente ad ambedue i sensi: vantaggio iniziale e abile impiego di una sapiente strategia. L’idea di rischio viene subito a complicare dei dati già abbastanza ingarbugliati: la valutazione delle risorse disponibili, il calcolo delle eventualità prevedibili si accompagnano ben presto a un’altra speculazione, una sorta di scommessa che presuppone un confronto fra il rischio accettato e il risultato che ci si aspetta. Da cui, locuzioni come mettere in gioco, giocare forte, giocarsi la carriera, giocarsi la vita, o anche la constatazione che il gioco non vale la candela, cioè che tutto il profitto che ci si può aspettare dalla perdita resta sempre inferiore al costo della luce che la illumina. Il gioco appare, di nuovo, come una nozione straordinariamente complessa che mette insieme un dato di fatto, una “mano” favorevole o infelice, in cui il caso è sovrano e che il giocatore eredita in base ai capricci della sorte senza poterci far niente, un’attitudine a trarre il miglior partito da queste risorse così discontinue, che un calcolo sagace fa fruttare e la negligenza dissipa, e infine una scelta fra la prudenza e l’audacia che introduce un’ultima coordinata: la misura in cui il giocatore è disposto a puntare su ciò che gli sfugge piuttosto che su ciò che controlla.

  3. Valentina Augello ha detto:

    Terzo stralcio gioco come sistema di regole (diritto… lecito e illecito)

    Ogni gioco è un sistema di regole. Esse definiscono ciò che è o non è gioco, vale a dire il lecito e il vietato . Queste convenzioni sono al tempo stesso arbitrarie, imperative e senza appello. Non possono essere violate con alcun pretesto, pena l’interruzione e la fine immediata del gioco. Nient’altro, infatti, sostiene la regola se non il desiderio di giocare, vale a dire la volontà di rispettarla. Bisogna giocare secondo le regole o non giocare affatto. Ora, stare al gioco è un’espressione che si impiega in moltissimi altri casi al di fuori del gioco, e anzi soprattutto al di fuori di esso, in un’infinità di azioni e rapporti che si cerca di regolare in base a delle condizioni implicite molto simili a quelle del gioco. E tanto più conviene sottomettervisi dal momento che nessuna sanzione ufficiale punirà il partner sleale. Semplicemente, cessando di stare al gioco, egli avrà reinstaurato lo stato di natura e permesso nuovamente ogni imposizione, astuzia o reazione proibita, che le convenzioni avevano proprio lo scopo di bandire di comune accordo. Quello che si chiama gioco appare in questo caso come un insieme di restrizioni volontarie, accettate di buon grado e che instaurano un ordine stabile, a volte una tacita legislazione, in un universo senza leggi.

  4. Valentina Augello ha detto:

    Articolo di Agamben in greco antico la stessa parola viene utilizzata per esprimere il concetto di fede e la parola credito….. riflessioni sul ruolo della finanza

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