Arte e quarantena

Nel 1995 usciva al cinema “Hello Denise” (“Denise calls up”), un film passato troppo inosservato sull’impatto che hanno avuto i cellulari sulla vita quotidiana americana. I protagonisti si chiamano l’un l’altro programmando incontri che – per imprevisti, rinunce all’ultimo momento, contrattempi – finiscono per essere sempre rinviati.

La reperibilità telefonica “permanente” anziché facilitare la relazione sembra quindi renderla più difficile: tutti siamo “a portata di mano” e questo non solo ci basta ma è quasi preferibile alle incognite e alle frizioni dell’incontro.

Attraverso una chiave ironica e una scrittura vivace, il film descrive un passaggio epocale che sarà vissuto nuovamente dalla generazione successiva con l’arrivo dei social. Ma più che facilitata/ostacolata, sarebbe corretto dire che la relazione si trasforma coi tempi e con le tecnologie a disposizione.

In questi giorni di isolamento forzato, “Hello Denise” mi è tornato in mente durante una riunione di BombaCarta in videoconferenza: i volti che si alternavano sullo schermo mi ricordavano quelli degli attori del film, con una importante differenza: lo strumento tecnico sopperiva, in quel caso, a una – altrettanto tecnica – impossibilità di incontrarsi. Eppure un brivido mi è corso lungo la schiena: e se questa diventasse la nuova normalità?

Fino a pochi anni fa la facilità con cui il videomeeting è stato organizzato e realizzato sarebbe stato quasi fantascienza, ma sul piano umano Hello Denise aveva già detto tutto nel 1995.

L’arte ha sempre una capacità “profetica”, soprattutto quando coglie, sotto la superficie della forma, quella dimensione intrinsecamente umana che ci accompagna nei momenti di crisi ma anche e soprattutto in quelli più normali, quotidiani. È, però, sempre un flusso sotterraneo, decodificabile solo in parte e, spesso, solo a posteriori.

Nel 1957 esce in Argentina “L’Eternauta”. Nelle prime pagine, i protagonisti si trovano a confronto con un evento sconosciuto e incomprensibile: una neve fosforescente uccide tutto ciò su cui si poggia. Dalla dimensione quotidiana di una partita a carte in soffitta, il gruppo si trova precipitato nella lotta contro un nemico di cui può solo sospettare i contorni, della cui esistenza anzi non è nemmeno certo. La muta da sub e la maschera con cui i personaggi escono prudentemente di casa per evitare il contatto con la neve, da scena surreale e grottesca, diventa oggi improvvisamente familiare quando si incrociano per strada rari passanti con la mascherina, in giro – anche loro – solo per stretta necessità.

La serie “Counterpart”, uscita nel 2017, descrive due mondi identici salvo che per un particolare: uno è quello che conosciamo, l’altro è sopravvissuto a una letale forma di influenza. Quest’ultimo è freddo (anche nella fotografia), severo, diffidente; il nostro è ignaro, per certi versi imbelle, volendo esagerare direi quasi “innocente”.

Gli abitanti dell’altro lato hanno vissuto per anni nella disinfezione, nel mantenimento delle distanze, nel desiderio e nel terrore dell’altro. Le stesse piazze – che “di qua” sono affollate – sono frequentate da sporadici visitatori. Viene oggi da chiedersi: siamo noi quelli del mondo “di là”?

Gli ultimi due sono, ovviamente, scenari apocalittici, ma non ci interessano per quello: oltre le apparenze, parlano infatti d’altro. Héctor Oesterheld, uno degli autori de L’Eternauta, “sparirà” sotto il regime di Videla di cui alcuni hanno intravisto, proprio nel fumetto, una sorta di profetizzazione. Counterpart racconta una storia in cui buoni e cattivi, vittime e carnefici si confondono continuamente perché, in realtà, sono – di qua o di là – gli stessi individui.

Riconnettersi con un’opera vista “ingenuamente” quando le circostanze ci hanno portato in quella stessa situazione emotiva è un’esperienza curiosa, che ci ricorda anche che l’opera, in genere, dice sempre un po’ di più di quanto siamo in grado di capire al primo incontro.


In questi giorni, siete tornati con la memoria a un’opera che rileggete, oggi, con occhi diversi? Di cui cogliete solo ora la “potenza”? Cosa vi fa provare questa rilettura? C’è qualcosa che ci può guidare, lì dentro, nelle decisioni che dobbiamo prendere oggi o nel modo in cui stiamo vivendo questa parte della nostra vita?

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  1. Deb ha detto:

    A me viene in mente La Parola ai Giurati. Un film di una profondità potente. Tutti i giurati credono di sapere a cosa andranno incontro quando entrando in quella stanza, poi tutto si scardina con l’analisi, con lo scontro, con il ragionamento e infine con l’incontro. Noi ora siamo bloccati esattamente come loro, ne usciremo quando applicheremo la razionalità, le regole e terremo a bada l’emotività. Solo allora tutto scorrerà come deve nella soluzione di questo evento imponente. Ci vuole il giusto tempo nell’affrontare le cose grandi, proprio come avviene nelle delibere di Barbalbero del Signore degli anelli. Lui e gli Ent parlano, discutono e la decisione richiede un tempo infinito per alcuni. I piccoli Hobbit tendono a spazientirsi, ma Barbalbero li esorta a non farlo, perché è importante ricapitolare i fatti e gli eventi prima di una delibera. Vale lo stesso per quello che viviamo, impariamo giorno per giorno cosa funziona contro questo virus e cosa no. Poi quando il quadro si farà più chiaro, come gli Ent quando vanno a distruggere Isengard, avanzeremo a gran velocità!

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