[Report] Officina di ottobre 2017

Andrea

Nel finale di “..E la nave va” di Fellini (l’affondamento della grande nave all’alba del primo conflitto mondiale) la cinpresa arretra oltre la cornice della scena e mostra la troupe intenta alle riprese: un cinema nel cinema con tanto di “medium” (il protagonista-voce narrante) che mette in contatto i due mondi dell’autore e dello spettatore.

Nel capolavoro di Alfred Hitchock La finestra sul cortile le cornici non si contano. C’è il protagonista, James Stewart, che è fermo su una sedia a rotelle e guarda oltre la cornice della sua finestra sul mondo-cortile dove si affacciano decine di altre cornici-finestre e spesso usa anche il teleobiettivo della sua macchina fotografica per restringere il campo e con lo zoom concentrare l’attenzione, la sua e quella dello spettatore su alcuni det-tagli. Eppure Hicthcock riesce, forse proprio per questo lavoro di “taglio”, a raccontare un intero mondo, un pezzo di vita in cui tutti possono riconoscersi (solitudine, amore, pietà, disperazione e speranza): nel particolare si cela l’universale.

Cristiano

Cristiano ha introdotto l’argomento dell’inquadratura in fotografia discutendo due approcci diametralmente opposti. Alcuni fotografi compongono l’immagine al momento della ripresa (e ritengono questo lavoro di composizione come parte essenziale del loro processo creativo); spesso, questa scelta è testimoniata dal bordo nero o irregolare dell’immagine sulla stampa. Un fotografo appartenente a questa prima categoria è John Free. Altri ritengono invece il “ritaglio” in camera oscura come una parte altrettanto legittima del processo fotografico. Questo lavoro di ritaglio rimane di solito sconosciuto allo spettatore, a meno che non emerga in qualche modo un provino. Ecco un paio di esempi (il “Chihuahua” di Elliott Erwitt e il ritratto di Igor Stravinsky di Arnold Newman):

Entrambe le scelte sono degne del massimo rispetto, ma è evidente che chi si avvicini alla fotografia conviene sia consapevole di queste due possiblità, visto che condizionano in modo piuttosto profondo il modo in cui si scatta e si “lavora” una foto.

Attraverso una breve esperienza pratica, si è poi discusso il modo in cui la figura umana viene presentata “dentro” una foto: quali parti del corpo possono essere “lasciate fuori”? Siamo portati a pensare che tutto ciò che è “importante” debba stare “dentro” (discorso che può essere esteso anche ad altre forme espressive), la testa innanzitutto. Eppure proprio la parte superiore del capo, nei ritratti, è spesso tagliata (ritratto di Jude Law di David Bailey):

Allo stesso modo, la parte inferiore del corpo è spesso trascurata. Ma Platon racconta a Mark Seliger la storia inusuale del ritratto che scattò a Bill Clinton (un ritratto fortemente polarizzato verso la parte inferiore dell’inquadratura):

La scelta dell’inquadratura (al momento della ripresa) o del ritaglio (in camera oscura o nel suo analogo digitale) ha un valore narrativo smisurato. Per esemplificare questo concetto sono state presentate – dalla più piccola alla maggiore – diverse versioni di una fotografia di Ed Feingersh che ritrae Mailyn Monroe:

Ogni “crop” ha una propria valenza narrativa, ma la fotografia reale del fotografo, quella più larga, è la versione che più delle altre racconta una vera e propria “storia”.

Altro tema ricorrente in fotografia è quello dell’inquadratura nell’inquadratura: spesso i soggetti centrali sono a loro volta inseriti in una cornice. A volte in modo esplicito (Elliott Erwitt)…

…a volte in modo implicito (Garry Winogrand)…

…a volte in modo quasi inapparente (Ansel Adams ritratto da Arnold Newman):

In ultimo, sono stati velocemente proiettati alcuni esempi di come il contenuto di una foto possa essere in relazione a qualcosa che ne è al di fuori – che è quindi “all’esterno” della cornice/inquadratura. Come in Bert Hardy:

Josef Koudelka (Praga, 1968):

e la celebre “Situation room” di Barak Obama (Pete Souza):

Tiziana

L’intervento di Tiziana affronta il tema cornice partendo dal concetto dell’anamorfismo o anamorfosi e prendendo spunto da un interessante articolo in rete sull’argomento.

L’intento è quello, attraverso l’illusionismo ottico, di confrontarsi con un’immagine che esonda rispetto alla cornice, la supera, la domina e la ingloba.

ANAMORFOSI o ANAMORFISMO è un effetto di illusione ottica per cui un’immagine viene proiettata sul piano in modo distorto, rendendo il soggetto originale riconoscibile solamente se l’immagine viene guardata da una posizione precisa.

Quando ci poniamo di fronte ad un’immagine, la vediamo come se fosse proiettata su un piano trasparente verticale.

Immaginiamo di osservare un triangolo verde collocato verticalmente, tale immagine corrisponde sia ad un triangolo realmente verticale che ad un lunghissimo triangolo orizzontale.

È possibile, quindi, realizzare delle immagini piane poste sul pavimento che appaiono svettare verso l’alto, o forme comunque distribuite su più superfici che si ricompongono solo se le osserviamo da un determinato punto di vista.

Quando nasce l’anamorfosi? Nel XVI sec. in concomitanza con la fioritura degli studi e delle applicazioni della prospettiva. I primi originali spunti su questo tema sono rintracciabili in Leonardo (una testa e un occhio, in particolare) mentre un allievo di Dürer, Erhard Schön (1491-1542), fu, in quell’epoca, il più prolifico realizzatore di questa nuova e bizzarra forma di disegno con i suoi ritratti anamorfici di personaggi illustri da osservare in modo radente.

Nella prima metà del Cinquecento l’anamorfosi ebbe grande fortuna nel Nord Europa in particolare perché utile strumento per l’interpretazione di significati nascosti di natura religiosa, politica o erotica. L’uso in chiave simbolica di figure anamorfiche inserite nei dipinti è testimoniato per la prima volta negli “Ambasciatori” del 1533, opera del tedesco Hans Holbein. Qui la figura che appare in basso al centro non è altro che l’anamorfosi di un teschio, simbolica allusione al trionfo finale della morte su tutte le attività umane, richiamate con la raffigurazione di strumenti della scienza e dell’arte e visibile solo ponendosi sul lato destro del quadro e a qualche metro di distanza.

Un esempio di grandi dimensioni, dell’età barocca, è un affresco lungo ben 6 m. dipinto da Emmanuel Maignan a Trinità dei Monti a Roma. Solo osservandolo di scorcio si può cogliere San Francesco di Paola in preghiera.

Un altro esempio è dato dalla cupola della Chiesa di Sant’Ignazio di Loyola, sempre a Roma. Andrea Pozzo, oltre agli affreschi sulla volta, offre uno sbalorditivo saggio della sua rigorosissima sapienza prospettica fingendo su una tela piatta circolare la presenza della cupola all’incrocio tra navata e transetto (da osservare da un punto preciso indicato nel pavimento). Portandosi esattamente sotto la cupola si può scoprire l’inganno: si tratta di un dipinto bidimensionale realizzato attraverso una prospettiva a quadro orizzontale.

L’anamorfosi ai nostri giorni è molto utilizzata dalla street art (seguono alcuni esempi) e anche da spot pubblicitari.

Gli esempi di spot pubblicitari sono tratti da Honda e da Vodafone (new Zealand).

https://www.youtube.com/watch?v=dNC0X76-QRI

L’esempio della street art 3D è un video sull’artista olandese Leon Keer e sulla sua creazione dell’esercito di soldatini Lego, ispirato dall’esercito cinese di terracotta rinvenuto nel 1974 e attualmente collocato nel Mausoleo del primo imperatore Qin a Xi’an.

Pensando all’illusionismo ottico non si può non citare Escher, in particolare la sua opera Relatività, dove la “costruzione”, l’edificio, impone e crea cornici continue che non limitano, ma dilatano.

A seguire un interessante video con animazione dell’opera citata di Escher.

Margherita

Nel romanzo “Se una notte d’inverno un viaggiatore” di Italo Calvino si ha un esempio dell’utilizzo della seconda persona come punto di vista della narrazione, per cui apparentemente l’autore si rivolge al lettore. Inoltre l’alternarsi dei capitoli in cui Calvino parla del lettore con quelli in cui si susseguono le diverse versioni di “Se una notte un viaggiatore” creano un effetto di “cornici nella cornice”. Ciò che risulta è che il lettore sembra essere in balia dell’autore.

Qui le scansioni dei brani letti.

 

Valerio

Proprio a partire dal discorso intorno all’inquadratura, si può agevolmente notare come a una maggiore ampiezza della cornice corrisponda un aumento delle informazioni che arrivano al fruitore. L’esempio è dato da due tavole del mangaka Shintaro Kago.

Nelle prime vignette osserviamo un volto e delle mani che lo toccano, sfiorano i capelli, indugiano sul mento: siamo portati a pensare che le mani appartengano all’uomo inquadrato.

Ma poi la tensione aumenta, le mani compiono movimenti innaturali; l’inquadratura si allarga e scopriamo che l’uomo è in realtà legato e subisce la violenza di due individui a lui identici.

Scattare una foto, disegnare una vignetta o raccontare una storia sono da questo punto di vista operazioni in tutto simili; si tratta in ogni caso di fissare una cornice, che delimiti l’ampiezza della narrazione, definendola rispetto a quanto rimane fuori. Risulta esemplare in tal senso l’esempio dell’Iliade, che inizia solo al decimo anno di guerra e che non arriva alla conquista di Troia. Più giocosamente ci si può chiedere cosa avverrà quando Willy E. Coyote riuscirà infine a raggiungere Beep Beep.

https://www.youtube.com/watch?v=7fdf51WV8G8

Vi è poi un’ulteriore cornice, data dal confine ‘materiale’ di un’opera. Un libro, prima di essere una storia, è – appunto – un libro, cioè un volume, con una copertina, una rilegatura e delle pagine. Esistono delle opere che, oltre a narrare una storia, denunciano e riflettono la loro essenza artificiale, proprio nel rimando a ciò che rimane fuori da esse. Lo spettacolo teatrale Il mistero dell’assassino misterioso si apre con un incidente di scena: uno degli attori ha un mancamento e sviene, cala il sipario e lo spettacolo è sospeso. Ma ecco che dal pubblico emerge uno degli attori, vestito da venditore di bevande, e si offre di sostituire l’attore, del quale – sostiene – conosce tutte le battute. Dall’incapacità di questo sostituto nascono tutte le gag che animano lo spettacolo.

https://www.youtube.com/watch?v=M7CpNSPpl84

L’opera che dialoga con quanto rimane ‘oltre la sua cornice’, può farlo in tre direzioni diverse. Può includere un rimando a un qualcosa o a un qualcuno (il fruitore o l’autore stesso). Il primo è il caso del dipinto Las Meninas di Velázquez, soprattutto nell’interpretazione data da Foucault al principio del saggio Le parole e le cose.

Il secondo – ossia l’inclusione del fruitore – è ben rappresentato dall’installazione Observance di Bill Viola.

Per quanto riguarda l’inclusione dell’autore, di là dalla tradizione artistica di inserire il pittore nel quadro (esemplare è il caso del dipinto Ritratto dei coniugi Arnolfini di van Eyck), il riferimento quasi obbligato corre, in letteratura, al gioco di scatole cinesi creato da Edgar Allan Poe all’inizio del romanzo Le avventure di Arthur Gordon Pym (qui nella lettura di Umberto Eco) e, nel cinema, alle disavventure di un Charlie Kaufman, sceneggiatore privo di ispirazione che decide di sceneggiare se stesso nel film Il ladro di orchidee.

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