Quando il signor G., prefetto della polizia di Parigi, entra nello studio di Dupin, l’investigatore ideato da Edgar Allan Poe, ha da sottoporgli una questione di massima segretezza. Afferma:
ve lo dirò in poche parole, ma prima di cominciare debbo avvertirvi che si tratta di cosa segretissima, e che perderei probabilmente il posto, se si venisse a sapere che l’ho confidata a qualcuno.
Una certa persona, la cui identità deve rimanere ignota, è stata derubata di una lettera dal ministro D. (“che osa tutto”), il cui contenuto, se svelato, sarebbe fonte di grande imbarazzo, o addirittura di rovina, per una “persona di altissimo grado”, di cui “si metterebbe in dubbio l’onore”. Chi ha trafugato la lettera adesso la detiene, nascosta, nella propria abitazione e la utilizza come mezzo di esercizio di potere sull’illustre persona. La lettera è certamente celata nella dimora del ministro, eppure nonostante gli operosi tentativi del prefetto G., non si è stati in grado di trovarla, né nel doppio fondo di un cassetto, né nelle cavità delle zampe delle sedie o dei mobili, né nei letti, nel cortinaggio, nelle tende, nei tappeti…
Tutta la vicenda è, per il lettore, offuscata dal mistero: misteriose sono le identità dei personaggi coinvolti, misterioso il contenuto della lettera, misteriosa la sua collocazione. Eppure, al contempo, tutto sembra estremamente chiaro: certamente la missiva è di natura amorosa e rivelatrice, dunque, di un sentimento coltivato tra una nobildonna e il gentiluomo derubato. E se la detenzione della lettera consente a un ministro di esercitare ancora più potere di quanto normalmente non ne abbia è segno inequivocabile che la dama in questione deve appartenere alla più alta aristocrazia, se non addirittura identificarsi nella regina di Francia. Tutto è segreto, ma tutto è rivelato, sin dalle prime righe del racconto.
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