Ricominciare

A settembre tutto ricomincia. L’estate ci abbandona con una certa discrezione, la scuola riprende, le vacanze terminano e il lavoro torna ad essere protagonista delle nostre giornate.

Come a dire che la routine riprende possesso di noi e del nostro tempo, quel bene prezioso che non ci stanchiamo mai di “adorare”, che vorremmo ottimizzare e mettere al centro di tutto.

Anche BombaCarta recupera la sua quotidianità e si prepara ad affrontare un nuovo anno con Officine, laboratori e con una gestione del tempo che richiede impegno, iniziativa, entusiasmo, volontà e disponibilità. Come si decide, si sceglie un tema? Nell’anno 2005-2006 il nostro tema fu Cose che bisognerebbe sapere e uno degli editoriali aveva come titolo: Come si fa a prendere una decisione? La scelta è piena di aspettativa: rischi, opportunità, tensioni fra desideri opposti…

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Ci rivediamo a ottobre!
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Pance impossibili e possibili surrogati

GREULOT, NACHI STULÒ me tengo ‘na
fame, ‘na sgandula che pe’ la desperasián u
zervèl me STRÒPIA A SGRÒLL. Deo che
fame! Gh’ho ‘na fame che me magnaría anca
un ögio (mima di cavarsi un occhio) e me lo
ciuciaria ‘me ‘n’òvo. (Succhia l’immaginario
uovo) Un’orégia me strancaria! (Fa il gesto di
strapparsi un orecchio) Tuti e dòi l’oregi
(esegue e li mastica con avidità) ol naso
cavaria. (Esegue) Oh, che fame tégno! Che
me enfrocarla ‘na man dinta la boca, ziò in
t’ol gargaròz fino al stomego e CAÒ IN
PRATOSCIÒ GUIU (mima tutta l’azione) e
stroncaria da po’ le bidèle, tute le tripe a
STROSLON FRAGNAO (mima di cavarsi le
budella tirandole fuori attraverso la gola,
quindi le arrotola sul braccio) STROPIAN
CORDAME – SRUTOLON.

“La fame dello Zanni”, Dario Fo

Inizia così “La Fame dello Zanni”, il monologo di Dario Fo all’interno del suo “Mistero Buffo” del 1969. Difficile descriverlo a parole, andrebbe visto ed ascoltato!

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La pancia

Le pancette sono sexy” dice Fabienne, sdraiata su un fianco, mentre Butch si toglie i vestiti di dosso. È uno dei celebri dialoghi à la Tarantino, di quelli che sembrano riempire uno spazio vuoto, e invece danno rotondità ai personaggi, li dipingono nei loro rapporti. Si tratta del discorso sulla “pancetta”, che restituisce un momento di dolcezza tra due personaggi di Pulp Fiction e, al contempo, ci consente di introdurre l’ultima parte del corpo da esplorare nelle Officine di quest’anno. Se lo scheletro è elemento di sostegno e struttura, la pancia invece è spia di bisogni, luogo da riempire, plasmare, proteggere.

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Incontro con il teschio, da elmo a confidente

La parte dello scheletro più ricca di richiami simbolici, religiosi, culturali è senza dubbio il teschio. La testa è in effetti la parte del corpo che più ci identifica e rappresenta la totalità dell’essere umano, la parte per il tutto. Non a caso, la tradizione celtica considerava il cranio come il fulcro centrale dello spirito.

È curioso notare che le parole teschio e cranio indicavano originariamente alcuni oggetti usati per contenere, proteggere o da collocare alle estremità.

Teschio deriva dal latino testulum che significa coperchio, vaso di terracotta e cranio deriva dal greco kranion (κρανίον) che significa elmo (divertenti i passi dell’Elogio della calvizie, V secolo d.C.,  in cui Sinesio di Cirene gioca proprio sul doppio significato cranio-elmo).

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Lo scheletro

Viva la vita

Larva convivialis, I secolo d.C.

Mentre noi dunque si beve, tutti in estasi in mezzo a quel lusso, arriva uno schiavo con uno scheletro d’argento, articolato in modo che le sue giunture e vertebre erano disnodate e flessibili in ogni senso. Come lo getta sulla tavola una prima e una seconda volta, e la catena guizzante assume pose diverse, Trimalcione commenta: «Ahi, che miseri siamo, che nulla a pesarlo è l’ometto! Così saremo tutti quel giorno che l’Orco ci involi. Perciò viva la vita, finché si può star bene.

È Petronio, nel capitolo 34 del suo Satyricon, ad aprire l’editoriale di questo mese sullo scheletro introducendo uno strano oggetto, la larva argentea. Detta anche larva convivialis si tratta di un piccolo manufatto in bronzo o argento che faceva la sua comparsa nei banchetti e nei momenti conviviali dell’antica Roma. Una presenza con il compito di ricordare a tutti che, prima o poi, si deve morire. Un monito a non esagerare con le libagioni ma anche una semplice esortazione a ricordare che la vita è breve. E che va assaporata in tutte le sue dimensioni.

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Lo sguardo negato

Nell’officina di marzo a tema Occhi uno degli esempi citati, parlando dello sguardo, è stata la storia di Amore e Psiche raccontata da Apuleio. Protagonisti sono il dio Eros e la bellissima Psiche, adorata quasi più di Venere sebbene sia una semplice umana. Il fascino che suscita negli uomini provoca, così, la vendetta di Venere stessa che ordina al figlio Eros di far innamorare Psiche dell’uomo più deprecabile che esista. Eros, però, rimane inavvertitamente vittima della sua stessa freccia, innamorandosi della fanciulla. Una volta presala in sposa e condottala nella sua dimora – dove tra l’altro ogni presenza è invisibile – le si palesa solamente di notte ed al buio, imponendole di non cercare in alcun modo di scoprire il suo aspetto.

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L’ombra

“Ferma! Non muoverti! Non muovere un muscolo, resta ferma dove sei. Riconoscerei questa sagoma dovunque… Mary Poppins!”.

In questa scena dell’iconico film Mary Poppins, Walt Disney ci dimostra che si può conoscere così bene una persona tanto da poterla identificare dall’ombra che proietta, proprio come fa lo spazzacamino Bert quando quella di Mary Poppins si incastra in uno dei suoi disegni sul marciapiede.

Tuttavia, tranne in particolari casi specifici dove i soggetti sono famosi, riconoscere un’ombra non sempre è così semplice.

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