
Scriveva Chesterton che «un’avventura è solo un incidente considerato nel modo giusto; un incidente è solo un’avventura considerata nel modo sbagliato». Chissà se si può dire lo stesso anche dei buchi. Quando parliamo di “buchi della trama”, infatti, ci vengono subito in mente gli errori, le dimenticanze, le incongruenze, qualcosa che è sfuggito al controllo dell’autore. Qualcosa da coprire, magari “mettendoci una pezza”, come si dice a Roma, se non che la toppa finisce spesso per essere ancora più evidente del buco (pratica che sconsiglia perfino il Vangelo, cf. Luca 5,35-36).
Eppure in ogni tessuto i buchi sono una parte costitutiva. Nell’intreccio di ordito e trama, si alternano spazi vuoti minimi, ma necessari. Con l’inizio dell’estate ce ne rendiamo conto ancora meglio: ci vestiamo di cotone o di lino, cerchiamo tessuti leggeri, traspiranti, che permettono all’aria di attraversarli. Viceversa, se una veste è perfettamente compatta, magari come una cerata, diventa impermeabile: perfetta per affrontare giusto il tempo di un acquazzone, ma da togliere poi appena possibile. Scrive Isabella Ducrot, artista che ha messo al centro delle sue opere proprio le stoffe:
Non sembra esagerato suggerire che la compattezza implichi assenza di spirito. In un tessuto, l’invisibile, ingabbiato tra le pareti visibili dei fili, partecipa attivamente alla sua specificità e all’articolazione fra vuoti e pieni si deve la sua duttilità: così due elementi essenzialmente eterogenei vengono a convivere e producono qualcosa di paragonabile a un respiro incarnato (La matassa primordiale).
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