Aria e acqua

Invisibile non è sinonimo di immateriale e nemmeno di impercettibile. Dove la vista – il nostro senso meglio sviluppato – non arriva, non è detto che non possano però giungere gli altri sensi. Non vediamo gli odori nel nostro naso, la brezza che ci accarezza la pelle, l’aria nei nostri polmoni, ma dubitare della loro esistenza non è neanche immaginabile. 

Ma non solo: i venti sostengono il volo degli aerei e permettono alle barche di muoversi, l’aria rende possibile la vita e così ridiventa in qualche modo visibile grazie ai suoi effetti. Per questo l’aria è per l’umanità il simbolo, l’esempio più concreto di tutto ciò che, seppur non osservabile, ha comunque conseguenze innegabili nelle nostre esistenze.

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BombaCalendario

Officina di espressioni creative
Sabato 21 giugno: ore 15.00-18.00
Via di Porta Pinciana, n. 1 (Roma)
Tema: Cercare l’invisibile – Aria e acqua
Laboratorio di lettura O’Connor
Giovedì 19 giugno: ore 19.00-20.30

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Essere, o non essere, sé stessi

Ha trascorso tutta la sua vita incarnando il profilo del perfetto maggiordomo: impeccabile, fedele, impassibile e distaccato da qualunque evento, effimero o epocale, che gli accadesse intorno… Al tramonto della vita, l’ormai anziano Mr. Stevens, protagonista del romanzo Quel che resta del giorno, si accorge con rammarico di essere stato un eccellente servitore ma forse di non essere mai stato sé stesso, con le proprie emozioni (sempre accuratamente celate come dovrebbe fare un perfetto maggiordomo), i propri sentimenti (mai realmente indagati), le proprie opinioni (di fatto, inesistenti) e, soprattutto, con i propri errori. Dice infatti Mr. Stevens:

Non posso nemmeno affermare di aver commesso i miei propri errori.  E davvero – uno deve chiedersi – quale dignità vi è in questo?

Fuori era un perfetto maggiordomo, ma dentro chi era veramente? Chi avrebbe voluto essere? Forse non se lo è mai chiesto, non ha mai scelto chi essere dentro, e non solo fuori, eppure, in un istante si rende conto di averne terribilmente bisogno. Avere il coraggio di fare delle scelte, di tentare un percorso, di fare esperienze e, perché no, di compiere i propri “errori” (qualunque cosa si intenda con essi- cosa è un errore, non nella grammatica, ma nella vita?) è come l’acqua e l’aria: è essenziale per vivere davvero.

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[Report] Officina di aprile 2025

Nell’ambito dello sviluppo del tema annuale, “Cercare l’invisibile”, il binomio costituito dal dentro e dal fuori consente di indagare differenti tipologie di invisibilità, in dialogo tra loro. Se appare di maggior evidenza l’occultamento di “ciò che è dentro” (dentro una scatola, dentro una stanza chiusa, dentro un giardino murato…), più difficile può sembrare l’individuazione di “ciò che è fuori”. Eppure, “il dentro e il fuori” risultano quali elementi in costante dialogo reciproco: se un muro nasconde quel che si colloca al di là dello stesso, tale evidenza assume carattere di verità sia in un senso che nell’altro. Di conseguenza, potremmo dire che come ciò che è dentro risulta invisibile all’esterno, ugualmente ciò che è fuori risulta invisibile all’interno. Ecco dunque che parlare di “dentro e fuori”, diviene una questione di confine: potremmo similmente parlare di “al di là e al di qua”.

Secondo tale prospettiva, può risultare significativo un ulteriore binomio: lo specchio e la finestra. Se il primo consente al soggetto di guardare se stesso, volgendosi dunque all’interno, la seconda permette invece di osservare al di là del confine tra dentro e fuori. Lo specchio ci mostra le cose che sono al di qua, la finestra quelle che sono al di là. Lo specchio è superficie riflettente, la finestra è apertura sulle cose. Entrambi, talvolta, si possono rompere.

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[Report] Officina di marzo 2025

Il tema di ciò che si perde si inserisce perfettamente nel solco di quella ricerca dell’invisibile che caratterizza l’anno di BombaCarta. Le “cose smarrite” nel tempo e nello spazio, d’altronde, appartengono alla sfera di ciò che esiste in un altrove, sottratto alla vista del soggetto. Eppure, proprio nel soggetto, trovano una loro eco, una risonanza, un’impronta, una differente rappresentazione di ciò che furono, sono o saranno. Durante l’Officina abbiamo cercato di indagare il rapporto tra chi perde qualcosa e la cosa smarrita, declinando al contempo “quel che si perde” nelle diversificate possibili categorie e significati che ognuno può esperire nel corso della propria esistenza.

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Il dentro e il fuori

dentro e fuori

Non dovrebbe costituire eccessivo azzardo affermare che la letteratura del Novecento, soprattutto nella sua prima metà, sia stata – sia pur non nella sua interezza – soprattutto letteratura dell’io e della vita interiore. Lo è stata nell’indagine del rapporto tra memoria e tempo con Proust, Woolf e Joyce, nella ricerca esistenzialista di un senso con Sartre e Camus, nella introspezione psicoanalitica con Musil, Svevo, Kafka e Pirandello. E certamente l’elenco potrebbe essere ancora lungo. All’avanzare della grande Storia, che pure si affaccia prepotentemente nella letteratura novecentesca, corrispondono i resoconti di piccole storie, vite di individui fatte di monologhi dell’io, flussi di coscienza, esplorazioni dei luoghi interiori.

Scrive Virginia Woolf in Gita al faro:

Pensava che la mente dell’uomo era un luogo misterioso, pieno di ombre e di nascondigli, dove si celavano desideri inconfessati e segrete disperazioni“.

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Quello che si perde

Ci pensi ogni tanto alle rane?, domanda Francesco Bianconi al suo amico di infanzia in un testo intriso di nostalgia sulla giovinezza perduta e il tempo che ci sfugge, pur conservando i propri segni. Nella canzone Le rane dei Baustelle, la prospettiva assunta è quella di chi ha abbandonato da tempo la provincia, presumibilmente per trasferirsi in città, e parla al suo compagno di giochi, ormai lasciato indietro insieme alle fantasie che animavano le loro giornate estive.

Ogni esistenza ha le proprie rane, simbolo di una spensieratezza ormai trascorsa, gioco su cui si indugiava da ragazzi, perduto insieme alle speranze e all’innocenza (“ti sei sistemato? che prezzo hai pagato?”). Le rane rappresentano i nostri ricordi felici, quelli che, una volta recuperati dall’antro polveroso della memoria, consentono a Robin Williams/Peter Pan di tornare a volare in Hook di Spielberg. Ma anche quelli che possono farci cadere nella disperazione, come ricorda il grido doloroso di Moretti in Palombella rossa:

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