Dicesi passeggiata il “cammino compiuto per diporto o per esercizio igienico, spesso in compagnia di una o più persone e senza meta fissa; talvolta associato a un’idea di facilità”. La definizione è del dizionario Devoto-Oli.
Cos’è dunque la passeggiata? Un cammino senza meta. Basta così? Tutto qui? Certo, dopo i grandi discorsi della vita intesa come viaggio e al viaggio inteso come figura della vita nel suo complesso, parlare di passeggiata sembra quasi inopportuno: è una figura che appare troppo “debole”. La passeggiata non richiede grandi decisioni né grandi sforzi.
Eppure Ignazio di Loyola, il santo spagnolo del XVI secolo, non faceva alcuna fatica a trovare anche nel pasear, cioè nel paseggiare, una metafora per l’esercizio spirituale. Per lui il passeggiare è comunque un “esercizio”. Ma a che scopo? A che serve passeggiare? Solo a rilassarsi, a distendersi? Sì, “serve” solo a questo, in effetti.
Ma non finisce qui. Se l’uomo si rilassa e si distende, allora si apre. Non più teso in uno sforzo con un obiettivo preciso o una meta prefigurata, chi passeggia può ritrovarsi preparato e disposto a ricevere qualunque novità: a vedere il mondo con occhi nuovi, ad accorgersi di ciò che esiste (al di là del suo immediato interesse), a scoprire nuove relazioni tra le cose,… La passeggiata dispone l’animo all’arricchimento improvviso o insospettato in un libero confronto tra l’uomo e il mondo, fino a raggiungere i “fiori lontani” (Luciano Erba).
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