Occhi

Una volta mi hai detto che l’occhio umano è l’invenzione più solitaria di Dio. Tutto il mondo che attraversa la pupilla eppure la pupilla non trattiene niente. L’occhio, da solo nella sua orbita, non sa neanche che ce n’è un altro proprio come lui, a pochi centimetri di distanza, altrettanto affamato, altrettanto vacuo.

Così parla dell’occhio Ocean Vuong nel suo romanzo Brevemente risplendiamo sulla terra.

L’occhio è uno dei modi in cui noi accediamo al mondo ed è il punto in cui il mondo entra ma non ci resta. La vista contiene ma non trattiene, come un vaso dal fondo bucato in cui possono scrosciare cascate d’acqua ma non vi rimane, alla fine, nemmeno una goccia. Per questo sistemiamo quello che vediamo, guardiamo, osserviamo, nei due contenitori – in questo caso specifico dovremmo coniare la parola nuova “trattenitori” – per eccellenza, protagonisti della scorsa Officina: cuore e cervello.

1. Gli occhi come un varco

“Santa Lucia, per tutti quelli che hanno gli occhi e un cuore che non basta agli occhi” scrive De Gregori nella sua canzone dedicata alla protettrice della vista. Quante volte ci sembra che il nostro cuore non riesca a sopportare il peso di quello che vede o ri-vede: una sofferenza inaudita; una crudeltà disumana; un desiderio impossibile; un’occasione persa; il viso di un amore non corrisposto. “Non riesco nemmeno a guardare” e chiudiamo gli occhi o distogliamo lo sguardo per interrompere la connessione tra noi e quella scena.

Gli occhi infatti non sono solo un sentiero che porta dentro di noi, ma anche un passaggio per esternare qualcosa che ci cresce nel profondo. I nostri sentimenti, le emozioni, le sensazioni. “Uno sguardo vale più di mille parole”.

Nel dipinto di Alexandre Cabanel, L’angelo caduto, è raffigurato Lucifero dopo essere stato cacciato da Dio dal paradiso ed esiliato negli Inferi. Non ci occorre vedere il suo viso, che affiora appena dalle braccia, per capire cosa stia provando perché è il suo sguardo che racconta. Gli occhi sono ridotti a due fessure ma si percepiscono tutta l’ira, la tristezza, la sofferenza e la follia mescolate in quella lacrima che simile ad una perla si stacca dall’occhio destro. Si crea così sulla tela uno spiraglio nell’intimità di Lucifero.

Non solo la presenza, ma anche l’assenza degli occhi può diventare elemento cardine all’interno dell’arte. Amedeo Modigliani annovera tra le sue opere molti ritratti femminili che non hanno gli occhi. Il pittore afferma che «Gli occhi sono lo specchio dell’anima. Dipingerò i tuoi occhi, soltanto quando avrò conosciuto la tua anima». Dipingere gli occhi vuol dire entrare in una sfera più personale e profonda del soggetto oltrepassando quel limite tra superficialità ed interiorità, corpo e anima. Le orbite vuote passano dal poter essere una finestra aperta sull’interno ad un passaggio bloccato allo sguardo altrui.

2. Gli occhi come controllo e protezione

“Lontano dagli occhi, lontano dal cuore” recita la saggezza popolare e in questa semplice frase si legge un concetto molto chiaro: gli occhi garantiscono il controllo. In questo caso specifico si parla di controllo su noi stessi, sulle nostre emozioni, ma ben più forte è la situazione speculare.

«Rinchiuso nella sua fortezza, il Signore di Mordor vede tutto. Il suo sguardo trafigge nuvole, ombre, terra e carne. Sai a cosa mi riferisco, Gandalf? Un grande occhio senza palpebre avvolto nelle fiamme.»

Ne Il Signore degli Anelli, Saruman parla a Gandalf del risveglio del Potere del Signore Oscuro, Sauron, che dalla sommità di Barad-dûr, sotto forma di un occhio, esercita potere e paura sulla Terra di Mezzo. Non c’è nulla che possa sfuggire al controllo del grande occhio. 

Un altro “Occhio che tutto vede” è identificato con “L’Occhio della Provvidenza” che rappresenta Dio come protettore dell’umanità. Lo scrittore Mark Twain lo descrive in questo modo: «L’occhio comune vede solo la parte esteriore delle cose, e giudica in base ad essa, l’occhio che tutto vede invece, attraversa le cose leggendo cuore e anima, trovando lì capacità che all’esterno non sono percepibili e non rilevabili da chi sprovvisto di questo dono». La sua visione è in termini di “capacità”, dono di andare oltre la superficie delle cose, più che di simbolo di divinità.

Molte altre culture adottano gli occhi per indicare sorveglianza, protezione ed attenzione, come l’Occhio di Horo e il Nazar.

3. Occhi e Destino

Se gli occhi ci permettono di affacciarci sul mondo e di controllarlo, riusciamo anche a vederne la Verità?

EDIPO – Tu Tiresia che anche cieco vedi bene i segni e i segreti terreni e celesti. Vedi bene il morbo che ci affligge. Febo ci manda a dire che scamperemo solo se verrà punito l’uccisore di Laio, con la morte o con l’esilio. Siamo nelle tue mani. Salvaci salvando te stesso. Dicci qualunque voce ti provenga o altre magie, perché giovare al proprio prossimo con qualunque mezzo è il compito più bello dell’uomo. Ma mi sembri abbattuto, che c’è?

TIRESIA – Ah, com’è grave avere senno quando chi l’ha non se ne giova. Lasciami andare a casa, dà retta a me che è meglio per tutti. […]

EDIPO – No, adesso devi parlare. L’ira che mi invade mi suggerisce tu possa essere coinvolto nella tresca. Non solo, penso che se avessi vista, l’unico assassino saresti tu.

TIRESIA – Ah si? Allora ti dico che tu non puoi più rivolgerti a questa gente. Perché quell’empio sei tu. Tu sei quell’assassino che cerchi e ora attieniti al tuo editto.

EDIPO – Pensi di potermi dire questo impunemente. Attento a te se mi oltraggi ancora.

TIRESIA – Sei tu che mi hai spinto a dire mio malgrado. Vuoi sentire altro che faccia crescere la tua ira? Bene, senza saperlo hai coi tuoi cari un commercio turpe, né sai l’infamia a cui sei giunto.

EDIPO – Che cosa? Fammi capire, ripeti. No, in te verità non c’è. Tu sei cieco negli occhi e nella mente. È una trovata tua, Creonte? La notte ti nutre ma non farai danno né a me né ad altri vedenti. […]

TIRESIA – Anche se tu sei re, mi spetta il diritto di risponderti da pari a pari perché io non sono tuo schiavo ma di Apollo. Non sarà Creonte il mio protettore, e dal momento che mi hai rinfacciato anche la mia cecità, allora ti dico: sì, tu hai gli occhi, ma non riesci a vedere in quale miseria sei caduto, né dove abiti, né con chi vivi. E sai forse da chi sei nato? Lo staffile doppio della maledizione, e di padre e di madre, ti caccerà da questa terra con piede inesorabile. Adesso guardi dritto ma presto non vedrai che tenebra.

{Edipo Re, Sofocle}

Una storia nota quella di Edipo che in dialogo con Tiresia, veggente cieco, finalmente apre gli occhi e conosce la Verità che gli è sempre stata davanti, nascosta in bella vista: lui è un assassino e Giocasta sua moglie è anche sua madre. In Sofocle. L’abisso di Edipo, Giulio Guidorizzi riprende le parole di uno sei servi per raccontare l’arrivo di Edipo a casa dopo aver appreso la verità da Tiresia:

Urlando in modo spaventoso come se qualcuno lo guidasse, si avventò sulla porta della camera, la divelse dai cardini e irruppe dentro. Fu allora che vedemmo la donna [Giocasta]. Si era impiccata, soffocata tra un intrico di lacci. Scorgendola, infelice grida come un animale disperato e allenta il cappio sospeso. Appena la sventurata fu a terra, accadde la cosa più orribile che si potesse mai vedere: Edipo sfila dalla veste le fibbie d’oro di cui era adornata, le leva alte sopra il capo e se le pianta nelle pupille e urla che mai più quegli occhi avrebbero visto il male che aveva fatto e subìto, ma d’ora in poi avrebbe cercato nel buio coloro che non aveva saputo vedere e riconoscere. Con queste maledizioni si trafisse più e più volte, squarciando le palpebre dai bulbi. Sprizzava sangue sulle guance, non poche gocce rosse ma una pioggia scura, una grandine continua di sangue.

Edipo, cieco nell’animo, decide di togliersi per sempre quegli occhi che invece di seguire un cammino di luce si erano rifugiati nella tiepida ombra.

Il destino ancora una volta si è compiuto e ci attende, guardandoci, sull’uscio delle nostre vite. 

Escher e Pavese ce lo ricordano nelle loro opere: la fine non solo può arrivare abitando lo sguardo di un amore finito, ma è anche dentro i nostri occhi.

Verrà la morte e avrà i tuoi occhi

questa morte che ci accompagna

dal mattino alla sera, insonne,

sorda, come un vecchio rimorso

o un vizio assurdo. I tuoi occhi

saranno una vana parola,

un grido taciuto, un silenzio.[…]

{Verrà la morte e avrà i tuoi, Cesare Pavese}
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