Sorridere alla vita

«La più semplice verità sull’uomo è che egli è un essere veramente strano: strano quasi nel senso che che è straniero a questa terra […] solo, fra tutti gli animali, è scosso dalla benefica follia del riso; quasi avesse afferrato qualche segreto di una più vera forma dell’universo e lo volesse celare all’universo stesso».

Questa affermazione tratta da L’uomo eterno di Chesterton mi viene in mente al termine della terza visione del film L’albero della vita di Terrence Malick, proprio nella sua ultima immagine, quando sullo schermo si vede Sean Penn che scende dall’ascensore e, prima disorientato, poi si guarda intorno e appunto accenna ad un mezzo sorriso, come a evidenziare il fatto di aver colto quei segreti dell’universo raccontati per oltre due ore di grande spettacolo dal film di Malick (un film che, proprio per questo, necessita di almeno due se non tre re-visioni). Da un certo punto di vista il film parla solo di questo: inizia con Sean Penn-Jack che si sveglia e va in ufficio, nel giorno che ricorda l’anniversario della morte prematura del fratello più giovane. Jack viaggia con i ricordi che vanno anche nelle regioni che si trovano “prima dei ricordi” (così chiede uno dei tre figli, da bambino, alla madre nel momento di andare a dormire: “mamma, ci racconti storie di prima dei ricordi?”) e lo spettatore viaggia dietro questi ricordi e queste immagini dall’inizio dei tempi sino alla fine del mondo e alla risurrezione dei corpi. Ma tutto questo in realtà dura pochi secondi, perché alla fine si vede Jack che esce dall’ufficio e appunto mostra di essere colto da quella intuizione di un segreto afferrato e poi nuovamente celato, ri-velato (e per questo sorride). E sorrido anch’io, grato a Malick di questo film assurdo e coraggioso che ci ha regalato uno dei momenti più intensi di questo 2011 ormai al declino.

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