La città e il fascino dei suoi mille volti

comic_cityDella città ho sempre amato la capacità di unire aspetti opposti e apparentemente inconciliabili. Antichissima e contemporanea, a volte solo vecchia e contemporanea, bella o brutta, bella e brutta insieme, nodo di cose e persone, centro e periferia, punto di partenza e d’arrivo. Per definizione opposta alla campagna, eppure capace di accoglierne brevi tratti; non è un paese, ma molti suoi quartieri sono per gli abitanti come campanili; è di chi ci abita o di chi passa soltanto, ma è anche la mia città, la tua città; non è più chiusa nelle sue mura, ma dilagante, pronta a fagocitare i centri vicini per costruire la supermegalopoli del futuro: la storia inizia con la città, con la città avrà fine? Ho agitato un finale apocalittico e subito mi vengono in mente le immagini di Metropolis, di Fritz Lang, la lugubre utopia di una gigantesca metropoli-fabbrica, alimentata da operai-schiavi, che si conclude inopinatamente con una riconciliazione tra l’olimpo dei ricchi e il sottoproletariato.

IV millennio a. c., Mesopotamia. Nella società primitiva, dove tutto era in comune, agricoltori, pastori, mercanti e artigiani sostituirono l’orda dei cacciatori (vedi Il più grande uomo scimmia del Pleistocene, di Roy Lewis), si crearono gruppi organizzati secondo la divisione del lavoro e nacquero le prime comunità cittadine e le classi sociali. Più o meno contemporaneamente, sorsero altre civiltà urbane, nella valle dell’Indo, lungo il corso del Fiume Giallo e del Fiume Azzurro. Il fiume! Presenza costante nella vita delle città e nell’immaginario comune: Roma, Firenze, Torino, Parigi, Berlino, New York, cartoline fluviali che contraddicono spesso reali condizioni di degrado. Come non pensare al Tevere, ai gemellini fatali Romolo e Remo, che abbandonati alla corrente in una cesta, come Mosé, come Sigfrido, si fermano ai piedi del Campidoglio (una volta il fiume passava di lì), e alla storia di Roma, dell’Urbe, la città per antonomasia, quella che si scrive con lettera maiuscola, quella che molto tempo fa è stata a capo del mondo e ancora ne conserva a volte la spocchia, senza prendere atto di essere ormai periferia. È un racconto del quale fanno parte anche le scoperte degli archeologi, a loro volta un racconto, non sappiamo quanto fantastico (La storia di Roma raccontata da Andrea Carandini).

Ma in Grecia, ancor prima che a Roma, è  nata l’idea stessa che noi abbiamo della città e dei cittadini. La polis greca è, prima che un insieme di edifici, un gruppo di uomini al suo interno sovrano e all’esterno indipendente, e il  polites  è l’uomo inteso come cittadino, non più suddito di un monarca, ma membro attivo della sua comunità, che ha il dovere di difendere e di cui deve rispettare le leggi che egli stesso si è dato, insieme agli altri cittadini. Nei Persiani di Eschilo si dice degli ateniesi che “di nessun mortale essi sono chiamati servi, né sudditi”. E qui sta il punto, perché poi tutti quelli che sono considerati “servi e sudditi”, tutti i popoli la cui vita associata segue  altre vie, diventano “barbari”, stranieri, alla lettera balbuzienti, incapaci anche solo di parlare correttamente. Dalla polis deriva la politeia, la politica, quello che concerne l’amministrazione dello stato nei suoi concetti teorici e pratici. Nel mondo romano la parola troverà una corrispondenza nei termini latini civitas e res publica, che rispettivamente indicano il diritto di cittadinanza (intesa come appartenenza a un organismo che garantisce precisi diritti ai suoi cittadini) e lo stato e il suo governo. E di nuovo, all’origine delle parole “civiltà” e “civile” c’è il civis, il cittadino contrapposto al barbarus, chi conosce le regole della società, e partecipa alla sua organizzazione, contrapposto a chi vive al di fuori di tutto questo.

tokio-yokohamaOggi la vita di gran parte degli abitanti del pianeta si concentra nelle città. Io stessa vivo in una metropoli che ha milioni di abitanti, ma faccio fatica a immaginare quello che sembra essere il futuro prossimo, la megalopoli, una vasta regione che  riunisce città diverse estese fino a diventare un’unica area omogenea. Un fenomeno che riguarda soprattutto i continenti extraeuropei: è una megalopoli, con trenta milioni di abitanti (la metà, grosso modo della popolazione italiana), l’area giapponese di Tokio, Yokohama e Kawasaki, ma ci sono in Cina città altrettanto grandi di cui nemmeno conosciamo il nome, e in Italia qualcuno ipotizza una Milano-Torino-Genova.

Tutto questo mi spaventa, per quanto appaia come una strada ormai segnata, dalla quale sarà difficile fuggire. Sono nata e ho sempre vissuto in città, non so immaginare come sarebbe la mia vita in un altro luogo, ma della città, lo ammetto, ho forse sempre conosciuto il lato più rassicurante e tranquillo, più borghese. A me piace il mio quartiere, che sento protettivo e dove torno la sera come si torna in un paese, e nello stesso tempo mi piace poterne uscire, riuscire a perdermi quando ne sento il bisogno. Amo spostarmi a piedi, percorrere chilometri per le sue strade godendone la bellezza o arrabbiandomi per quello che non va, amo nonostante tutto la vitalità e la bellezza delle periferie, anche di quelle più degradate. Dal 2006, presso la facoltà di architettura dell’Università di Roma Tre, il professor Francesco Careri tiene un corso sulle Arti Civiche; il corso si svolge interamente camminando e interagendo con i fenomeni urbani emergenti. Leggo dal sito della facoltà che “il corso è esplorazione e riappropriazione della città. Insegna l’arte della scoperta e della trasformazione e propone il camminare come modalità di ricerca. Opera nella città alla scala 1:1, come azione fisica nell’ambiente urbano. L’obiettivo è riattivare negli studenti le loro innate capacità di trasformazione creativa dello spazio in cui abitano, di ricordargli che hanno un corpo e delle mani con cui lo possono modificare, e delle capacità relazionali e conviviali per incontrare i cittadini. È un corso peripatetico, che si compie interamente camminando“. Peccato non potersi iscrivere subito! Tra le tante iniziative del collettivo Stalker, fondato nel 1995 dallo stesso Careri, figura anche un giro del Grande Raccordo Anulare di Roma (per vedere alcune immagini da uno dei percorsi del Collettivo Stalker, cliccare sui seguenti link: [stk1] [stk2] [stk3] [stk4] [stk5] [stk6]) . Sull’argomento Niccolò Bassetti e Sapo Matteucci hanno scritto un libro intitolato Sacro Romano Gra, da cui è stato tratto il documentario Sacro GRA, di Gianfranco Rosi, che nel 2013 ha vinto il Leone d’oro a Venezia.

stalker_01A me piace osservare come in certe periferie la città si mescoli caparbiamente alla campagna. Usciamo dalla Tangenziale e prendiamo una vecchia Periferica che ci porterà ai quartieri dormitorio. È uno stradone delimitato da due terrapieni di immondizie, su cui stormi di gabbiani strillano la loro gioia di mendicanti. Sopra i terrapieni fioriscono ingegnose soluzioni al problema alloggi. Per primo incontriamo il Grunding Village, dove la gente vive dentro gli scatoloni dei televisori. Più in là c’è Tubopoli, dove si abita dentro le vecchie condotte del gas. Dopo Tubopoli c’è Camperland, la città semovente, e poi la zona degli Orti Miracolosi, dove alcuni vecchi artisti del settore ritagliano centimetri quadrati di cavoli e patate in mezzo alle erbacce e al catrame. Al chilometro ventotto c’è un orto famoso perché il proprietario riesce a far crescere banane sotto un cartellone pubblicitario dell’Air Sudan. (Baol, Stefano Benni). Mi piace anche vedere che qualcuno pianta degli alberi negli spazi vuoti dove altri alberi sono stati tagliati, prima che vengano chiusi col catrame. Nella mia strada il signore degli alberi si preoccupa di guidarli nella crescita e di potarli: io faccio le poste per conoscerlo, ma finora sono riuscita solo a parlare con uno che l’ha visto e che lo saprebbe riconoscere… Chissà, magari per l’ombra estiva e per i fiori dei suoi alberelli rischia anche la multa!

Dal 2007 la popolazione delle città supera quella delle campagne, l’urbanizzazione aumenta quasi ovunque, conseguenza della speranza dei migranti di uscire dalla povertà: non sempre questo accade e molti si trovano a vivere nelle bidonvilles,  ai margini o all’interno delle megalopoli. Ai migranti per ragioni economiche si aggiungono i milioni di persone in fuga da guerre, persecuzioni, torture e violazioni dei diritti fondamentali: camminano per le strade di città che sono spesso ostili, pur rappresentando per loro (ancora una contraddizione) la salvezza. Abbiamo riconosciuto, almeno sulla carta, i diritti umani, ma la cittadinanza, ovvero la pienezza dei diritti, è rimasta come nel passato remoto legata all’origine, al sangue, nei casi migliori al luogo. La crescita impetuosa delle città porta con sé problemi che in futuro diventeranno sempre più grandi, primo fra tutti la povertà delle aree urbane, e poi la gestione del traffico, dei rifiuti, l’eccessivo consumo di energia, etc.  etc. Anche se sono sicura che l’umanità saprà trovare  soluzioni adeguate, non so davvero ipotizzare quali.

Editoriale di Laura Tanchis Manconi

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