La poesia della vita

“Una folla di poeti / stanchi / con le corone d’alloro / tra le mani” è quella che viene incontro all’autrice quando inizia a scrivere le sue poesie… È il peso della tradizione letteraria, ormai “stanca”, in declino verso l’esaurimento di ispirazione, di risorse espressive, disperse nell’allontanamento dalla realtà della vita e vanificate dagli autoreferenziali funambolismi espressivi. In aiuto alla poesia ormai può solo venire la normalità del quotidiano. Infatti questa “folla” si rivolge all’autrice dicendole “Ragazzina […] ci prepareresti una torta di mele? / A forza di dire che non esiste / abbiamo dimenticato / la ricetta. / Ancora però / ne sogniamo / il sapore”. Questi poeti, che hanno tolto dalla loro testa “le corone d’alloro” e le tengono più modestamente “tra le mani”, sono gli epigoni dei “poeti laureati” di montaliana memoria, che finalmente si rendono conto della loro inadeguatezza, dovuta all’aver dimenticato che la poesia non si alimenta di se stessa, non nasce dalla finzione e non si può esprimere con la gratuità verbale, ma ha le sue radici d’ispirazione nell’autenticità della vita, quindi nella dimensione quotidiana, perché solo quest’esperienza è vera, in quanto è quella soltanto che tutti viviamo, sulla quale ci si può incontrare e soffermare in uno scambio comunicativo.
Il nucleo autentico ed originale della poetica e della poesia di Elena Buia Rutt, che trova espressione efficace e compiuta nella breve, ma significativa, silloge Ti stringo la mano mentre dormi (Fuorilinea, Monterotondo (RM) 2012, pref. di Antonio Spadaro, postf. di Claudio Damiani) sta appunto nella consapevolezza che la vera poesia nasca dalla vita vera, perché la vita è in sé e di per sé un’esperienza che continuamente meraviglia e stupisce, per cui proprio da questa meraviglia e da questo stupore può derivare l’ispirazione per la creazione poetica.
Metafora della vita che è sempre un prorompere è “il tronchetto della felicità”, che anche se “umiliato / dall’ombra / di lutti / e ricapitolazioni” può stupire in un giorno qualunque con “Il vaso / spaccato / dallo slancio / delle radici”. In quest’immagine c’è anche la consapevolezza che la vita vera sia nell’oscurità e nel nascondimento del terreno in cui affondano le radici e non nell’effimero e magari vistoso dispiegarsi delle foglie, destinate ad ingiallire, appassire, cadere. Per questo è nel terreno e nel terrestre che bisogna affondare le mani per capire la verità, in quanto sono “Le palme delle mani / radici / rivolte verso il cielo”. Da questo contatto con l’autentico dell’esistenza promana l’aspirazione alla verità, il pensiero della quale si insinua prepotente nella quotidianità, per cui l’idea di Dio può farsi strada come richiamo nel silenzio degli impegni domestici: “In un sonno / senza riposo / impigliata nei panni / da stirare / – chissà quando / forse domani – mi accorgo di Te”. Proprio questo essere “impigliata” nella realtà del quotidiano dà all’autrice la possibilità di aperture su un’altra dimensione, perché è un quotidiano fatto di quelle condivisioni e comunioni che nascono nella famiglia e che quindi danno senso alla normalità e forza per proseguire anche nella stanchezza e nelle difficoltà di ogni giorno: “una forza indissolubile / ci unisce / e ci sbilancia / in avanti e in alto / acrobati-operai / sulla maestosa impalcatura / di una bellezza / inspiegabile a noi stessi”. La poesia della dimensione familiare tocca la sua vetta nel delizioso quadretto di serale ricomposizione domestica nella lirica La porta: “E anche stasera / entri stanco / dalla porta / sbilanciato dai libri / e dal sollievo di essere / a casa. / E i bambini / ti si arrampicano sulla giacca / che sa di strada, / l’acqua bolle / la più piccola piange / e qualcuno – forse te / non accusare me – / ha di nuovo perso le chiavi / del garage. / Eppure / sera dopo sera / vivo in attesa / che questa porta si apra / che ci stringiamo le mani / che la giornata si compia”. Ma quest’esperienza di vita tocca il suo punto più alto nella lirica Gravidanza ed in altri accenni alla maternità, sentita come consolante perpetuarsi della vita, come conferma di senso ed autenticità dell’esistere, al di là delle apparenze: “vedo il piede / della tua dolcezza / schiacciare deciso / ogni surrogato / di vita”.
Cogliere le grandi emozioni che i momenti e le esperienze della vita danno è pure fonte di fiducia, tanto che l’autrice, anche di fronte all’esperienza della vita che finisce, perché i mezzi umani nulla più hanno potuto, in quanto “Queste siringhe / non ti hanno trattenuta”, può esprimere la sua fiducia nell’esistenza, alimentata dall’attesa e dalla speranza “che la moneta vera / mantenga la promessa”.
Leggere questo libro di poesie di Elena Buia Rutt aiuterà senz’altro molti a capire meglio la vita e a riconciliarsi con se stessi.

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  1. Andrea Monda ha detto:

    splendido commento quello di Rosa per un libro importante. Le poesie di Elena sono così belle (non tutte, non sempre) che finisci il libro e dici “ancora!”, rammaricandoti che sia così breve. Illuminanti anche le poche parole di pre-fazione e post-fazione di Antonio Spadaro e Claudio Damiani. Un libro insomma su cui è importante andare, tornare, ritornare.. attingere.

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