Combatto contro la depressione

bruce-sj200an-2“Combatto contro la depressione”, racconta, nella sua autobiografia, Bruce Springsteen. In che modo questa lotta viene resa, narrata, trasfigurata nella sua produzione artistica? Cosa ci dicono le sue canzoni di questo “buco nero”? Una cosa è indubitabile: la musica di Springsteen costeggia il male, la sofferenza subita e inflitta. È piena di Devils & Dust, di “demoni e polvere”. E’ perseguitata dal fallimento – “So cosa significa fallire/ quando tutto il mondo ti guarda” (All the way home). Conosce fin troppo bene la vertigine della caduta – “Mi sentivo così bene ero il più fortunato/ poi sono finito a rantolare come un ubriaco sul pavimento di un bar” (My beautiful reward). E’ questa la “camera oscura” che si cela dietro gran parte della produzione del rocker americano: un uomo si trova di fronte al bivio ustionante della scelta. Dell’assunzione di responsabilità – “Non puoi sbarazzarti di tutti i rischi e il dolore/ senza buttare via anche tutto l’amore che rimane” (Human Touch).

Se c’è un’evoluzione – pur tra deviazioni, rotture, “depistaggi”, cambi di marcia – dei personaggi cantati da Springsteen è questa: il passaggio da un mondo buio, nel quale dominano forze oscure, che schiacciano, che annullano, che cancellano l’identità, che costringono alla ripetizione, a una realtà nella quale invece si lotta, si lotta per conquistare la possibilità di scegliere, si lotta per reggere il peso della responsabilità. Il fuggiasco di State trooper corre nell’indistinto della notte, senza documenti che lo identificano, senza volto, senza legami, sospeso sul nulla. L’uomo al volante di Stolen car è perseguitato dalla paura di scomparire nell’oscurità. Il destino di Johnny 99, come quello del reduce di Born in the Usa, è una trama nella quale è annullata ogni possibilità di scelta, qualcosa di cieco che possiede, che stritola. E’ lo stesso grido che risuonava in Roulette: “Roulette state giocando con la mia vita/ Roulette, con i miei bambini e mia moglie/ Roulette, ogni giorno la posta si fa più grande/ Roulette, un altro dito sul grilletto”. Anni dopo qualcosa muterà profondamente: il soldato di Devils and dust, che è terribilmente lontano da casa, col vento che gli schiaffeggia il volto, mentre davanti ai suoi occhi vorticano demoni e polvere, ha il coraggio di chiedersi fin dove arriva la sua libertà e quale prezzo comporta rinunciarvi. “Sto solo cercando di sopravvivere/ ma cosa accade quando quello che fai per sopravvivere/ uccide le cose che ami?”.

 

Two faces

Tutto l’album Tunnel of love del 1989 è attraversato dal tema del doppio. Due sono le facce dell’uomo di Two Faces, l’ambiguità del tradimento scuote il protagonista di Brilliant Disguise (“dimmi quando guardo nei tuoi occhi/ sei tu piccola? / o solo un brillante travestimento?), diviso è l’uomo prudente di Cautious man che ha la parola “paura” tatuata su un braccio,  la parola “amore” sull’altro. E’ la doppiezza, l’ambiguità, la contraddizione che accompagnano – come una maledizione? come una possibilità di riscatto? come qualcosa che fa parte della vita e che ne costituisce il rovescio segreto? come l’ombra ineliminabile della libertà? – l’uomo chiamato a scegliere, a sporcarsi le mani, a correre nel tunnel dell’amore – “poi le luci si spengono e restiamo solamente in tre/ tu, io e tutte le cose di cui abbiamo paura” (Tunnel of love). “Perché ogni desiderio porta una maledizione”, canterà anni dopo Bruce in With every wish.

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Padri e figli

Il ciclo delle canzoni del padre, probabilmente le più doloranti e belle dell’intera scrittura di Springsteen, testimonia questo passaggio. Il figlio di Adam raised a cain è schiacciato dalla colpa, dalla catena del peccato e del fallimento che ha inchiodato la vita di suo padre, e che inchioderà la sua. E’ dentro qualcosa di inesorabile come la pioggia, che non finirà mai. Nessuna riconciliazione è possibile in My father’s house, dove i peccati giacciono inespiabili. Nessuna liberazione è consentita dalla vita di lavoro, dalla vita scandita dal suono delle sirene della fabbrica. Ma in Walk like a man, che chiude Tunnel of love – e la galleria di uomini che lo popolano in cerca di un “appuntamento con tutto il paradiso possibile” – quel paesaggio è ribaltato. Springsteen si affida ancora una a volta al suo vissuto (come accadeva in Used car, dove però tutto a cui si può aspirare è una macchina usata, un rifiuto, uno scarto, una vita di seconda mano). Il figlio ora è adulto, può camminare, camminare come un uomo: “ero giovane e non sapevo cosa fare/ quando vedevo che ti venivano rubati i tuoi passi migliori/ ora farò quello che posso/ camminerò come un uomo/ e continuerò a camminare”. L’uomo può scegliere. E’ davanti alla vertigine della libertà. “Se c‘è una cosa che vorrei /in questo mondo dimenticato da Dio figli miei/ è che i vostri peccati siano solo i vostri/ i vostri errori siano solo vostri”, canterà anni dopo il protagonista di Long time coming. Molti dei brani di Lucky town e Human Touch narrano questa crisi e la rinascita che la segue. “Nel tuo amore sono nato di nuovo” (Leap of faith),  “Ho un patto per te”, dice l’uomo di Human Touch. C’è l’ammissione della fragilità: “i miei piedi sono fatti di cera” – Man’s job, “Sono solo un ladro nella casa dell’amore” (Roll of the dice). “Ho costruito un santuario nel mio cuore/ non era bello da vedere/ fatto di memorie d’oro falso e lacrime versate/ ora sto risalendo la china”, confessa l’uomo di Real world.

Living proof, canzone che celebra la nascita di un figlio, è la più bella trascrizione di questa lotta, di questo doppio movimento, dell’inabissamento nel buio (della depressione?) e della rinascita. “Ho messo il mio cuore e la mia anima/ in alto su uno scaffale/ proprio accanto alla fede/ la fede che avevo perso in me stesso/ sono stato nella città deserta/ cercando di liberarmi della mia pelle/ ho strisciato in profondità/ in una sorta di tenebra/ cercando di bruciare/ ogni traccia dell’uomo che ero / si fanno cose tristi quando tutto quello che vuoi perdere è te stesso/ cose tristi e dolorose/ io ne sono visto la prova vivente// Tu sei sbucata attraverso la mia rabbia/ per mostrarmi che la mia prigione era solo una gabbia aperta/ non c’erano chiavi, né guardie solo un uomo spaventato/ e alcune vecchie ombre al posto delle sbarre”.

 

All’opacità, alla notte, alla confusione, si oppone ora la trasparenza delle scelte – If I should fall behind. Se gli amanti di Cover me sceglievano la reclusione volontaria, quelli di Real world scommettono sul “mondo reale”. Se in The river il sogno è l’unica via di evasione dalla realtà – ma un sogno che ha la faccia nera dell’inganno – , le acque di Spare parts simboleggiano prima la tentazione della morte, poi la decisione, la scelta, il riscatto, l’assunzione di responsabilità da parte di una giovane madre.

 

This depression

Che ne è in The ghost of Tom Joad, altra riproposizione del tema del male, della violenza in tutte le sue terribili facce (americane)? E’ una immersione nello stesso mondo sfibrato, disertato dalla speranza, dannato di Nebraska? Sì, eppure una forma di resistenza c’è, esiste. Il ricordo. Come in Dry lightning: “Sei cosi stufo di combattere/ che ti passa la paura della fine/ ma io non so farmi passare il tuo ricordo/ e l’odore della tua pelle/ e non c’è che un lampo asciutto all’orizzonte/  un lampo secco e il pensiero di te”. In Straight time ritornano tutti gli elementi della narrativa di Springsteen: ma uno sfasamento, una sorta di ribaltamento, un’inquietudine – la stessa catturata dal titolo – percorre il brano. Straight time è una composizione asciutta, un canto spettrale. Il protagonista è uscito di prigione, si è sposato, ha rigato diritto, cercando di tenersi fuori dai guai. Ha un lavoro che non lo arricchirà. Ha “una fredda smania di andare oltre quella linea sottile”, di cedere alle lusinghe del crimine. Dove è il margine che l’uomo può strappare alla sua prigionia esistenziale? Dove sta la sua libertà? “Otto anni chiuso al fresco/ all’inizio pensi di impazzire/ ma presto o tardi diventa la tua vita”. Mentre la moglie lo segue con la coda degli occhi, sente il macigno della sua condanna: “sembra che non sarai mai libero che a metà”. Mai così Springsteen è stato così potente nel cantare la paralisi, il “blocco”. E il desiderio di infrangerlo. “Torno a casa la sera/ non mi riesco a levare la puzza dalle mani/ poso la testa sul cuscino/ e vado alla deriva in terre straniere”.

 

 

La parola depressione fa capolinea nella produzione di Springsteen un’unica volta nell’album Wrecking ball. This depression è la narrazione di una resa? “Sono stato giù ma mai così tanto/ sono stato perso ma mai così tanto/ questa è la mia confessione, ho bisogno del tuo cuore/ in questa depressione, ho bisogno del tuo cuore// Piccola, sono caduto in basso, ma mai così tanto/ ho avuto la mia fede sconvolta, ma mai senza speranza/ questa è la mia confessione, ho bisogno del tuo cuore/ in questa depressione ho bisogno del tuo cuore”. In Hunter of invisible game l’io narrante dice di scivolare attraverso il buio (della depressione?). Springsteen canta: “La forza è vanità/ il tempo solo illusione/ ti sento respirare/ il resto è solo confusione/ la tua pelle tocca la mia che altro c’è da dire/ sono il cacciatore della preda invisibile”. E in Down in the hole se la narrazione sembra riecheggiare le storie di morte dell’11 settembre che popolano the The rising, Springsteen presta all’uomo che “scava” nella cenere immagini e metafore che sembrano descrivere la caduta nella depressione: “Il sole arriva ogni mattina ma non è amico”, “Ho seppellito il mio cuore qui in questo dolore, “Il cielo sopra sta girando, il mondo sotto è diventato grigio”. “Scaverò proprio qui finché non ti riavrò indietro/ Il fuoco continua a bruciare, io sono qui con te al freddo/ Giù nel buco”.

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