L’intreccio nascosto

Potrebbe sembrare strano trovare un intreccio dietro la Divina Commedia di Dante o dietro un foglio di papiro. Questo perché l’intreccio – visibile e invisibile, e in qualunque senso lo si voglia intendere – può davvero celarsi dietro qualunque cosa. Pertanto, è utile (oltre che munirsi di occhiali) seguire il consiglio della poetessa Mary Oliver “Pay attention. Be astonished. Talk about it”. Solo così scopriamo, ad esempio, che un foglio di papiro, solo in apparenza liscio e sottile, è in realtà il risultato dell’intreccio di un doppio strato di strisce di papiro, orizzontale e verticale, successivamente pressato e poi fatto essiccare.

Nella Divina Commedia gli occhiali non bastano, l’intreccio è il risultato di un processo invisibile e prolungato nel tempo: la trasmissione del testo. Della Divina Commedia abbiamo circa 800 manoscritti: gli studiosi si sono cimentati nell’indagarne i reciproci rapporti di derivazione e sono incappati in un fenomeno frequentissimo nelle tradizioni molto estese: la contaminazione. La contaminazione è quel fenomeno per cui un manoscritto viene copiato facendo ricorso contemporaneamente a più manoscritti differenti. Quindi una copia della Commedia realizzata dal copista potrebbe essere in realtà il risultato di un intreccio, a volte inestricabile, di diversi manoscritti che erano stati usati nella copiatura.

Ma nella Commedia di Dante c’è in realtà anche un altro intreccio, questa volta ben visibile e anche udibile: la terzina. La terzina dantesca o rima incatenata è composta da tre versi endecasillabi in cui il primo verso fa rima con il terzo e il secondo fa rima con il primo verso della terzina successiva. Un continuo e indissolubile intreccio di terzine, di versi, di rime e di suoni che informa tutti e tre i canti della Commedia. Nella rima incatenata c’è una precisa intenzione artistica nella realizzazione dell’intreccio.

L’intreccio, in una delle sue tante sfaccettature, può avere anche valore artistico e divenire così oggetto di contemplazione. È quello che accade nel Primo Idillio del poeta greco di età ellenistica Teocrito. Un anonimo pastore promette in dono al pastore Tirsi, in cambio del suo canto, una coppia sui cui orli “si avvolge, verso l’alto, l’edera, l’edera intrecciata all’elicriso, e il tralcio si aggira su di esso godendo del frutto del colore del croco”. E c’è di più: nella coppa viene raffigurato un giovinetto tutto dedito ad intrecciare una gabbietta per grilli. L’intreccio, attività umile e bucolica, assurge qui a simbolo della letteratura e dell’arte ellenistica che focalizza la sua attenzione su persone comuni colte nella loro quotidianità.

Di ben altro tenore è il meraviglioso e delicatissimo intreccio delle dita delle mani delle Grazie che danzano armoniosamente nella Primavera, capolavoro di Sandro Botticelli. Un intreccio che unisce reciprocamente le tre divinità in un divino e indissolubile legame di sintonia. Le Grazie sono infatti divinità corrispondenti alle greche Cariti che accompagnano Eros, dio dell’Amore, e Afrodite, dea della Bellezza. Nel quadro di Botticelli danzano leggiadre la carola dell’amore, tenendosi per mano.

Una festosa sintonia che non troviamo minimamente nella solenne atmosfera, cupa e carica di tensione, dell’Ultima Cena ritratta nell’omonimo capolavoro di Leonardo da Vinci. All’annuncio di Gesù Cristo “Uno di voi mi tradirà” serpeggia tra gli apostoli seduti a mensa un nervoso e frenetico succedersi di movimenti, gesti, domande. Un intreccio inquieto e inquisitorio di sguardi, parole e accuse reciproche, che non possiamo udire ma che la maestria di Leonardo da Vinci ci lascia ben immaginare.  Lo possiamo percepire osservando da vicino l’atteggiamento e l’espressione di ciascuno dei Dodici Apostoli. E come un intreccio può celarsi dietro a un dipinto così ben altri intrecci, solubili e aggrovigliati, visibili e invisibili, si affastellano silenziosi nei recessi dell’esistenza.

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