Il telaio
“Conosci disegni di tessitori? Io ne conosco ben pochi.” Così recita la lettera del 2 gennaio 1884 che Vincent Van Gogh manda a suo fratello Theo dal villaggio di Neunen, e continua: “Questa gente è difficile da disegnare perché le stanze sono piccole e non è possibile arretrare abbastanza per disegnare il telaio, e credo che questa sia la ragione per cui i tentativi di dipingerli sovente non riescono. Qui tuttavia, ho trovato una stanza nella quale ci sono due telai e dove si può fare“. Come tutti i grandi progetti, anche Van Gogh ne iniziò uno con un atteggiamento che non può dirsi tra i più ottimistici. Ma cosa sarà successo dopo, visto che tra il dicembre del 1883 e l’agosto del 1884, dipinse 10 quadri e 16 disegni a penna e ad acquerello di questa “gente difficile”? Cosa avrà rapito la sua attenzione?
Nei mesi appena trascorsi abbiamo parlato di filo, l’unità che crea la tela; di intreccio, l’ordine (o il disordine) che definisce il disegno; di nodi da sciogliere o stringere; della mano che tutto decide. È arrivato il momento di chiamare in causa la struttura intorno alla quale hanno ruotato tutti questi elementi: il telaio. La natura del telaio è in realtà duplice: è uno strumento in grado di mettere insieme i singoli elementi e trasformarli in una cosa nuova, inesistente senza il giusto incastro delle sue parti; è una struttura, una base fondamentale dalla quale partire per aggiungere il resto dei componenti. Il primo intreccia ed unisce, il secondo definisce e sostiene.
Come strumento, il telaio ha fatto capolino nella vita di tutti noi studenti nei versi del libro di letteratura:
“e la sottile, tela grande, immensa,
A oprar si mise […]
[…] Intanto,
Finché il giorno splendea, tessea la tela
Superba; e poi la distessea la notte
Al complice chiaror di mute faci.
Così un triennio la sua frode ascose,
E deluse gli Achei.”
Penelope, con le mani lente e sicure di giorno intrecciare i fili di un’attesa infinita e le stesse, di notte, svelte a disfare i nodi alla luce flebile di una candela. Il telaio è l’unico testimone del suo segreto, lo spazio su cui la tela si crea e si distrugge allo stesso tempo.
La mansione della tessitura è stata legata per secoli alle mani delle donne, che ne hanno fatta una vera e propria arte da condividere non solo al chiuso nella propria casa ma anche in compagnia: “entrando dalla strada assolata ed aperta nella quiete dell’ombroso cortile, trovavi raccolte ed in gruppo in gioiosa operosità, le vecchie alla rocca ed al fuso, le giovani al telaio […]”. Gli scavi archeologici, che rivelano frammenti di questo attrezzo – dapprima come strumento molto semplice e poi via via più complesso -, confermano che la sua origine risale a tempi antichissimi. Ancora una volta la donna è sinonimo di creazione, di unione e di identificazione nelle proprie abilità.
Come il rovescio della tela, anche la più nobile arte può celare un folto groviglio e il telaio può trasformarsi da strumento di creazione e tradizione in oggetto di tortura.
All’inizio degli anni Novanta, Iqbal Masih fu venduto dalla sua famiglia, in Pakistan, ad un fabbricante di tappeti. Doveva filare per più di dodici ore al giorno incatenato al suo telaio per guadagnare una rupia, poco più di 3 centesimi. Qui il telaio diventa complice dello sfruttamento minorile e disumano di chi si arricchisce sulle spalle della povertà.
La ricerca del ruolo del telaio, ora come struttura, prosegue nell’architettura e nella meccanica. Esso costituisce lo scheletro di una casa, di una cattedrale, di un’automobile o di un semplice elettrodomestico.
Nella costruzione di un edificio, la struttura portante è l’insieme di tutti gli elementi verticali ed orizzontali, chiamati pilastri e travi, che permettono di sostenere il peso e di scaricarlo al suolo. In un veicolo, invece, il telaio è la base per montare insieme gli altri pezzi. A seconda dello scopo al quale devono rispondere, i telai differiscono tra loro nei materiali – acciaio, cemento armato, legno – e nella forma – a traliccio, misti, tubolari, monoscocca, shear type -.
A differenza della tessitura in cui il telaio sparisce dall’oggetto quando il processo è finito, in questi ultimi casi ne è parte integrante. Il primo definisce il prodotto una volta concluso mentre il secondo lo definisce dall’inizio.
Sorge qui una domanda: se lo scheletro è il telaio, inteso come struttura di sostegno, del corpo, ci sono anche degli “strumenti telaio” che nel corso del tempo aiutano a tessere o a disfare le scelte di ognuno?
Su questa domanda, ecco un’altra lettera di Vincent Van Gogh a Theo, spedita mesi dopo quella del 2 gennaio: “Questi telai mi costeranno ancora molto lavoro duro, ma in realtà sono cose tanto splendide, tutto quel legno di quercia di contro al muro grigiastro, che penso sia indubbiamente una buona cosa che una volta tanto vengano dipinti“. Alla domanda che siamo posti all’inizio, cosa abbia rapito la sua attenzione, non avremo mai una risposta precisa, ma sicuramente la sua perplessità iniziale ha lasciato lo spazio all’ammirazione della scoperta del nuovo e dei suoi mille dettagli invisibili.
Forse la vita stessa è il telaio dove ognuno di noi è chiamato ad intrecciarsi con le paure, i dubbi, le gioie, le vittorie, le difficoltà e nel presente saremo solo in grado di apprezzare la bellezza dei singoli nodi e non la maestosità della tela intera.