I buchi della trama

Scriveva Chesterton che «un’avventura è solo un incidente considerato nel modo giusto; un incidente è solo un’avventura considerata nel modo sbagliato». Chissà se si può dire lo stesso anche dei buchi. Quando parliamo di “buchi della trama”, infatti, ci vengono subito in mente gli errori, le dimenticanze, le incongruenze, qualcosa che è sfuggito al controllo dell’autore. Qualcosa da coprire, magari “mettendoci una pezza”, come si dice a Roma, se non che la toppa finisce spesso per essere ancora più evidente del buco (pratica che sconsiglia perfino il Vangelo, cf. Luca 5,35-36).

Eppure in ogni tessuto i buchi sono una parte costitutiva. Nell’intreccio di ordito e trama, si alternano spazi vuoti minimi, ma necessari. Con l’inizio dell’estate ce ne rendiamo conto ancora meglio: ci vestiamo di cotone o di lino, cerchiamo tessuti leggeri, traspiranti, che permettono all’aria di attraversarli. Viceversa, se una veste è perfettamente compatta, magari come una cerata, diventa impermeabile: perfetta per affrontare giusto il tempo di un acquazzone, ma da togliere poi appena possibile. Scrive Isabella Ducrot, artista che ha messo al centro delle sue opere proprio le stoffe:

Non sembra esagerato suggerire che la compattezza implichi assenza di spirito. In un tessuto, l’invisibile, ingabbiato tra le pareti visibili dei fili, partecipa attivamente alla sua specificità e all’articolazione fra vuoti e pieni si deve la sua duttilità: così due elementi essenzialmente eterogenei vengono a convivere e producono qualcosa di paragonabile a un respiro incarnato (La matassa primordiale).

Capita così anche con le nostre letture: alcuni testi sono afflitti dall’horror vacui, ricolmi di descrizioni esaurienti e spiegazioni dettagliate, e forse per questo soffocanti, perfino asfittici. Non richiedono sforzi. Ordinati, compatti e monouso. Altri testi sono porosi, permeabili, aperti. Non tutto ci viene dato subito, anzi, talvolta ci sembra di rincorrerlo fino all’ultima pagina, e di non trovarlo neppure là. E il vuoto ci riempie di domande: “E se…?” “Ma allora…?” “O forse…?” La nostra immaginazione si tuffa in quegli spazi bianchi come la marea sugli scogli. Troviamo spazi aperti, abitabili, persino personalizzabili. I “buchi nella trama”, intesi in questo senso, sono ciò che differenzia una scrittura come sistema aperto da una scrittura come sistema chiuso.

Un esempio di questo “bucare” la scrittura è l’ellissi, quel non detto che, secondo Ernest Hemingway, deve esserci in proporzione di sette a uno: per ogni riga scritta, sette parti sono di non detto, perché «l’importante è quel che non si vede». L’illustratore Gipi ha raccontato le regole che si è dato nella scrittura dell’opera La terra dei figli. Tra di esse: «Non spiegare niente», «Non fare balloon con i pensieri dei personaggi. Ti vergogneresti per sempre, dopo»; «Rispetta i personaggi. Non fargli mai fare o dire cose che loro non vorrebbero fare o dire». Gli elementi irrisolti del racconto interpellano così il lettore, lo coinvolgono fino ad attirarlo letteralmente dentro un’opera che resterebbe incompleta senza il ruolo attivo del lettore-interprete. Non sempre la mancanza di senso logico è un errore: talvolta è perfino programmatica. Scrive ad esempio Roberto Calasso, a proposito dei numerosissimi “buchi nella trama” dei racconti biblici:

Incomparabile, nella Bibbia, è l’arte dell’omissione: ciò che non viene detto e chiunque vorrebbe sapere […] L’immane fioritura delle leggende e dei commenti intorno alla Bibbia era dovuta anche all’intollerabilità delle sue omissioni […] La peculiarità della Bibbia è appunto questa: non rassicurare (in M. Nisii, L’apocrifo necessario).

Siti, blog e chat di fans si scatenano per spiegare questo o quel particolare irrisolto – voluto o meno? spesso cambia poco – della loro saga preferita. Per rassicurarsi. Forse ogni interpretazione è un tentativo di rassicurazione, un tentativo di “racchiudere” il senso di un’opera. Mentre i finali aperti, le opere incompiute… che siano libri, sinfonie o altro… non ci rassicurano… ma ci fanno immaginare. Forse i “buchi della trama” servono proprio a questo: a rendere le storie incomplete, forse imperfette, ma per questo inesauribili.

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