Navigazione vs pellegrinaggio?
Ecco un testo che condensa l’ambivalenza insita nell’ambiente acquatico per eccellenza, il mare, considerato ora in opposizione alla stabilità/immobilità della terra, ora come elemento assoluto e infinito. Si tratta del romanzo Pellegrino sul mare dello svedese Pär Lagerkvist, Nobel per la Letteratura nel 1951. I due protagonisti di questo dialogo sono Giovanni, un pirata che si scoprirà essere ex-sacerdote, e Tobias, un ex-brigante partito in pellegrinaggio per la Terra Santa:
– Sei mai stato prima in mare?
– No, mai.
– Dunque non sai nulla, del mare?
– No.
– Allora hai molte cose da imparare, il mare insegna molto. Ti dirò, anche se viaggi di paese in paese, per terre mai viste prima, per grandi città piene di gente sconosciuta, sì, anche se percorri la terra tutta intera, non imparerai mai tante cose quante ne imparerai dal mare. Il mare ne sa più di chiunque sulla terra, se riesci a farlo parlare. Conosce tutti i vecchi segreti, perché anche lui è tanto vecchio, più vecchio di tutto. Persino i tuoi propri segreti, conosce, pensa un po’. E se tu ti affidi interamente a lui e lasci che sia lui a guidarti, senza accampare le tue meschine pretese, e non t’[intestardisci] a stare attaccato a ciò che è troppo passeggero e insignificante perché il mare possa occuparsene o prestare orecchio ai tuoi mugugni mentre lui parla e flagella il battello e ti sostiene sulle sue onde, allora lui sa dare pace alla tua anima, ammesso che tu ne abbia una, e ammesso che è la pace ciò che cerchi. Questo non lo so, non mi riguarda. Comunque sia, non troverai mai pace se non sul mare, che da parte sua non ha mai pace. Così stanno le cose, te lo assicuro. No, non c’è nulla di simile al mare, nessun amico che gli si possa paragonare, nessuno che possa aiutare come lui un povero diavolo. Te lo dico io. Puoi fidarti di ciò che dico, perché è la pura verità, so di che cosa parlo.
«Sebbene, forse è presunzione chiamarlo amico, dovrei parlare di lui con maggiore umiltà e maggiore rispetto, con più devozione, come si parla di una cosa sacra. Io così lo sento. È l’unica cosa sacra che io conosca e ogni giorno gli sono grato d’esistere. Anche quando è in burrasca e infuriato, lo ringrazio, perché dà pace, non sicurezza, ma pace. È terribile e crudele, eppure mi dà pace.
«Che vai a fare in Terra Santa, se c’è il mare, il sacro mare?»
Assorto nei suoi pensieri, [Giovanni] pareva avesse dimenticato la presenza di Tobias. La testa reclinata sul petto, la larga faccia pesante, esprimeva un’intima, sofferente meditazione.
– Non avevo mai veduto il mare, prima di imbarcarmi su questo battello, – continuò. – Molte, troppe altre cose avevo veduto, molti uomini, troppi. Il mare, mai. Perciò non avevo ancora capito niente, niente di niente. Come si può comprendere qualcosa della vita e capire a fondo gli uomini e i loro destini, se non te lo insegna il mare? Come si può veder chiaro il motivo dei loro vani sforzi e del loro affannarsi verso i più bizzarri scopi, prima di aver contemplato il mare, che è illimitato e autosufficiente? Prima di aver imparato a pensare come il mare e non come quelle creature senza pace che immaginano di dover sempre avere una meta qualsiasi e che quella sola conti, che fanno di uno scopo la ragione di vivere? Prima di aver imparato a lasciarsi portare dal mare, ad abbandonarsi a lui, senza più preoccuparsi di nulla, né del giusto, né dell’ingiusto, né del peccato, né delle responsabilità, né della verità o della menzogna, né del bene o del male, né della redenzione, della grazia o dell’eterna dannazione, né del diavolo o di Dio e delle sciocche dispute fra l’uno e l’altro. Prima di essere diventato indifferente e libero come il mare e di lasciarsi trasportare senza meta nell’incertezza che, in fin dei conti, è l’unica cosa certa, l’unica cosa sulla quale si possa contare: prima di aver imparato tutto ciò?
«Sì, il mare ti può insegnare molto. Ti può rendere saggio, se vuoi diventarlo, ti può insegnare a vivere».
Tacque e Tobias lo guardava, disteso sulla sua panca, meravigliato di ciò che l’altro gli diceva. Ed anche di lui, si chiedeva chi potesse mai essere colui che diceva cose simili, quell’uomo dalla faccia così rozza e dura, forse resa ancora più dura da quel mare che considerava qualcosa di sacro. Il sacro mare… Che cosa intendeva dire? Non era facile capirlo, eppure… Tobias ricordò la strana pace che lo aveva invaso, fra le tenebre e la burrasca, non appena vi si era abbandonato e come il mare gli aveva dato riposo, togliendogli ogni inquietudine e ogni preoccupazione.
Non tormentarsi più, trovare la pace… Non la sicurezza, la pace.
E smettere di inseguire con ardore qualche ben determinato scopo, per dare un senso alla vita, come aveva fatto, smettere di spingere se stesso, ansiosamente, verso una precisa meta. Non continuare a tormentarsi giudicandosi, accusandosi delle colpe passate e della propria falsità e della propria disonestà nel voler farsi pellegrino, pur sapendo che il denaro per la traversata verso la Terra Santa era forse macchiato di sangue… Ammesso che una Terra Santa esistesse… e che [non] esistesse il mare soltanto.
Non angustiarsi e non disperarsi perché non si è arrivati a una certezza, perché non si è sicuri di nulla… accontentarsi dell’incertezza, anzi, esserne soddisfatti e felici… Sceglierla, accettarsi così come si è. Osare d’essere come si è senza rimproverarselo.
E scegliere il mare, il mare incostante, sconfinato, sconosciuto, in un viaggio senza fine, senza meta precisa, anzi, senza nessuna meta.
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