Custodire le presenze
VerArte di Roberta Conigliaro, Roma, Palazzo Doria Pamphilj, via del Plebiscito 107 – dal 9 novembre su appuntamento
Due sono gli aspetti di questa mostra che mi hanno colpito.
Primo: nell’arte è sempre possibile sovvertire le regole (forse perché non ci sono regole).
Secondo: il silenzio è di diritto una componente dell’arte.
Faccio una premessa: Roberta Conigliaro è una mia amica. Quindi parto da una base di assoluta parzialità. Ma anche di profonda e ininterrotta conoscenza delle sue opere. Ciò che mi ha incuriosito (e mi è piaciuto) è stata la scelta della location, ovvero il venir meno di uno dei “canoni” dell’esposizione: no a gallerie o musei, sì ad uno studio legale, un posto “fuori dagli schemi”, che diventa punto di riferimento, approdo non solo per la creazione artistica, ma per il pubblico, che fa esperienza dell’arte in modo nuovo, responsabile e sociale, e per l’artista stessa, che si confronta con un habitat che ridefinisce, in parte, le sue realizzazioni.
Dunque un esperimento (o una scommessa?) che Roberta Conigliaro, come tanti artisti del momento, decide di fare. E per lei, forse, è un po’ più complicato. Lei, che è scultrice dal sapore mediterraneo e tutto femminile, dal tocco limpido e sognante, sposta il suo piccolo universo, il suo laboratorio pulito all’interno di uno studio legale. L’artista trasforma: ecco che un ufficio, elegante, austero, può ospitare, fra scrivanie e librerie, fra riunioni e appuntamenti con clienti, opere d’arte. Fino al prossimo febbraio, allo studio legale spetta un compito duplice: da un lato continuare la propria attività quotidiana, dall’altro condividere, anche negli orari extralavorativi, i propri spazi con nuove presenze, facendo vivere, alle sculture e a chi le visiterà, un’esperienza nuova.
L’arte è esperienza. Le sculture di Roberta si adeguano perfettamente a questa location perché la loro essenza è fatta, soprattutto, di silenzio. Un silenzio che ben si addice ad uno studio di avvocati. Un silenzio fatto di rispetto e di attesa. Di presenza e di immagine.
Le opere sono state scelte secondo un percorso che ricalca da vicino l’evoluzione artistica della scultrice che predilige figure femminili e che spazia nella scelta dei materiali dalla pietra leccese, alla saponaria, alla terracotta.
Le figure, dotate di una propria individualità, silenziosa ed efficace, hanno la caratteristica di… arrivare subito: superficie, dimensioni, peso, colore si muovono come in raccoglimento lungo un cammino che lascia ampio spazio alla riflessione e al sogno.
Emanazioni mediterranee nelle linee solari, nei contorni morbidi e avvolgenti, nei volti ieratici, negli occhi grandi, nell’incarnato che si immagina soltanto.
Quasi istantanee di essenzialità, immagini prive di orpelli, senza ornamento alcuno se non quell’esserci all’interno del tempo, immobili ma in movimento, quasi abbandonate a quel turbinio di profumi, colori e sapori che è la terra d’origine di Roberta, la Sicilia.
Confesso anche di aver visto qualcuna delle sculture in mostra ancor prima che nascessero, frammenti di pietra sul pavimento, incisi dai segni delle macchine che li hanno tagliati, striati, feriti. Così come ho visto alcune terracotte prima del loro passaggio a forno, grigie sagome coperte da stoffa in attesa di asciugare.
E tutti gli attrezzi che popolano il suo studio: arnesi da carpentiere, trapani, levigatrici, tubetti di colore. Insieme con la polvere. L’impalpabile polvere che rimane dalla michelangiolesca arte “per via di torre”, quel togliere dal blocco le schegge e far uscire le figure imprigionate all’interno.
Perché l’arte è (anche) liberazione.
Dagli schemi che la costringono spesso a vivere segregata e lontano dalla vita di tutti i giorni. Come a dire lontano da noi.
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