(estratto dell’articolo su La Civiltà Cattolica)
[…] Dopo aver chiuso Emmaus si resta davvero perplessi e delusi. La prosa di Baricco è suadente, lineare: tutto è al posto giusto. L’autore è narratore di razza, abile conoscitore delle tecniche che applica con una certa insistita precisione, come a comando. E tuttavia proprio questo contribuisce a comunicare la sensazione di vacuità. In tale quadro anche una sbavatura avrebbe giovato, avrebbe reso il libro più interessante. E invece non c’è: la scrittura è nitida e tersa, ma cieca perché descrive qualcosa che sicuramente non conosce. Non c’è balzo, non c’è passione, non c’è sorpresa.Tutto quello che deve accadere accade, e puntualmente. E gli avvenimenti appaiono iscritti all’interno di un kòsmos esatto, dove le contraddizioni e le inquietudini rispondono a clichés definiti ideologicamente. Persino il dramma è addomesticato dalla scrittura a effetto. Il mondo che si dispiega nelle pagine di Emmaus è diviso rigidamente in due: o si è di qua o si è di là. Sono ammessi i passaggi da una parte all’altra, ovviamente, altrimenti non ci sarebbe storia, non ci sarebbero i fatti da narrare. E tutta via i campi, i due territori divisi dal muro sono chiaramente separati da una frontiera.Ovviamente questo conduce Baricco a offrire al lettore non personaggi ma tipi, idee in forma di persona o, forse, sarebbe meglio dire caricature. Lo sono i nostri quattro giovani di parrocchia, innanzitutto. Il loro più che un calvario esistenziale, sembra il bignami del cattolicesimo visto dall’ottica di un ateo che ritiene i credenti poco più che giovani marmotte tonte. È un “tipo”, una macchietta, persino Andre: avvolta da un alone da femme fatale, è soltanto una povera ragazza sola e senza punti di riferimento.
Così, ad esempio, se per i quattro ragazzi la bellezza dev’essere “una virtù morale, e non c’entra col corpo” (p. 19), come è stato loro insegnato, per Andre invece non esiste affatto perché esiste solamente il sesso che pratica in modo vario, ma sempre senza neanche un barlume di tenerezza o trasporto. La fantasia di Baricco sembra più attenta a spaccare in due porzioni equivalenti e in maniera artificiosa la natura umana, come se fosse una mela marcia, piuttosto che a comprenderne le motivazioni profonde. Ovviamente ne risulta una devastazione: da una parte, il cattolicesimo dei ragazzi viene inteso come pietosa cecità che anestetizza il cuore e i sensi; dall’altra, la vita “libera” degli altri, che viene osservata in tutta la sua vacuità senza ripari. La fede, in particolare, è vista come un velo sulla realtà che impedisce ai quattro giovani di conoscere il reale, ma soprattutto di “sentire” la tragedia che è la vita stessa. Baricco fa dire al protagonista, che – ricordiamolo – è un ragazzo appena alle soglie della maggiore età: “Senza saperlo, ereditiamo l’incapacità verso la tragedia, e la predestinazione alla forma minore del dramma: perché nelle nostre case non si accetta la realtà del male, e questo rinvia all’infinito qualsiasi sviluppo tragico innestando l’onda lunga di un dramma misurato e permanente – la palude in cui siamo cresciuti. È un habitat assurdo, fatto di dolore represso e quotidiane censure. Ma noi non possiamo accorgerci di quanto sia assurdo, perché come rettili di palude conosciamo solo quel mondo, e la palude è per noi la normalità. Per questo siamo in grado di metabolizzare incredibili dosi di infelicità scambiandole per il doveroso corso delle cose: non ci sfiora il sospetto che nascondano ferite da curare e fratture da ricomporre” (p. 34). A parte la melliflua astrusità dell’argomentazione, si ha il sospetto che Baricco solidarizzi, nonostante tutto, con la parte “cattolica”, ma solamente perché proietta su di essa la sua visione disperante sui destini del mondo. La fede copre l’assurdo del mondo, ma è come se Baricco ci dicesse che la vita stessa è un perverso meccanismo di nascondimento e falsità.
Se i quattro ragazzi suonano in chiesa e servono i poveri, almeno all’inizio del romanzo, Andre semplicemente tenta il suicidio. Tra i due gesti però, in fondo, non sembra esserci alcuna differenza. Anzi, tutto sommato, il secondo appare meno ipocrita. Tutta la vita di Andre, del resto, sarà un suicidio prolungato, mentre Luca, transfuga dalla parrocchia alla “vita normale” si suiciderà, appunto. Baricco sembra confondere la vita e la morte. E questa modalità di comprensione del mondo è applicata sempre e comunque. I due mondi, quello “cattolico” e quello “normale”, sono solamente due abissi vuoti che risuonano a vuoto. Purtroppo il narratore si lascia prendere la penna da questo vuoto che amplifica le sue riflessioni, pur mantenendo uno stile compassato. Sono le parti più faticose del romanzo, quelle che assumono gli accenti più accorati e dolenti, apparentemente anche più alti. Baricco mette sulla bocca o nella testa di diciottenni pensieri che sembrano profondi ma che risultano invece semplicemente mesti. Lo scrittore non ha ironia, si prende troppo sul serio, e per vedere la vita in profondità si mette gli occhiali da lettura, finendo per perdere contorni, fuoco e prospettiva. In realtà, seguendo il bel fraseggio musicale e compiaciuto dei suoi pensieri, si resta alla fine con pensieri comuni e frasi da compendio di filosofia esistenzialista. E su tutte spicca quella del Santo così come le ricorda il protagonista: “Non ci spetta alcuna nostalgia, né disponiamo di una via per tornare indietro. Dice che non è successo niente. Non è mai successo niente” (p. 136).
Tuttavia è proprio così:
in Emmaus non succede niente, perché
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Ho trovato Emmaus vuoto e stereotipato; nutrito di confusione, autocompiacimento retorico e superficilità concettuale. Ci sono solo cattivi, rigorosi e perduti cattolici e cattivi, affascinanti, persi, inconsapevoli libertini. E non ci sono le persone. Manca la persona nel suo mistero unico, nella sua verità. Manca l’abbandono sincero alla vita.
Grazie, Antonio, per la tua sapiente e magistrale analisi.
Paola
se Civiltà Cattolica ne parla male adesso toccherà proprio leggerlo, quest’ultimo Baricco (a malincuore, ovviamente)
e se dico che anche questa volta la scrittura di Baricco mi ha incantato vuol dire che non sono riuscita a cogliere la mancanza di profondità e mi sono fermata alla bella confezione? credo di no, penso che le persone in questa storia ci siano e le persone che ci sono non sono Alessandro Baricco. Sono altro, sono magari quelli di fianco a noi. Stella.
Emmaus di Baricco: per me rivelatore di una prosa nuova, coinvolgente, sconvolgente. Dopo averlo letto tutto ciò che leggevo mi pareva Baricco, tanto mi aveva preso. Riuscire a far questo con le parole che bene o male tutti usiamo ogni giorno è stupefacente. Va oltre i confini della narrazione. Chi dice di aver provato un senso di vacuità è fazioso. Cosa credeva di trovare? Allora rilegga l’episodio negli Atti degli Apostoli, e troverà l’originale.
Leggo la parola “Baricco” e subito mi spunta il sorriso al solo pensiero dei miei piccoli e armoniosi momenti passati in compagnia di “Oceano Mare” o “Castelli di rabbia”… Sarò di parte e forse sarò anche una persona vuota ma ho trovato la citazione a pag.34 (da te riportata) straordinariamente toccante e corrispondente al vero, tutt’altro che mal argomentata.
In sintesi non ho letto questo libro di Baricco ma penso che ora lo comprerò.