Un film sulla politica
Uno dei film più interessanti della stagione è senz’altro, ça va sans dire, l’ultimo di Steven Spielberg, il geniale regista americano, dedicato alla figura del presidente Abramo Lincoln. Il film Lincoln può essere suddiviso in tre parti: i primi cinque minuti, il film, gli ultimi cinque minuti.
Nei primi cinque minuti Spielberg mostra cosa sarebbe stato capace di fare, se solo avesse voluto.
L’intera sequenza iniziale ritrae una scena di guerra, la Guerra di Secessione ovviamente, ma più di una battaglia quella a cui si assiste è una rissa, un caos misero e infernale, rappresentato in tutta la sua cruda e struggente verità, la verità della guerra. Come nel caso della prima lunga sequenza de Salvate il soldato Ryan, Spielberg ha detto la parola definitiva sulle scene di guerra al cinema: non ci saranno altri sbarchi in Normandia senza passare per la scena d’apertura di Ryan così come non ci saranno scene relative alla Guerra di Secessione, senza passare per quei primi minuti, brevi quanto intensi, di Lincoln. Una piccola dimostrazione di cosa vuol dire fare cinema, giusto un assaggio e fatto non per virtuosismo, ma perchè quella scena è lo sfondo da cui si dipana tutta la vicenda.
Negli ultimi cinque minuti Spielberg mostra cosa ha evitato di fare e cosa un altro regista avrebbe potuto fare di questo film. Si tratta nemmeno di cinque minuti ma di un’immagine rapidissima, in cui si vede Lincoln sul letto di morte con tutti gli amici e i familiari intorno a lui. Sembra un quadro, anzi un “santino”, con tanto di candela accesa a rendere tutto più commovente. Una caduta di stile, di un attimo, che però si nota proprio perchè il film per tutti i suoi 150 minuti è stato l’esatto opposto. Spielberg sembra dirci con quell’immagine finale: ecco cosa si poteva rischiare di fare, cosa non ho voluto fare.
In mezzo tra queste due scene opposte c’è il film. E il film non né epico-militare come la prima scena poteva far prevedere, né un santino edificante sulla probità del grande presidente della liberazione degli schiavi. Lincoln è un film sulla politica. Argomento più scivoloso forse non ce n’è.
Sulla politica
In Italia non si fanno bei film sulla politica. Peccato. Mi viene in mente qualcosa di Francesco Rosi (Il caso Mattei) ma non ricordo grandi cose. Penso a film come L’ultimo urrà di John Ford (è uscito in dvd, sapete cosa dovete fare!) e mi viene una sorta di rabbia rispetto al mutismo italiano su un argomento così appassionante. Pietro Germi diceva che in Italia, al contrario che negli USA, non si possono fare buoni film polizieschi perchè in Italia la gente ride della polizia. C’è del vero e forse questa battuta si può estendere al campo della politica. Sulla politica noi italiani preferiamo fare satira, non ci “crediamo” mai davvero (e questo è anche un bene, a volte) perchè aveva ragione Flaiano: la situazione in Italia è sempre drammatica, non è mai seria. Lo vediamo anche in questa grottesca campagna elettorale che finirà fra qualche giorno, una campagna alla quale forse potrebbe giovare la visione di questo film di Spielberg.
Un film sulla politica. Il regista sceglie di ritagliare solo un piccolo momento della vita di Lincoln (il cinema è l’arte delle forbici o, se vogliamo, la cosa più interessante di un quadro è la cornice) e precisamente quello relativo a quelle poche settimane all’inizio del 1865 (ultimo anno di vita del presidente che poi sarà assassinato durante uno spettacolo teatrale, splendida la sequenza giocata sul trucco di sviare e non mostrare) in cui l’impegno di Lincoln fu tutto teso a porre legalmente fine alla schiavitù dei neri d’America grazie all’ottenimento dell’approvazione del 13° emendamento in discussione alla Camera dei Rappresentanti. Lincoln, presidente repubblicano, è stato appena rieletto e il suo potere è all’acme, al punto che i suoi avversari lo considerano un vero tiranno dispotico (e il grido del suo assassino sarà “morte al tiranno!”) e dunque comprende che questa è l’occasione che la storia gli presenta, consapevole com’è che in politica le occasioni non ritornano.
Ci vuole però la maggioranza dei voti per far passare il 13° emendamento e servono anche dei voti della parte avversa. Parte la caccia al voto. Ogni film di Spielberg è la storia di una caccia, anche questo dove tutto si svolge tra gli scranni dei seggi parlamentari. Ritmo, colpi di scena, suspence.. ci sono tutti gli ingredienti per un film che per due ore e mezza incatena lo spettatore alla poltrona pur parlando solo di politica, dell’argomento oggi visto con maggiore repulsione; e non la politica nobile e alta (come uno poteva immaginarsi pensando a Lincoln) ma di quella politica che si può chiamare di “sottobosco”, di “inciuci”. E’ come se in Italia uno facesse un film su Razzi e Scilipoti, su quelli che una volta si chiamavano i “franchi tiratore” (titolo e argomento di un vecchio romanzo di Raffaele Crovi) ma con quale risultato! La mia vecchia passione per la politica ha trovato soddisfazione, un cibo succulento per le sue papille gustative da molti anni inaridite.
Il rovesciamento della prospettiva
Merito senz’altro anche dell’allestimento, semplicemente perfetto e della bravura degli attori: Daniel Day Lewis che “è diventato Lincoln”, anche nel particolare della voce stridula e Tommy Lee Jones, più carismatico che mai (è nel suo personaggio il “cuore” di questo film sulla politica). Non voglio dire altro sulla trama, però chi andrà a vederlo potrà godere osservando l’evoluzione del personaggio interpretato da Lee Jones, ricordandosi la bella definizione di Albert Camus: “l’uomo è colui che si trattiene“. Cos’altro è la politica? L’alternativa a questo “trattenersi” Spielberg ce lo mostra nei primi cinque minuti – fondamentali – del film.
Merito senz’altro della sceneggiatura, affidata ancora una volta a Tony Kushner (autore già di Munich) che, insieme al regista, compie un vero ribaltamento, offrendoci la loro lettura molto angolata delle vicende storiche come dei personaggi. È lo stesso ribaltamento che c’era in Munich (i “cattivi” qui erano gli Ebrei ad un tempo vittime dell’attentato terroristico e predatori spietati nella rappresaglia) e prima ancora in Schindler’s List, anche lì un film anti-santino, dove il protagonista è mostrato innanzitutto come uno spregiudicato corruttore, esattamente come Lincoln.
È proprio questo sguardo angolato e non convenzionale a rappresentare il punto di forza di questo film sulla politica che è mostrata in tutta la sua complessità, nel suo mix di gloria e fango, di altezze sublimi e di bassezze disumane, proprio come il fango in cui sguazzano i soldati della prima scena ci ricordano rimanendoci impressi nella memoria.
Visto! Davvero un bel lavoro. Come hai detto Spielberg è riuscito a rendere la storia interessante e “cinematografica”, senza forzare la realtà e mantenendo fede alla Storia (raccontando anzi fatti poco lodevoli dal punto di vista morale, ma alti dal punto di vista politico e di chi vede un po’ più lontano del proprio naso. Realpolitik?).