Habemus Papam
Leviamoci subito il pensiero: “Habemus papam” non è un gran film. Nemmeno un bel film.
Mi costa ammetterlo. Moretti è uno dei miei beniamini. Ho apprezzato i suoi lavori più cervellotici (“Ecce bombo”, “Palombella rossa”, “Bianca”) ed esaltato la stagione posteriore alla cesura di “Aprile” (la paternità è un evento che sradica) e che esplode nel ricchissimo “La stanza del figlio”. Quest’ultima pellicola, ahimè, delude e basta. Non dice nulla. Non è capace di graffiare, non se ne coglie l’intento, la domanda, la tesi.
E sì che l’incipit è promettente e stuzzicante! Il papa attuale è morto (scene di repertorio dall’indimenticabile commiato di Giovanni Paolo II). Il conclave si riunisce e dopo qualche scaramuccia elegge al soglio di Pietro un cardinale sconosciuto. A cui saltano i nervi proprio al momento dell’annuncio solenne. Il papa eletto non vuole “fare” il papa.
Fin qui il film è divertente e accattivante. Una commedia dai contenuti decisamente stimolanti. Il Santo Padre urla. Effetto Larsen dei “Non io, Signore” che tutti gli alti prelati sollevano preoccupati verso Dio. Molto bello. Molto vero.
Si narra che durante il secondo conclave del 1978, il cardinale Stefan Wyszynski si avvicinò all’arcivescovo di Cracovia e disse “Se ti eleggeranno non rifiutare”. Rispose ironico il cinquattottenne Carol Wojtila: “Grazie tante. Mi è stato di grande aiuto, cardinale.”. Quando ormai era chiaro che toccasse a lui la jattura di succedere al povero Luciani, un altro cardinale gli passò accanto e, senza proferire parola, gli regalò l’immagine di Cristo crocifisso.
Papa Roncalli era invece solito raccontare la sua prima notte da pontefice. Continuava a girarsi e rigirarsi nel letto. Era tormentato da alcuni pensieri e si risolse nel confidarli il giorno dopo al papa. Al che si scosse dal sonno e tutto preoccupato constatò: “Ma sono io il papa!”
Moretti rende (inconsapevolmente?) un grande servizio alla Verità. Lungi dall’essere un posto ambito, un trono da cui comandare a bacchetta milioni di sudditi, un podio strategico attraverso il quale pilotare le sorti del mondo (come gran parte dell’odierna comunicazione vorrebbe far credere), il soglio di Pietro rappresenta un immenso cruccio. Essere l’amministratore delegato di Dio su questa terra produce una pressione così alta da disintegrare la roccia più solida. Figuriamoci un vecchio vescovo, attore mancato, desideroso di andarsene da Roma al più presto per ricominciare la propria vita.
Al papa dubbioso viene dunque affiancato uno psicologo. Il migliore in circolazione. Un topos morettiano. Ci aspettano lunghi monologhi in bilico tra isteria e umorismo tragico?
No. Proprio sul dischetto del rigore, senza portiere, il buon Nanni spara la palla in tribuna. Un vero peccato (questo sì da confessare).
Il prosieguo del film rimane leggero e a tratti comico. Ma afasico.
Dove riscontrare quella critica “feroce” o “caustica” che qualcuno invece ha intravisto?
Forse nello psicologo prigioniero del Vaticano, che organizza un torneo di pallavolo per gli alti prelati? Forse nella moglie (anch’essa psicologa, “la più brava dopo di lui” e per questo impossibilitata a rimanere al suo fianco) che accoglie tra i suoi pazienti un anziano in fuga (il papa sconosciuto) a cui diagnostica (come è solita fare) un improbabile “deficit da accudimento”?
Di sicuro non c’è critica né feroce né caustica nella rappresentazione dei cardinali: vecchietti serafici, estranei al mondo, un po’ nevrotici. Caricature così accentuate da essere utili solo ai fini del ritmo dell’opera.
Il discorso finale del pontefice dal balcone di San Pietro è troppo povero e insignificante per essere considerato velenoso. Non costituisce certo il vertice di un climax sapientemente costruito. La musica cupa e la disperazione melodrammatica dei sacerdoti stridono con la frivolezza dei fotogrammi precedenti. Non ci azzeccano proprio. E (peggio) svegliano lo spettatore che fin qui ha trascorso un’ora e mezza piuttosto piacevole. Perché lo costringono a rendersi conto che deve lasciare la sala senza nulla in cambio rispetto al prezzo del biglietto.
L’unico segno eclatante, vivo e misterioso del film rimane quel vento che sconvolge i filmati del 2005. Quel vento incessante ai funerali di JPII. Quel vento che è solo accidentale fastidio per chi può permettersi di produrre film così scialbi.
Rimando al mirabile saggio di Roberto De Gaetano (Nanni Moretti: lo smarrimento del presente) per questo film che ho trovato bellissimo e perfettamente in linea con la filmografia del regista romano.
E’ vero, non graffia, ma si può essere grandi anche senza cattiveria (oggi l’essere cinici e cattivi in tutto – nel cinema, nell’arte, financo e soprattutto nella vita – è stato consacrato ad indice di qualità assoluta).
Sono molto d’accordo con Girolamo contro il “dogma” del cinismo e della cattiveria come indice di qualità. Ma chi lo ha stabilito? Secondo me, anzi, entrambi sono scorciatoie quasi sempre deludenti e riducenti.
Sono molto in disaccordo con Girolamo quando lo definisce un film bellissimo. Secondo me è di una debolezza quasi imbarazzante, un po’ come tutto il cinema di Moretti (così poco “cinema”). Il film si poteva contenere in 20 minuti, la crisi del neo-eletto e la soluzione (il suo rifiuto), tutto il resto (Moretti, l’analisi, così bistrattata, le partite a carte, a pallavolo…) è superfluo, già visto, posticcio… Il fenomeno Moretti per me si tinge sempre di più di mistero..come è possibile che abbia avuto tutto questo successo?
HP: un film sbilanciato, una grande idea supportata da un buon personaggio che dà vita a un misero intreccio.
HB, cioè.
il film è stato indicato come “miglior film”del 2011 dalla prestigiosa rivista di cinema francese Cahiers du Cinema.Un bel colpo per il cinema italiano e per il grande Moretti,amato moltissimo oltralpe
si in effeti penso che sia cosi