Intervista a Sami Michael

Sami Michael è uno scrittore israeliano, anzi uno scrittore ebreo di cultura araba nato a Baghdad nel 1926 e fuggito in Israele nel 1948 dove ha imparato l’ebraico (non quello delle preghiere millenarie apprese da bambino in occasione delle festività tradizionali, ma quello parlato nel nuovo Stato) ed è diventato un autore di alcuni bellissimi romanzi (in Italia ne sono stati pubblicati due da Giuntina: Una tromba nello uadi e Victoria).Sami Michael incontrerà il pubblico italiano alla Fiera del Libro di Torino, domenica 11 maggio, ore 17:00, sala blu.

Iniziamo dal titolo del tuo ultimo romanzo pubblicato in Italia, Una tromba nello Uadi. Che cosa è lo Uadi?

Uadi è una parola araba che indica il corso di un fiume in cui l’acqua scorre solo durante la stagione delle piogge mentre nell’altra stagione invece si asciuga e diventa secco.

Però è anche il nome di un quartiere di Haifa…

E’ vero. Haifa è una città che è nata su una montagna però a quei tempi non c’erano mezzi di trasporto e allora le persone cercavano di abitare nei luoghi più bassi e non in cima alla montagna. Dunque 50-60 anni fa i vari quartieri di Haifa venivano chiamati a seconda dei Uadi. La caratteristica principale è che questo quartiere è abitato dal 95% di arabi, io sono nato in Iraq, ma nel 1949, siccome facevo parte di un gruppo clandestino comunista che lottava contro il regime, sono fuggito in Israele. Avevo 23 anni e non sapevo l’ebraico, appartenevo ad una cultura completamente diversa. Arrivato come uno straniero, ho trovato posto in questo quartiere abitato da arabi dove ho cominciato a lavorare per dei giornali in lingua araba. La città di Haifa è un esempio unico non solo in Israele ma in tutto il Medio Oriente, di luogo di convivenza, infatti è forse l’unica città in cui convivono arabi e israeliani, ebrei, cristiani e musulmani. Una persona di qualsiasi fede e appartenenza può girare liberamente per la città senza il timore di essere aggredito o di trovarsi in pericolo. È un esempio splendido e le persone in Israele vengo apposta ad Haifa per riuscire a vivere questa esperienza di dialogo e convivenza. È una città che attira molti scrittori e artisti proprio per questa atmosfera e addirittura nello Uadi c’è una strada che porta il mio nome. Sui muri di questa strada sono state appese delle tavolette di porcellana con alcuni passi proprio di Una tromba nello Uadi in arabo e in ebraico.

Come nasce il personaggio di Huda?

Huda è un personaggio vero: una mia amica, una poetessa araba, che tuttavia aveva in se sia la cultura araba che israeliana in modo molto profondo. Questo mi ha molto interessato perché è una cosa che anche io in un certo senso posseggo, appartenendo a due culture diverse, quella araba e quella israeliana. Tra di noi è nata un’amicizia molto profonda come quella tra fratello e sorella. L’amore fa miracoli anche dal punto di vista del corpo, del comportamento, dell’atteggiamento, infatti io consiglierei a tutti quanti coloro che si sentono in un momento di debolezza di tristezza, di affidarsi all’amore. Ma un’altra cosa da dire è che Huda è un’araba israeliana, quindi appartenente alla minoranza di Israele, che incontra un immigrato ebreo russo che non parla neppure l’ebraico e che ancora deve entrare a far parte della cultura israeliana. Il fatto che sia lei a doverlo introdurre in questa nuova cultura le offre una nuova sensazione, un nuovo valore personale di sentire un’appartenenza piu’ forte alla cultura israeliana. Dunque una presa di coscienza e una forza maggiore. Credo di essere un po’ diverso rispetto agli altri scrittori israeliani, perché quando racconto, quando descrivo dei personaggi arabi, allora io stesso divento arabo. Ma soprattutto, diversamente da quanto succede nei gruppi di sinistra, intellettuali anche che descrivono personaggi arabi, i miei personaggi arabi non sono sempre gli operai o i sottomessi o magari discriminati, ma sono piuttosto personaggi arabi intellettuali, personaggi arabi attivi e propositivi. Huda è uno di questi personaggi.

Nei tuoi libri si percepisce un’attenzione forte all’umanità del personaggio non minore alla sua collocazione sociale culturale.

Si’, questo approccio riflette veramente la mia visione del mondo e delle cose, cioè cercare negli uomini la loro umanità. Ma devo dire che Haifa è così, infatti quasi tutti i miei migliori amici sono arabi. Io non conosco eroi che vanno in giro a cercare di vincere guerre, conosco persone semplici che vogliono vivere la propria vita e questo accade esattamente nella stessa maniera sia tra arabi che tra israeliani. Vivere così, cioè cercare di portarsi avanti, di lavorare, di fare una famiglia, secondo me significa cercare la pace, cercare l’amore. Sono queste le persone che cerco di descrivere nel mio libro

Mary, la sorella di Huda, è un personaggio molto diverso…

Tutte le famiglie sono così, esistono grandi differenze all’interno di ogni famiglia. Oggi, nel contatto tra arabi e israeliani in Israele, la parte araba sta cambiando in maniera molto rapida, avvicinandosi ad una modernità che fino a qualche anno fa era distante. Le donne oggi riescono ad avere più libertà ed indipendenza. Mary si trucca e così si fa più bella e più attraente e devo dire che anche io mi sono innamorato è lei mentre stavo scrivendo questo libro. Ma se si guarda più in profondità nella storia, vediamo che è Huda la vera rivoluzionaria, è lei che riesce a decidere di sposarsi con un immigrato ebreo, scostandosi completamente dalla tradizione della sua famiglia, mentre Mary invece si arrende a sposare un uomo che non ama pur di sentirsi protetta e al sicuro.

Nelle tue storie sembra che a volte la realtà trascenda i confini angusti delle culture e della politica.

I confini che poniamo tra noi e gli altri – politici, culturali, di lingua, razziali – sono tutti confini artificiali. Se per esempio uno svedese e un indiano salgono su un autobus senza conoscersi, attraverso sguardi e piccoli gesti possono subito creare una nuova realtà, un nuovo modo di intendersi e abbattere in modo molto rapido questi confini, questi artifici cha hanno varie origini, perché ci sono cose più profonde dentro gli uomini che sono la solidarietà e l’amore, molto più profonde di tutte le cose che provengono dalla nostra cultura e dalle nostre appartenenze. Questo secondo me è anche il significato dell’esistenza: coltivare questi linguaggi più immediati, più umani e andare più in profondità nell’uomo. Alla fine, a ben vedere, tutti noi ci ammaliamo degli stessi germi, ridiamo delle stesse barzellette, facciamo l’amore nello stesso modo.

Alex, il protagonista ebreo del libro, è favorito in questo incontro con Huda, ragazza araba, dal fatto che è appena arrivato in Israele?

No, questi incontri avvengono spesso in Israele. Io conosco varie coppie di persone, lei araba lui israeliano o viceversa, che si sono innamorate e poi si sono sposate. Non è certo facile, ma succede spesso e nel prossimo romanzo che uscira’ in Italia, Rifugio, succede proprio una cosa del genere.

Dove hai scovato il personaggio di Alex?

Scrivo solo di cose e persone che conosco e anche Alex è una persona vera. Ho lavorato tanti anni come idrologo e il mio autista con cui ho passato otto ore al giorno per dieci anni, più del tempo che ho passato con mia moglie e i miei bambini, ha ispirato la figura di Alex. Aveva la stessa altezza, carattere, personalità. Lui non ha mai incontrato una donna araba e non ha mai sposato una Huda ma a quanto accade nel romanzo ci ho pensato io. Ho unito io un Alex che conoscevo a una Huda che conoscevo. Da Una tromba Nello Uadi è stato tratto un film e uno spettacolo teatrale e ogni volta vengono scelti dei nuovi personaggi per fare il personaggio di Alex e ogni volta porto il mio amico autista a vedere il personaggio che lo interpreta sulla scena. Anche lui era immigrato dalla Russia e di solito vengono scelti immigrati dalla Russia per fare questa parte e ogni volta sembra a tutti e due di incontrare la stessa persona.

Leggendo la tua biografia sono rimasto colpito dalle tue tre lauree e da come sei riuscito nell’impresa di imparare l’ebraico e di diventare uno scrittore…

Non ho una spiegazione chiara per quanto è avvenuto nella mia vita, ma se guardo indietro e vedo in cosa consistono i miei libri, la mia scrittura, riconosco che in un contesto di odio di guerra e di contrasti, i miei libri propongono una soluzione di amore, speranza e convivenza. I miei libri sono molto popolari in Israele e vengono letti sia da arabi che da israeliani, perché le persone vogliono credere in questa nuova via, in questa diversa possibilità. Se mi guardo indietro, penso che forse tutti gli sforzi che ho fatto erano volti ad arrivare a questo punto, quello di poter proporre questa nuova via attraverso la mia scrittura. Non dico che la mia vita sia stata facile. Anche dal punto di vista di scrittore ho avuto momenti difficili, anche di mancanza di speranza. Spesso non sono stato accettato immediatamente da quelle che sono le istituzioni e l’elite culturale di Israele. Devo dire che è stato il mio pubblico ad impormi come scrittore Israeliano, perche’ ha capito che nella mia scrittura c’era un messaggio di pace importante.

Una letteratura, dunque, che porta in se il germe della pace. Ma come hai scelto di diventare uno scrittore?

Amo scrivere e i momenti in cui scrivo sono i momenti più felici della mia vita. La sensazione di far uscire con del semplice inchiostro dei personaggi e renderli pieni di vita è una sensazione bellissima, ma la mia scrittura riflette anche semplicemente quello che sono. Dalla mia lunga esperienza ho compreso che la cosa più importante è non rinunciare mai a dire la verità interiore che è dentro di te e questo è il valore supremo della scrittura per quanto mi riguarda. Quando scrivo e penso al mio lettore penso proprio ad una persona esattamente come me, che vale quanto me. Cerco quindi di scrivere con onestà e come se stessi conversando con me stesso.

Non pensi che imparando a raccontare in fondo si impari anche a vivere la propria libertà?

Ognuno ha il suo campo e io per caso sono diventato uno scrittore. Ognuno può raccontare se stesso, capire se stesso secondo quello che fa, ballando, facendo l’attore. Ma anche con cose più semplici, facendo con amore ciò che si sa fare: l’autista di un taxi, un medico o qualsiasi altro mestiere. Ognuno ha il suo campo e il suo modo di esprimersi ed è sicuramente importante farlo per capirsi e farsi capire.

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